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Si
aggrava la crisi del programma nucleare iraniano
Tratto
da http://www.movisol.org/znews012.htm
EIRNA, 16 gennaio – La decisione presa il 10 gennaio dal
governo iraniano di riavviare la ricerca sul combustibile nucleare
nell'impianto di Natanz ha immediatamente provocato reazioni
bellicose da parte dei fautori della guerra a Washington e Londra,
istigati dai loro controllori nell'oligarchia finanziaria sinarchista. A
livello internazionale diventa chiaro che l'aspra battaglia in difesa
dell'ordine costituzionale negli Stati Uniti e la spinta verso un
attacco missilistico e aereo contro gli impianti nucleari in Iran sono
due facce della stessa medaglia.
È indicativo che il vicepresidente americano Cheney sia corso in
Egitto, Arabia Saudita ed Oman il 16 gennaio, per proseguire il viaggio
in Asia (Iraq, Afghanistan, Pakistan) che aveva interrotto alla fine di
dicembre a causa della rivolta al Congresso contro le proposte
anticostituzionali di Bush e la nomina del giudice Alito.
Il Premier britannico Blair ha definito la situazione “molto
grave” aggiungendo: “Non escludiamo alcuna misura”. Parlando alla
Fox TV il vicepresidente americano Cheney ha dichiarato: “Ritengo che
il prossimo passo sarà quello di portare la questione di fronte al
consiglio di sicurezza dell'ONU e il primo punto all'ordine del giorno
sarà una risoluzione che imponga sanzioni se l'Iran non cederà”.
Parlando ad un incontro dell'Aspen Institute a Berlino, l'ambasciatore
all'ONU John Bolton ha denunciato l'Iran come “La peggiore
minaccia al mondo civilizzato”, chiedendo che la questione venga
discussa al consiglio di sicurezza. Anche George Bush, durante la
conferenza stampa congiunta col Cancelliere tedesco Angela Merkel
in visita a Washington, ha evocato lo spettro di un Iran dotato di armi
nucleari come “una minaccia per il mondo intero”.
Il vertice dei ministri degli Esteri di Gran Bretagna,
Francia e Germania (UE-3), convocato in tutta fretta per il 12
gennaio, ha riesaminato la mossa iraniana, giungendo alla conclusione
che i colloqui in corso con l'Iran da due anni fossero giunti a “un
punto morto”. È stato indetto per il 16 gennaio un incontro a Londra
tra i tre grandi europei, gli Stati Uniti,
Esperti militari ed altri ravvisano il pericolo concreto di
un'escalation militare simile a quella in Iraq:
Il Col. Larry Wilkerson, ex assistente di Colin Powell
quando era segretario di Stato USA, parlando di una “cricca
Cheney-Rumsfeld” ha dichiarato che il Pentagono ha già preparato
piani contingenti per un'azione militare contro l'Iran. Ha denunciato il
governo americano per aver chiuso le porte alla diplomazia, rifiutandosi
di parlare “con coloro che veramente contano a Teheran”. In questo
caso “non si può far altro che contare sulla forza militare".
"Assistiamo ad una situazione strategica che potrebbe rivelarsi più
pericolosa di quella che affrontammo quando intervenimmo in Iraq”, ha
affermato Wilkerson.
Il 14 gennaio l'Ammiraglio Capo della Marina britannica sir Alan West
ha dichiarato: “L'impatto di un attacco contro l'Iran sarebbe
assolutamente orrendo. È difficile usare il termine inconcepibile.
Sarebbe molto sciocco farsi coinvolgere in un'azione militare. Non
dovremmo farlo, dovremmo risolvere la questione in qualche altro
modo”. Un attacco aereo contro bersagli iraniani, per non parlare di
un'invasione vera e propria, sarebbero molto problematici e avrebbero
risultati “disastrosi”. Alla domanda su un paragone con l'attacco
israeliano contro il reattore iracheno di Osirak nel
Il dott. Ali Ansari, esperto iraniano del Royal
Institute for International Affairs (RIIA) di Londra, ha dichiarato:
“L'opzione militare è stata già presa in considerazione, non se ne
parla apertamente perché sarebbe molto impopolare. Sicuramente si
stanno considerando attacchi aerei. Non credo che si opti per
un'invasione”. Ha proseguito aggiungendo che non ci sarebbe alcun
sostegno internazionale per gli attacchi aerei e che, anche se questi
ottenessero il loro scopo, “peggioreranno molto la situazione in Medio
Oriente”.
Il presidente della Commissione Esteri del Parlamento Europeo, il
democristiano tedesco Elmar Brok, ha dichiarato alla radio
tedesca Deutschlandfunk il 13 gennaio che, anche se sono falliti
i negoziati tra Iran ed Unione Europea, non c'è alternativa alla via
del negoziato. “Dobbiamo vedere le pericolose implicazioni di
un'opzione militare. Abbiamo già molti problemi in Iraq. In Iran
sarebbe ancora più difficile, e non è neanche facile lanciare un
attacco preventivo come quello lanciato dagli israeliani contro l'Iraq
all'inizio degli anni Ottanta, quando distrussero i piani nucleari di
Saddam con un singolo attacco contro un impianto nucleare. L'Iran ne ha
tanti di impianti, almeno 40, molti dei quali, a quanto si dice, sotto
terra; quindi è molto più complicato. Nello stesso contesto vanno
viste le ramificazioni psicologiche, considerata la situazione in Iraq
ed in Iran, e la situazione in Medio Oriente con la condizione di Sharon
e le elezioni palestinesi”. Brok ha aggiunto: “Le sanzioni contro
l'Iran potrebbero rivelarsi sanzioni contro noi stessi”.
LaRouche
sulla crisi iraniana
Parlando a Washington l'11 gennaio, l'economista e leader
democratico Lyndon LaRouche ha affrontato il tema della crisi
iraniana. Il problema fondamentale, ha dichiarato LaRouche, è la
“follia” dell'amministrazione Bush-Cheney e del governo di Blair in
Gran Bretagna, che “minacciano una nuova guerra” e “creano un
incentivo a che le nazioni si dotino di armi intimidatorie, come le armi
nucleari, che hanno un certo vantaggio ricattatorio”.
Secondo LaRouche l'Iran “ha bisogno di energia nucleare per sviluppare
la propria economia. Ha il diritto di usare questa tecnologia. Ci sono
tuttavia delle regole secondo cui l'accesso alle armi nucleari è
limitato solo a un certo numero di paesi che già appartengono al club
(…) mentre ad altri non è concesso farne parte. Possono avere
l'energia nucleare, ma non armi nucleari. Il problema sorge soltanto
perché siamo abbastanza folli da far emergere il desiderio di armi
nucleari. L'uso di armi nucleari da parte di qualsiasi paese, di propria
iniziativa, con un atto volontario, sarebbe una pazzia criminale”.
Quindi “il mondo deve mettere fine all'uso di armi nucleari. Non hanno
alcun scopo militare per il pianeta in questo momento. Il pianeta è
cambiato”.
Su questa base “dovrebbero proseguire i negoziati con l'Iran”.
LaRouche ha elogiato in questo contesto la recente proposta russa per un
impianto comune russo-iraniano di arricchimento dell'uranio, definendola
fattibile. “Quanto hanno offerto i russi, e con cui tendenzialmente
dovrebbero essere d'accordo anche gli europei, sembra una soluzione
perfettamente razionale.” LaRouche si è appellato alla pazienza.
“Il punto è che non c'è nessuna fretta! A meno che qualcuno non
abbia fretta di entrare in guerra”.
Nel frattempo è urgente un cambiamento nella configurazione politica a
Washington. “Non vedo altra soluzione”, ha insistito LaRouche.
“Gli Stati Uniti devono liberarsi di George Bush e Dick Cheney,
dimostrare che siamo una nazione e che siamo in grado di stabilire delle
regole di comportamento veramente eque”. Quanto all'”instabile”
governo iraniano, ed alle dichiarazioni contro Israele del presidente
iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che LaRouche definisce “altrettanto
folli”, dovrà essere il popolo iraniano ad occuparsene: “Il popolo
iraniano non vuole una guerra nucleare, e potrà occuparsi del suo
governo. Fatto questo, potremo mettere fine all'annosa questione di chi
abbia il diritto di decidere in che consista la tecnologia delle armi
nucleari”.
L'Iran
non si piegherà
Le dichiarazioni ufficiali degli iraniani, sia dei
negoziatori che delle personalità di governo, non lasciano dubbi: essi
non capitoleranno alle sanzioni o alle minacce militari sulla questione
del nucleare.
Ali Larijani, capo dell'Agenzia nazionale suprema per la
sicurezza, intervistato dalla CNN il 12 gennaio, ha confermato
l'intenzione dell'Iran di continuare i negoziati con l'Europa,
Il giorno successivo, il ministro degli Esteri Manucher Mottaki
ha detto che il suo governo “sarà obbligato a porre fine a tutte le
misure che ha preso volontariamente” se la questione del programma
nucleare iraniano “sarà presentata al Consiglio di Sicurezza
dell'ONU”. Questo non significherebbe recidere ogni cooperazione, ma
piuttosto “procedere secondo le regole”, e cioé rispettare le
procedure burocratiche per ogni ispezione dell'IAEA, invece di
consentire controlli non annunciati, come era consentito nel regime di
cooperazione volontaria.
L'ex presidente Hashemi Rafsanjani, sebbene si trovi ad
affrontare divergenze interne con il presidente Mahmoud Ahmadinejad, ha
dato il suo pieno sostegno al programma nucleare iraniano, che è
considerato una prova decisiva per rompere l'apartheid tecnologico
contro il settore in via di sviluppo. Lo stesso Ahmadinejad ha
detto in una conferenza stampa del 15 gennaio che l'Iran avrebbe
continuato in ogni caso il suo programma nucleare.
Un aspetto che spesso sfugge in questa situazione è il peso della Siria
nella crisi di Teheran. I leader iraniani hanno visto che ad ogni
concessione fatta da Damasco alle pressioni internazionali (il ritiro di
15 mila soldati dal Libano a tempo di record, il consenso
all'interrogatorio di personalità di governo siriane da parte della
Commissione dell'ONU sull'assassinio di Hariri, ecc.) hanno condotto
soltanto a pressioni crescenti e a richieste di portata sempre più
vasta da parte dell'amministrazione Bush-Cheney e dei suoi sostenitori a
Londra e Parigi