Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Costa
Rica nei guai per il petrolio
Mark Engler e Nadia Martinez, «Grist
Magazine»
Tratto da «Internazionale» nr. 541, 28 maggio 2004
Meglio proteggere
l'ambiente che trivellare in cerca di greggio, pensano i costaricani. Ma
l'accordo di libero commercio con gli Usa rischia d'imporre un'altra
politica
Quando
si pensa al Costa Rica, di solito non s'immaginano pozzi petroliferi al
largo delle sue spiagge né miniere che squarciano le montagne avvolte
dalle nuvole. Eppure i panorami e la straordinaria biodiversità del
paese sono minacciati dall'industria estrattiva e dai trattati
commerciali internazionali. Un paio d'anni fa sembrava che il Costa Rica
potesse stare tranquillo. Nel maggio 2002 - dopo un'imponente
mobilitazione ambientalista - il presidente Abel Pacheco aveva
annunciato una moratoria sulle esplorazioni petrolifere e le miniere a
cielo aperto. I legislatori si erano messi al lavoro per dare legittimità
all'ordine del governo e abrogare le leggi che mettono il paese nelle
mani dell'industria estrattiva.
Ma c'è almeno una multinazionale che non ha gradito questi sviluppi: è
la Harken Energy, una compagnia petrolifera texana che ha stretti legami
con il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. Nel 1994 il
parlamento del Costa Rica aveva approvato una legge sugli idrocarburi -
voluta dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale - che
dava alle industrie straniere la possibilità di ottenere concessioni
per le esplorazioni petrolifere. La Mkj Xploration, un'azienda della
Louisiana, aveva vinto l'appalto per trivellare lungo la costa caraibica
del paese, ma aveva venduto le sue concessioni alla Harken Energy.
Abitanti
del posto, pescatori, indigeni e ambientalisti avevano saputo dai
giornali la notizia dell'accordo. Ma il fatto che nessuno li avesse
consultati era solo il primo dei numerosi problemi del progetto. La
trivellazione off-shore avrebbe danneggiato le barriere coralline
e le paludi di mangrovie, minacciando la fauna marina già in pericolo.
Nella lunga battaglia contro l'accordo, la popolazione locale ha avuto
il sostegno di una commissione nazionale che ha stabilito
l'inammissibilità del progetto della Harken in base alle leggi del
paese sull'impatto ambientale. Le commissione ha enumerato oltre
cinquanta ragioni per rifiutare il piano della compagnia petrolifera. La
Harken si è infuriata è ha chiesto un risarcimento di 57 miliardi di
dollari.
Non è un refuso. La Harken ha chiesto davvero 57 miliardi di dollari,
una cifra che a suo avviso rappresenta il totale dei profitti mancati a
causa dell'accordo naufragato. Il prodotto interno lordo annuale del
Costa Rica è di circa 17 miliardi di dollari e il bilancio annuale del
governo è di cinque miliardi. Alla fine del settembre 2003, subito dopo
che la Banca mondiale ha notificato al governo del Costa Rica la
denuncia della Harken, Pacheco ha annunciato che il paese non avrebbe
accettato un arbitrato internazionale. La sede legittima della
controversia, secondo il presidente costaricano, era la magistratura
locale. Qualche giorno dopo la Harken ha ritirato la denuncia e ha
cercato di giungere a un accordo stragiudiziale.
Arriva il Cafta
Probabilmente, però, il Costa
Rica e la Harken non sono riusciti ad accordarsi sull'ammontare della
transazione, e le trattative sono naufragate. Ma non è finita.
L’amministrazione Bush sta proponendo un accordo che minaccia di
trasformare la causa della Harken in qualcosa di più di un'intricata
sfida legale. Si tratta del Trattato di libero commercio tra Stati Uniti
e Centroamerica (Cafta).
A dicembre gli Stati Uniti hanno concluso i negoziati con Guatemala,
Honduras, El Salvador e Nicaragua sul trattato di libero mercato nella
regione. Il Costa Rica, che aveva esitato perché preoccupato dalla
privatizzazione delle industrie pubbliche, è entrato nell'accordo a
gennaio. La ratifica è fissata per il 28 maggio.
Per gli avversari del Cafta, il caso della Harken è l'esempio di come
le aziende usino gli accordi internazionali per costringere i paesi a
rinunciare alla difesa dell'ambiente. La tutela degli investitori del
Cafta permette alle aziende di rivolgersi direttamente ai tribunali
internazionali. Secondo il nuovo accordo, il Costa Rica non avrebbe più
la facoltà di contrastare i tentativi di aggirare i suoi tribunali. La
minaccia di una causa da diversi miliardi di dollari è sufficiente per
convincere molti paesi in via di sviluppo a rinunciare all'attuazione
delle proprie leggi ambientali.