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La congiura del silenzio
di Carlo Bertani – 15 febbraio 2007

“La menzogna è il volto stesso del demonio.”
Victor Hugo – I Miserabili

E’ stupefacente notare come il titolo di questo articolo corrisponda in pieno alla definizione che il Presidente Napolitano ha assegnato agli eventi che fanno capo all’esodo dei profughi italiani dall’Istria ed agli assassinati nelle foibe. Eppure, può significare esattamente il contrario.
Durante le celebrazioni del “Giorno del Ricordo”, il presidente dell’associazione degli esuli della Venezia Giulia, Lucio Toth, dichiarava che dopo tanti anni si poteva sperare di raggiungere per quegli eventi “una memoria almeno condivisa, se non comune[1]”. Da condividere con chi? E’ un traguardo che ci si prefigge di raggiungere all’interno della sola popolazione italiana, oppure con gli altri popoli che vissero quelle tragedie?

Una risposta è giunta dal presidente croato Stipe Mesic, che si è detto "costernato" per le dichiarazioni del presidente italiano nell’occasione della ricorrenza, e che scorgeva in quelle parole “elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico"[2].
Come inizio non c’è male, verrebbe quasi da dire: alla faccia della “memoria condivisa”!

Quali sono state le esatte parole di Napolitano, riportate dall’ANSA nel giorno stesso della commemorazione?
''Non dobbiamo tacere. Dobbiamo assumerci la responsabilità di aver negato o teso a ignorare la verità, per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e di averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali”.
Limpido come l’acqua.

La congiura del silenzio fu la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell'oblio. Per fortuna abbiamo posto fine a un non giustificabile silenzio”.
Parole sacrosante.

Infine, Paolo Barbi, presidente storico dell'associazione dei giuliano-dalmati, ha ringraziato Napolitano e in una breve ricostruzione storica ha voluto ricordare che purtroppo la tragedia delle foibe, la persecuzione degli italiani residenti in Istria, aveva anche radici storiche. “Allora, esplosero vendette e odi covati nell'esasperazione nazionalistica durata decenni, nel clima della guerra totale, impietosa dei regimi totalitari.”
Come si potrà notare, le parole di Barbi sono meno improntate alla retorica e si avvicinano alle dichiarazioni di Toth, ovvero richiamano anch’esse la necessità di una memoria condivisa.
Sembra quasi che esistano due diversi punti di vista – ancora separati dopo tanti anni – ovvero quello della classe politica italiana e quello degli esuli. Paradossalmente – ma non troppo – sono proprio gli esuli, ossia coloro che patirono sulla loro pelle le sofferenze, quelli che cercano – e sembrano quasi chiedere – delle “aperture” per piantare infine un ramo d’olivo su quei poveri morti.

Cosa impedisce la condivisione di una memoria? Essenzialmente, l’omissione.
Non si tratta di giudicare o giustificare le dichiarazioni di Napolitano o di Mesic, ma di capire che sono entrambe inquinate da importanti omissioni.
Se le colpe dei partigiani jugoslavi sono note – ossia che fu dato inizio ad una caccia indiscriminata agli italiani – lo sono meno quelle delle truppe italiane d’occupazione.
Nascondere le responsabilità jugoslave è puerile: lo stesso Tito si rese conto che la situazione stava sfuggendo a qualsiasi controllo, ed inviò il suo “braccio destro” – Kardelj – a Lubiana con l’ordine di fermare i massacri, lanciando la parola d’ordine “italiano non necessariamente significa fascista”. Quando Kardelj giunse a Lubiana, la tragedia delle foibe era già compiuta e nessuno era più in grado di controllare gli eventi, da Trieste a Zara. Ci sono molte testimonianze di partigiani italiani che avevano combattuto con le formazioni di Tito e che furono costretti a fuggire, pena la morte. Cosa poteva aver scatenato un simile inferno? La precedente omissione.

Il “buco nero” che appare evidente nelle ricostruzioni di parte italiana è mostruoso, enorme: i periodi incriminati vanno dal 1943 al 1946, dimenticando che – prima di quel periodo – c’erano stati il 1941 ed il 1942.
Dall’aprile del 1941, gli italiani controllavano quasi metà del territorio jugoslavo: in pratica, la Jugoslavia fu divisa fra una parte continentale (sottoposta ai tedeschi) ed una dalmata, assegnata agli italiani. Le truppe italiane si trovarono quindi a controllare gran parte della Slovenia e della Croazia, parte della Bosnia ed il Montenegro.
Come in Italia nel periodo 1943-1945, agivano in Jugoslavia delle formazioni partigiane: non è possibile, in questa sede, ricostruire fedelmente il complesso organigramma della resistenza jugoslava, poiché ci vorrebbe una trattazione assai lunga e complessa. Essenzialmente, possiamo affermare che la divisione dei campi fu ancor più accentuata che nel resto d’Europa: le formazioni comuniste di Tito furono quelle maggioritarie, ma anche i nazionalisti serbi combatterono i tedeschi (e si scontrarono con quelle di Tito). In Croazia, invece, c’erano formazioni partigiane e divisioni croate che affiancavano gli italiani ed i tedeschi: la “resa dei conti” finale, quindi, fu una tragedia che coinvolse sia gli italiani sia gli jugoslavi.

Ovviamente – come i repubblichini di Salò – le truppe italiane combattevano le formazioni partigiane, e sembra quasi che i tristi metodi della rappresaglia e delle esecuzioni di massa, avvenute poi in Italia nel periodo 1943-1945, abbiano avuto un prodromo in quelle terre ed in quegli anni.
Ci sono numerose fonti che hanno indagato quegli eventi, scrittori che hanno analizzato a fondo quegli anni: voglio ricordare soltanto il "Si ammazza troppo poco" di Gianni Oliva, perché sarebbe lungo soffermarsi sui molti contributi di tanti autori e storici.
Per fare soltanto una breve carrellata sui misfatti italiani, bastano pochi estratti da documenti ufficiali dell’epoca, ovvero dai diari militari delle unità italiane in Jugoslavia. Ecco qualche esempio:  

R I S E R V A T O
COMANDO SUPERIORE FF.AA. “SLOVENIA E DALMAZIA”
( 2^ ARMATA )
C I R C O L A R E  N. 3  C
1° dicembre 1942-XXI°
(omissis)
 
CAPITOLO II°
MISURE PRECAUZIONALI NEI CONFRONTI DELLA POPOLAZIONE
15 - Quando necessario agli effetti del mantenimento dell'O.P. e delle operazioni, i Comandi di G.U. possono provvedere:
a) - ad internare, a titolo protettivo, precauzionale o repressivo, famiglie, categorie di individui della città o campagna, e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali;
b) - a “fermare” ostaggi tratti ordinariamente dalla parte sospetta della popolazione, e, - se giudicato opportuno - anche dal suo complesso, compresi i ceti più elevati;
c) - a considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti.
16 - Gli ostaggi di cui in b) possono essere chiamati a rispondere, colla loro vita, di aggressioni proditorie a militari e funzionari italiani, nella località da cui sono tratti, nel caso che non vengono identificati - entro ragionevole lasso di tempo, volta a volta fissato - i colpevoli.
- Gli abitanti di cui in c), qualora non siano identificati - come detto sopra - i sabotatori, possono essere internati a titolo repressivo; in questo caso il loro bestiame viene confiscato e le loro case vengono distrutte.
(omissis)

CAPITOLO X°
40
(omissis)
- AL GRIDO: "SECONDA ARMATA A ME!” LANCIATO DA UN MILITARE COMUNQUE IN PERICOLO, TUTTI I COMPONENTI DELL'ARMATA CHE LO ODONO DEBBONO ACCORRERE A DARE AL CAMERATA, A QUALUNQUE COSTO, MAN FORTE.
41 - Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti.
(omissis)

IL GENERALE
COMANDANTE DESIGNATO D'ARMATA
F.to (Mario Roatta)

Il documento è agghiacciante, e non si comprende (?) come sia passato indenne all’esame delle commissioni alleate al termine delle ostilità. Si noti come, al comma b dell’art. 15, si ordinasse di “fermare ostaggi” mentre al successivo art. 16 gli stessi ostaggi fossero chiamati a rispondere con la vita nel caso non fossero identificati i colpevoli degli atti ostili. A completare il quadro, quel sinistro “Si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti” che suona come una campana a morto.
Difatti, per anni le truppe italiane uccisero, bruciarono villaggi, internarono le popolazioni in campi di prigionia, distrussero raccolti e confiscarono bestiame: insomma, niente di diverso dal comportamento dei nazifascisti in Italia.
Ecco a cosa condussero quei proclami:

Un militare italiano malmena alcuni prigionieri che stanno per essere fucilati
Prima dell’esecuzione.
Dopo l’esecuzione.

Un altro criminale di guerra conclamato – il gen. Robotti – avvertiva però la necessità di precisare meglio i termini della repressione. Sembra quasi che i soldati italiani stentassero a comprendere cosa dovevano fare.

Allegato n. 10
al diario storico militare del giorno 4 luglio 1942-XX
COMANDO XI° CORPO D'ARMATA
Uff. Operazioni
- - - - - - - - - - - - - - - - -
N.02/6246/Op.
OGGETTO: Proclama.
ALL'ECCELLENZA EMILIO GRAZIOLI 
Alto Commissario per la Provincia di      L u b i a n a
E' intendimento dell'Ecc. Generale Roatta che all'inizio del prossimo ciclo di operazioni di grande rastrellamento, venga emanato il proclama annesso.
(omissis)

2°) - A partire da oggi nell'intera Provincia di Lubiana, saranno immediatamente passati per le armi:
- coloro che faranno comunque atti di ostilità alle autorità e truppe italiane;
- coloro che verranno trovati in possesso di armi, munizioni ed esplosivi;
- coloro che favoriranno comunque i rivoltosi;
- coloro che verranno trovati in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare falsificati;
- i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nelle zone di combattimento.
(omissis)

1°)- che il rastrellamento sia metodico e completo al massimo, per evitare che attraverso le maglie del dispositivo sfuggano elementi ribelli;
2°)- fucilare senza pietà gli uomini validi che nelle retrovie fossero sorpresi in atteggiamento sospetto lungo le strade ed a tergo delle nostre colonne.
(omissis)
b)- Chi compie comunque atti di ostilità alle autorità o truppe italiane - chi venga trovato in possesso di armi, munizioni ed esplosivi - chi favorisca comunque i rivoltosi - chi venga trovato in possesso di passaporti, carte di identità e lasciapassare falsificati. deve essere passato per le armi.

Non ammetto che gente colpevole di quanto sopra venga deferita ai tribunali od internata; dev'essere soppressa.

(omissis)
e)- La misura ultima del n.II dell'ordinanza (""... saranno passati per le armi...i maschi validi che si troveranno in qualsiasi atteggiamento - senza giustificato motivo - nella zona di combattimento"") deve essere intesa ed applicata nel modo seguente:
1°) I maschi validi trovati, in qualsiasi atteggiamento, in zona di combattimento, in aperta campagna dall'avanti sino alla linea di schieramento delle artiglierie, non possono essere considerati (per ovvi motivi) che come ribelli o favoreggiatori dei ribelli. E pertanto passati per le armi.
2°) I maschi validi trovati in abitazioni isolate, gruppi di case e centri abitati, sempre quando non siano rei degli atti contemplati nei precedenti articoli del n.II dell'ordinanza, saranno tutti arrestati. Quelli che fra essi non siano del luogo saranno passati per le armi come quelli incontrati in aperta campagna.
3°) Saranno pure arrestati i maschi validi che affluiscono in abitazioni isolate, gruppi di case e centri abitati, dopo la nostra occupazione. Quelli che fra essi non risulteranno del posto, o che non rientrino colle proprie famiglie (circostanza questa che giustificherebbe la loro assenza al momento della nostra occupazione) saranno passati per le armi.
(omissis)

IL GENERALE DI CORPO D'ARMATA
COMANDANTE
F/to Mario Robotti

 

La foto fu scattata il 27 luglio 1942 a Zavrh pri Cernici, e mostra una delle pratiche più agghiaccianti che avvennero in quegli anni: far scavare la fossa ai condannati prima di fucilarli. I quattro, probabilmente, erano stati sorpresi “in aperta campagna”.
L’immagine fu scattata il 31 luglio 1942 a Loska Dolina: non sappiamo nulla di chi erano i condannati. Tanto, secondo gli ordini del gen. Roatta, “gli eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti”.

Questa è invece una fotografia scattata in Montenegro, dove due militari italiani posano accanto alle vittime di una fucilazione avvenuta in un villaggio. La classica “foto ricordo”.

Dalla lettura di questi documenti e dalle foto appare evidente – quasi salta agli occhi – come fosse difficile scansare la morte in quegli anni se si aveva la “colpa” di non essere italiani. Gente trovata “in aperta campagna” deve essere fucilata all’istante: tutto ciò nei confronti di una popolazione in gran parte dedita all’agricoltura!
I vari omissis che ho inserito non servono a coprire chissà quali incoerenze presenti nei testi – che tutti potranno visionare su http://www.criminidiguerra.it – ma a ridurre semplicemente le dimensioni dei documenti per soffermarsi meglio sugli aspetti essenziali ed incontrovertibili.

Il numero delle vittime causate dall’occupazione italiana varia molto, secondo le fonti: le più basse, però, non scendono sotto le 100.000 unità.
Gli italiani, però, ribattono che la vendetta furono le foibe. Ora, due tragedie non si sanano l’un l’altra, bensì si sommano: questo è il terribile significato di quegli eventi, che dovrebbe condurre ad una riflessione comune e non a delle liti da galletti in un pollaio. Ma le foibe furono un’invenzione degli jugoslavi per vendetta nei confronti degli italiani? Furono i primi ad usarle?

Ascoltiamo Predrag Matvejević, scrittore croato e docente all’Università “ La Sapienza ” di Roma:
Il ministro fascista dei lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli, che si attribuì l'appellativo vittorioso di "Giulio Italico", scrive nel 1927: “La musa istriana ha chiamato con il nome di foibe quel luogo degno per la sepoltura di quelli che nella provincia dell'Istria danneggiano le caratteristiche nazionali (italiane) dell'Istria” ("Gerarchia", IX, 1927). Lo zelante ministro aggiungerà a ciò anche dei versi di minacciose poesie, in dialetto: "A Pola xe arena, Foiba xe a Pazin" ("A Pola c'è l'arena, a Pisino la foiba").

Pazin si trova a poche decine di chilometri da Pola, verso il centro dell’Istria, e già in quegli anni i fascisti avevano scoperto quel triste metodo per cancellare i loro crimini. Perché?
La ragione era stata spiegata chiaramente da Benito Mussolini stesso in un suo discorso tenuto a Pola il 20 settembre 1920:
“Per la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario che l'Adriatico, che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava”

Queste furono le premesse della tragedia: ciò che avvenne al termine delle ostilità fu la vendetta. Ovviamente, nessun crimine ne può cancellare un altro: in quelle terre, andò in scena lo stesso “copione” che avvenne in Italia al termine delle ostilità. Nel solo Friuli, sempre secondo Matvejević, ci furono circa 10.000 esecuzioni sommarie senza processo ed in Francia 50.000. Non sappiamo se queste cifre sono esatte, per difetto o per eccesso, ma sappiamo che in tutto il Nord Italia avvennero moltissimi di questi episodi.
Voglio precisare che questo articolo non intende aggiungere nulla a quanto è risaputo da chi ha condotto serie ricerche storiche: si tratta proprio della classica “scoperta dell’acqua calda”.

Gli unici a non sapere dell’esistenza dell’acqua calda sembrano i politici italiani: nonostante il richiamo alla “memoria condivisa” che giunge dagli esuli, il coro di condanna per le parole di Mesic è stato unanime.
Ora, definire “razzista” il discorso di Napolitano è sbagliato, ma carente e colmo d’omissioni sì.
Peggio ancora hanno fatto i corifei di regime: da Fini a Bertinotti, un solo coro d’approvazione e di completa negazione delle ragioni altrui. Saranno così poco informati, oppure c’è dell’altro?

Fin qui le storie di ieri: purtroppo c’è dell’altro, e stupisce che in tutto l’arco parlamentare non si sia levata una sola voce di protesta per l’omissione delle responsabilità fasciste. A meno che – a fronte dei tanti crimini di guerra commessi – basti la sbrigativa affermazione di D’Alema “che l’Italia non nega le colpe del fascismo”. Ci mancherebbe ancora.
Riflettiamo che Germania e Giappone subirono processi e condanne: noi, nulla, eppure ci furono circa 1.200 criminali di guerra italiani acclarati dalle commissioni alleate, nessuno dei quali pagò, perché furono immediatamente “riciclati” in un fervente anticomunismo.
E i comunisti?

Anch’essi ebbero la loro parte, perché Tito consumò presto lo “strappo” da Stalin e la Jugoslavia fu l’unico paese comunista europeo a non far parte del “Patto di Varsavia”. A Trieste fu inviato uno degli “uomini forti” del partito – Vittorio Vidali – per riportare il PCI giuliano sotto l’egida di Mosca: dalle nostre parti, evidentemente, si preferiva sostare all’ombra della protettiva quercia del dittatore georgiano.
Se quelle lontane vicende sembrano non avere più senso oggi, dovremmo chiederci perché nessun esponente della sinistra “tradizionale” – Fassino, Diliberto, Bertinotti – ha avuto il coraggio di dire “beh” e si sono appiattiti sulle posizioni di Fini.

Gianfranco Fini ha dichiarato, con tono sibillino: “Certamente le parole di Mesic creano più di un problema, perché un Paese entra nell’UE soprattutto se rispetta la verità storica". Che è, evidentemente, quella di Fini.
In altre parole, si cerca di barattare l’ingresso della Croazia in Europa con delle improbabili revisioni dei trattati stipulati a suo tempo con la Jugoslavia : non è nemmeno chiaro quali siano le mire italiane, perché sollevare altri “polveroni” nella polveriera balcanica può portare solo a nuovi dolori.

Ora, ci sono molte ragioni per frapporre dubbi all’ingresso della Croazia nell’UE: una nazione che ha compiuto recentemente una delle più feroci pulizie etniche avvenute in Europa, che ha tuttora in sospeso la questione del riconoscimento delle proprietà dei serbi scacciati, un luogo dove sono state “epurate” chiese ortodosse e moschee.
Mille e una ragione per discutere sull’ingresso della Croazia nell’UE, ma non i trattati che condussero alla stabilizzazione dell’area giuliana e del Quarnaro.
Queste ragioni – del tutto pretestuose – sono ancora una volta il caleidoscopio dell’imperialismo italiano, straccione e voltagabbana, che tratta fino all’ultimo con Vienna nel 1915 per avere qualche territorio in più nel Friuli e poi gioca la carta dell’alleanza con Francia e Gran Bretagna.

Oppure quello di Mussolini, che tratta fino a settembre inoltrato del ‘39 con la Gran Bretagna per fermare Hitler, mentre dall’altra fa ad Hitler richieste inaccettabili – per quantità di materie prime – per entrare in guerra al suo fianco. Entra poi in guerra soltanto quando la Francia è in ginocchio, sperando di raccogliere le briciole al tavolo della pace.
E’ lo stesso imperialismo straccione che manda i nostri soldati in Bosnia a bonificare le zone colpite dai missili all’Uranio impoverito con la sola protezione dei guanti di lattice mentre – chissà perché – i soldati americani, poco più in là, non si avvicinano ai tank distrutti senza le tute anti-radiazioni.

Imperialismo mascherato, che ci porta in Iraq a difendere i nostri interessi petroliferi travestendo la nostra spedizione con l’eufemismo della “missione di pace”, quando gli stanziamenti dell’operazione “Antica Babilonia” erano divisi in un 6% per le infrastrutture civili ed un 94% per la parte militare.
Di fatto, abbiamo pattugliato per quasi tre anni il sud dell’Iraq sotto comando britannico.
Imperialismo voltagabbana: pronti a cedere la sovranità nazionale autorizzando ai nostri velivoli di bombardare la Serbia – senza nessuno straccio di copertura dell’ONU – oppure ad inviare migliaia di soldati in Libano (solo quando fu evidente che Israele era nei guai) sotto comando francese. Una continuità storica agghiacciante.

Per queste ragioni sarebbe importante che gli italiani prendessero coscienza dei drammi causati fuori dei loro confini: dai Balcani all’Africa, dove siamo stati fra i più feroci colonizzatori.
Perché – se la coscienza italiana è così limpida – la RAI non trasmette il documentario storico “Fascist Legacy” (L’eredità del fascismo) prodotto dalla BBC e già trasmesso in Francia ed in Gran Bretagna? Perché se ne è assicurata i diritti e poi lo custodisce gelosamente nei suoi archivi? Perché è proibito proiettare nelle sale cinematografiche italiane il film “Il Leone del deserto”, che narra delle atrocità commesse in Libia? Perché non c’è un solo uomo politico – fra i tanti che siedono in Parlamento – che chiede finalmente di conoscere la verità su quegli eventi?

Altrimenti – come affermò Sciascia – rimarremo sempre un paese “senza memoria e senza verità”: un paese di “Grandi Fratelli” e telefonino-dipendenti, che muta sempre il pelo senza mai perdere il vizio della menzogna e del misero tornaconto di bottega.

Carlo Bertani bertani137@libero.it www.carlobertani.it

[1] Fonte: Televideo: 10 febbraio 2007.
[2] Fonte: ANSA – 12 febbraio 2007.

 
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