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Conflitto
sulle acque in Israele
Philip Ball: «H2O: Una
biografia dell’acqua», Ed. SuperBur Scienza
Per molti
israeliani, la Palestina è una selvaggia zona desertica che deve essere
bonificata con metodi agricoli moderni e irrigazione intensiva.
Ripetendo la parola d’ordine dei pionieri alla conquista del West
americano, il leader israeliano David Ben-Gurion fece sua l’ambizione
di far fiorire quel deserto. Per i contadini palestinesi che hanno
vissuto lì per secoli, comunque, gran parte del territorio è sempre
stato splendido e generoso, sostenendo coltivazioni di grano, alberi da
frutto e ulivi. Ciò nondimeno, persino i palestinesi stanno facendo un
uso crescente di prodotti chimici di sintesi, ivi inclusi pesticidi che,
come il DDT, in Occidente sono stati vietati. La legge israeliana, che
permette al governo di confiscare le terre che non sono attivamente
coltivate per consentire nuovi insediamenti, obbliga gli agricoltori
arabi a rinunciare ai periodi, previsti dalla tradizione, durante i
quali i campi erano lasciati a maggese, causando così una perdita di
fertilità del suolo. A questo punto non c’è altra alternativa se non
quella di ricorrere ai fertilizzanti inorganici e a tutto l’arsenale
chimico tipico dell’agricoltura occidentale.
Fin da quando, all’inizio del
ventesimo secolo, il movimento sionista cominciò a guardare con
bramosia alla Palestina per la creazione di uno stato ebreo, esso si
rese conto del ruolo cruciale che vi avrebbe giocato l’acqua. Così,
quando lo stato d’Israele fu ratificato dalle Nazioni Unite nel 1947,
il governo non perse tempo e si diede immediatamente a riorganizzare
l’approvvigionamento idrico della regione. Uno degli obiettivi
principali era quello di portare l’acqua dalle regioni settentrionali
intorno al Mare di Galilea – alimentate dalla pioggia e dalla neve che
cadono sulle Alture del Golan – a irrigare il deserto del Negev nella
parte centrale dello stato di Israele. Negli anno Ottanta,
l’acquedotto Kinneret-Negev portava al sud 420-450 milioni di metri
cubi di acqua all’anno prelevandola dal Mare di Galilea (chiamato
anche Lago Kinneret) e dall’area circostante. Già nel 1957 il Lago
Huleh, un lago di acqua dolce nella regione della Galilea, era stato
prosciugato. Le zone paludose intorno al Mare di Galilea, una volta
abitate dagli arabi che utilizzavano canne ed erba per intrecciare i
cestini, furono anch’esse prosciugate, e ora sono abitate in massima
parte da ebrei israeliani, sebbene la divisione del 1947 avesse
designato quest’area come parte dello stato della Palestina. Il mare
stesso, famoso per la leggenda biblica, è attualmente sempre più
salino e due volte all’anno è colpito dal fenomeno delle fioriture
algali responsabili delle maree rosse, a causa di una grave
eutrofizzazione. La desertificazione della regione della Galilea ha
avuto anche effetti negativi sull’approvvigionamento idrico dei paesi
circostanti: ripercussioni, fra cui la salinizzazione delle acque
giordane, si sono avute in Libano, in Giordania e in Siria.
Ma il problema più spinoso nel conflitto sulle acque della regione è
quello che riguarda l’impiego delle acque del fiume Giordano e dei
suoi tributari. Il Giordano nasce dalle Alture del Golan in Siria e nel
Libano, e scorre poi verso sud fino al mare di Galilea, da dove continua
il suo corso, sempre verso sud, fino al Mar Morto. Per gran parte del
suo percorso il fiume Giordano scorre lungo il confine tra Giordania e
Israele, inclusi i territori occupati della West Bank. Oggi Israele
devia la maggior parte del flusso del fiume. Ma alla fine degli anni
Cinquanta la Giordania progettò una serie di dighe da costruire sugli
affluenti del fiume per sostenere l’irrigazione, e incominciò a
edificarne una sul fiume Yarmuk, uno dei principali tributari del
Giordano che scorre dalla Siria dapprima lungo il confine fra Siria e
Giordania, e poi lungo quello fra Giordania e Israele. Preoccupata sul
modo in cui ciò avrebbe potuto compromettere i suoi diritti sulle acque
del fiume Yarmuk, e non essendo riuscita a ottenere alcuna garanzia a
riguardo dalla Giordania, nel 1964 Israele bombardò il progetto ancora
in costruzione, in quella che fu a tutti gli effetti l’apertura del
fuoco del conflitto arabo-israeliano per l’acqua. Nella Guerra dei Sei
Giorni del 1967, quando occupò le Alture del Golan in Siria, Israele si
aggiudicò il controllo su quasi tutto il bacino del Giordano superiore.
Oggi, l’accesso limitato della Giordania alla risorse idriche della
regione fa di essa il paese con il più basso consumo di acqua pro
capite – nemmeno un terzo di quello di Israele – di questa parte del
Medio Oriente.
Nonostante
il progresso dei negoziati di pace, l’accesso all’acqua continua a
essere fonte di tensione nella regione. E’ famosa un’affermazione di
re Hussein di Giordania, il quale nel 1990, dopo un’estate
particolarmente secca, disse che la sola ragione che avrebbe potuto
portare nuovamente la Giordania in guerra con Israele era l’acqua. Il
trattato di pace stipulato nel 1994 fra la Giordania e Israele fece
comunque compiere qualche passo verso la riconciliazione delle due
nazioni. Tuttavia, i palestinesi si lamentano del fatto che le leggi
israeliane sull’utilizzo dell’acqua sono discriminatorie (…)