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La
confessione del banchiere americano
Maurizio Blondet
Che un banchiere
intitoli le sue memorie “Confessioni di un sicario dell’economia” è già clamoroso. Ma ciò che il banchiere John Perkins
rivela nel suo libro, “Confessions of an economic hit man” (1) è
spaventoso: racconta di essere stato arruolato dal governo Usa allo
scopo di risucchiare a favore degli Stati Uniti le ricchezze di paesi
poveri, e ciò “attraverso manipolazioni economiche, tradimenti,
frodi”, attentati e guerre. Le rivelazioni di Perkins gettano una luce
del tutto nuova anche sulle motivazioni dell’invasione dell’Irak.
John Perkins dice di essere stato
reclutato quando era ancora studente, negli anni ’60, dalla National
Security Agency (NSA), l’entità più segreta degli Stati Uniti, e poi
inserito dalla stessa NSA in una ditta finanziaria privata. Lo scopo:
“Per non coinvolgere il governo nel caso venissimo colti sul fatto”.
Quale fatto? Abbastanza semplice. Come capo economista della ditta
privata Chas. T. Main di Boston con 2 mila impiegati, Perkins decideva
la concessione di prestiti ad altri paesi. Prestiti che dovevano essere
“molto più grossi di quel che quei paesi potessero mai ripianare:
per esempio un miliardo di
dollari a stati come l’Indonesia e l’Ecuador”. La condizione
connessa con il prestito era che in massima parte venisse usato per
contratti con grandi imprese americane di costruzioni e infrastrutture,
come la Halliburton e la Bechtel (strutture petrolifere). Queste ditte
costruivano dunque reti elettriche, porti e strade nel paese indebitato;
il denaro prestato tornava dunque in Usa, e finiva nelle tasche delle
classi privilegiate locali, che partecipavano all’impresa. Al paese, e
ai suoi poveri, restava lo schiacciante servizio del debito, il
ripagamento delle quote di capitale più gli interessi. L’Ecuador,
dice Perkins, è oggi costretto a destinare oltre metà del suo prodotto
lordo – cioè di tutta la ricchezza che produce – per il servizio
dei debiti contratti con gli Usa.
Ma questo è solo il
primo passo. Gli Usa, indebitando quei paesi, vogliono in realtà
“renderli loro schiavi”, dice Perkins. All’Ecuador, non più in
grado di ripagare, Washington chiede di cedere parti della foresta
amazzonica ecuadoriana per farla sfruttare da imprese americane. E’
questa la logica imperiale.
Tra i massimi successi dei “sicari economici”, Perkins rievoca
l’accordo riservato fra gli Usa e la monarchia saudita ai tempi della
prima crisi petrolifera negli anni ’70. Per gli Stati Uniti, era
necessario tramutare il rincaro del greggio da sciagura a opportunità.
La famiglia dei Saud, del resto, affogava nei petrodollari: le fu
proposto di investirli in titoli Usa e in grandi opere. La Bechtel (chi
scrive fu in Arabia all’epoca e può testimoniarlo)
ricoprì il reame desertico di nuove città e di impianti di
raffinazione per lo più inutili; la famiglia Saud accettò di mantenere
il greggio entro limiti di prezzo desiderabili per gli Usa, in cambio
dell’assicurazione americana che Washington avrebbe sostenuto il loro
potere per sempre. “E’ questo il motivo primo della prima guerra
all’Irak”, dice Perkins, e dell’intreccio privilegiato di affari e
finanza tra i sauditi e i Bush.
Secondo Perkins, gli Usa cercarono di ripetere l’accordo con Saddam
Hussein, “ma lui non c’è stato”. Da qui la sua rovina.
Perché, dice Perkins,
“quando noi sicari economici falliamo il bersaglio, entrano in gioco
gli sciacalli. Sono gli uomini della Cia, che cercano di fomentare un
golpe; se nemmeno questo funziona, ricorrono all’assassinio. Ma nel
caso dell’Irak, gli sciacalli non sono riusciti ad arrivare a Saddam:
lui aveva delle controfigure, la sua guardia era troppo attenta. Perciò
si è decisa la terza soluzione: la guerra”.
Perkins ha conosciuto personalmente
Omar Torrijos, il generale e dittatore di Panama degli anni ’70, morto
in un incidente aereo nel ’78. Torrijos fu ucciso, spiega Perkins,
perché aveva stilato un accordo coi giapponesi per la costruzione di un
secondo canale di panama, ed aveva ottenuto dall’Onu nel 1973 una
risoluzione che obbligava gli Usa a restituire alla sovranità panamense
il vecchio Canale. Le multinazionali americane “erano estremamente
arrabbiate con Torrijos”. Per questo scopo, quando Reagan divenne
presidente, gli furono fatti scegliere come ministri due alti funzionari
della Bechtel, Caspar Weinberger alla Difesa e George Schultz – il che
rivela molto sul ripugnante potere degli affari nella politica Usa –
per costringere Torrijos con le m minacce a rompere i negoziati coi
giapponesi (che stavano soffiando alla Bechtel l’affare del secolo) e
di rinnovare il trattato del Canale di panama, riconsegnandolo agli
americani. Torrijos rimase sulle sue posizioni: furono mandati in azione
gli “sciacalli”. L’aereo di Torrijos, dice Perkins, cadde per un
magnetofono che era stato riempito di esplosivo.
La stessa fine di
Enrico Mattei.
Conclude Perkins: il denaro che gli
Usa adoperano per indebitare i paesi poveri non è neppure denaro
americano. Sono la Banca Mondiale e il Fondo Monetario a fornirlo, e a
fornire ai poveri la corda per impiccarsi.
Note
1)
“Hit man” è il sicario prezzolato, il bastonatore assoldato dalla
Mafia e dalle ditte americane per picchiare gli scioperanti. Il libro è
acquistabile su Amazon. Pare essere auto-edito da Perkins.