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L’uscita del
libro dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton – «My life»-
ha costituito la scorsa settimana un evento di grande importanza per le
masse italiote teleguidate, al punto che lo stesso ex inquilino della
Casa Bianca ha dichiarato che se potesse si ricandiderebbe alle elezioni
politiche proprio nel nostro paese.
E il successo, stiamone certi, non potrebbe mancare, se come risulta da
una recente interrogazione parlamentare nell’aprile 1999 bastò una
semplice telefonata di Clinton per convincere l’allora presidente del
Consiglio Massimo D’Alema a portare l’Italia in guerra contro la
Federazione Jugoslava.
Qualcuno dovrebbe però far notare al sig. Clinton che la sua carriera
presidenziale è stata a tal punto infarcita di bugie ed omissioni da
risultare la sua credibilità altamente compromessa.
Non ci riferiamo ovviamente allo scandalo Lewinski, in quanto soltanto
in una nazione profondamente integralista (puritana) dal punto di vista
religioso come gli Stati Uniti un presidente può rischiare l’impecheament
per una scappatella con la segretaria e non ad esempio per un embargo
economico che ha provocato la morte di oltre un milione di persone in
Iraq.
E nemmeno ai tanti scandali finanziari conditi da strani omicidi che
hanno contrassegnato la carriera affaristica della coppia Bill-Hilary.
No, qui si vuole
rievocare una circostanza che avrebbe potuto cambiare le sorti della
storia, cioè la mancata cattura del presunto nemico numero 1 degli
Stati Uniti e dell’Occidente: Osama Bin Laden.
Già, perché nella sua autobiografia Bill Clinton asserisce di aver
cercato di uccidere lo sceicco saudita in più di una circostanza, forse
sapendo che proprio questa è stata invece la sua “disattenzione” più
grave.
Ma ricostruiamo lo
scenario con calma.
A partire dal 1996 il Dipartimento di Stato americano indica in Bin
Laden uno dei maggiori e più pericolosi finanziatori del terrorismo
islamico, al punto che nel 1997 la CIA organizza a Peshawar un piano per
catturarlo ma improvvisamente l’operazione viene sospesa.
Non c’è da stupirsi, perché già l’anno prima il governo del Sudan
aveva espresso la volontà di consegnare il miliardario saudita alle
autorità statunitensi, ma Washington aveva declinato l’offerta più
volte(1).
Offerta che, secondo l’agenzia “Reuters”, il governo di Khartoum
ripropose all’intelligence saudita il 6 novembre 2001.
Mentre è il “New York Times” del 30 luglio 1999 (a firma James
Rusen) a informarci che prima del bombardamento nordamericano delle
industrie farmaceutiche di Al-Shifa, le autorità sudanesi avevano
arrestato due estremisti islamici legati a Bin Laden e sospettati di
essere gli esecutori materiali degli attentati alle ambasciate
statunitensi in Kenya e Tanzania.
La risposta di
Clinton fu la distruzione delle principali fabbriche di medicinali del
Sudan, un crimine odioso che porterà alla morte di migliaia di persone
impossibilitate a curarsi per l’assenza di medicinali.
L’esimio scrittore Noam Chomsky riferisce in proposito di alcuni
promemoria dell’FBI che rivelano come la decisione di non collaborare
con il governo di Khartoum giunse dopo un durissimo scontro tra la
stessa agenzia statunitense e il Dipartimento di Stato; fu
quest’ultimo che volle invece dare avvio all’azione punitiva.
La stessa CIA conferma come il Sudan volesse consegnare «un
considerevole archivio informatico su Bin Laden e più di duecento
esponenti di primo piano della rete terroristica Al Qaeda negli anni
precedenti agli attacchi dell’11 settembre … E’ ragionevole
supporre –dichiara la CIA- che se fossimo stati in possesso di queste
informazioni forse saremmo riusciti a prevenire gli attacchi»(2).
Malati di fantapolitica?
Per fortuna ci
viene in soccorso un autorevole giornalista italiano, il filoamericano
Cesare De Carlo, quando sulle colonne del “Resto del Carlino” - nel
malcelato tentativo di difendere la ”Dottrina Bush” - cita un
recente libro dello scrittore statunitense Richard Miniter(3): «Gli
americani continuano a sostenere il loro presidente. Sanno che il
terrorismo è una delle eredità avvelenate di Bill Clinton. Il quale
ebbe molte occasioni per eliminare Osama Bin Laden. Il Sudan gliene offrì
l’estradizione prima che da profeta di morte diventasse organizzatore
di stragi …»(4).
Forse siamo cattivi, ma considerando anche l’uscita del film di
Michael Moore “9-11” (vincitore al Festival di Cannes 2004), nel
quale vengono mostrati i documenti che autorizzano la famiglia Bin Laden
a lasciare Washington il giorno successivo agli attentati dell’11
settembre 2001, mentre – ricordiamo per chi non avesse ancora
collegato il cervello - tutti i voli da e per gli Stati Uniti erano
sospesi e Osama Bin Laden era già stato indicato come il principale
sospettato per le stragi, possiamo tranquillamente affermare che la
politica delle bugie da parte della Casa Bianca non si è esaurita con
la presidenza Clinton …
Molto strani ci appaiono ad esempio combattenti rivoluzionari come i
ceceni che, negando la loro partecipazione alla resistenza irachena,
arrivano per bocca del ministro degli esteri indipendentista Ilyas
Akhmadov «ad aprire le porte all’OCSE e alla NATO»(5).
Sempre di più ci sembrano invece veritiere le parole di un interessante
libro dello scrittore cattolico Maurizio Blondet: «La testa del
serpente dov’è? E’ dappertutto. I nuovi capi della nuova Al Qaeda
sono in Georgia, sono in Iran, sono in Cecenia, sono nell’Africa
occidentale, dal dicembre 2002 anche nella striscia di Gaza, in Italia
… sono dovunque ci sia un interesse strategico ebraico-americano da
proteggere…»(6).
Note
1)
Ricci Valerio, “Il caso Sudan”, su “Orion” n. 12 dic.
2001, p. 39.
2)
Ricci, op. cit., p. 40.
3)
Miniter Richard, “Losing Bin Laden: How Bill Clinton’s
failures unleashed global terror”, Regnery Publishing, 2003.
4)
De Carlo Cesare, “Resto del Carlino” Domenica 7 settembre
2003, p. 15.
5)
“Gazzetta di Modena”, Lunedì 21 giugno 2004, p. 5.
6)
Maurizio Blondet, “Osama Bin Mossad”, Effedieffe, Milano
2003, p. 37.