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Bill Clinton: una vita da bugiardo?
A cura di Stefano Vernole

L’uscita del libro dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton – «My life»- ha costituito la scorsa settimana un evento di grande importanza per le masse italiote teleguidate, al punto che lo stesso ex inquilino della Casa Bianca ha dichiarato che se potesse si ricandiderebbe alle elezioni politiche proprio nel nostro paese.
E il successo, stiamone certi, non potrebbe mancare, se come risulta da una recente interrogazione parlamentare nell’aprile 1999 bastò una semplice telefonata di Clinton per convincere l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema a portare l’Italia in guerra contro la Federazione Jugoslava.
Qualcuno dovrebbe però far notare al sig. Clinton che la sua carriera presidenziale è stata a tal punto infarcita di bugie ed omissioni da risultare la sua credibilità altamente compromessa.
Non ci riferiamo ovviamente allo scandalo Lewinski, in quanto soltanto in una nazione profondamente integralista (puritana) dal punto di vista religioso come gli Stati Uniti un presidente può rischiare l’impecheament per una scappatella con la segretaria e non ad esempio per un embargo economico che ha provocato la morte di oltre un milione di persone in Iraq.
E nemmeno ai tanti scandali finanziari conditi da strani omicidi che hanno contrassegnato la carriera affaristica della coppia Bill-Hilary.

No, qui si vuole rievocare una circostanza che avrebbe potuto cambiare le sorti della storia, cioè la mancata cattura del presunto nemico numero 1 degli Stati Uniti e dell’Occidente: Osama Bin Laden.
Già, perché nella sua autobiografia Bill Clinton asserisce di aver cercato di uccidere lo sceicco saudita in più di una circostanza, forse sapendo che proprio questa è stata invece la sua “disattenzione” più grave.

Ma ricostruiamo lo scenario con calma.
A partire dal 1996 il Dipartimento di Stato americano indica in Bin Laden uno dei maggiori e più pericolosi finanziatori del terrorismo islamico, al punto che nel 1997 la CIA organizza a Peshawar un piano per catturarlo ma improvvisamente l’operazione viene sospesa.
Non c’è da stupirsi, perché già l’anno prima il governo del Sudan aveva espresso la volontà di consegnare il miliardario saudita alle autorità statunitensi, ma Washington aveva declinato l’offerta più volte(1).
Offerta che, secondo l’agenzia “Reuters”, il governo di Khartoum ripropose all’intelligence saudita il 6 novembre 2001.
Mentre è il “New York Times” del 30 luglio 1999 (a firma James Rusen) a informarci che prima del bombardamento nordamericano delle industrie farmaceutiche di Al-Shifa, le autorità sudanesi avevano arrestato due estremisti islamici legati a Bin Laden e sospettati di essere gli esecutori materiali degli attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania.

La risposta di Clinton fu la distruzione delle principali fabbriche di medicinali del Sudan, un crimine odioso che porterà alla morte di migliaia di persone impossibilitate a curarsi per l’assenza di medicinali.
L’esimio scrittore Noam Chomsky riferisce in proposito di alcuni promemoria dell’FBI che rivelano come la decisione di non collaborare con il governo di Khartoum giunse dopo un durissimo scontro tra la stessa agenzia statunitense e il Dipartimento di Stato; fu quest’ultimo che volle invece dare avvio all’azione punitiva.
La stessa CIA conferma come il Sudan volesse consegnare «un considerevole archivio informatico su Bin Laden e più di duecento esponenti di primo piano della rete terroristica Al Qaeda negli anni precedenti agli attacchi dell’11 settembre … E’ ragionevole supporre –dichiara la CIA- che se fossimo stati in possesso di queste informazioni forse saremmo riusciti a prevenire gli attacchi»(2).
Malati di fantapolitica?

Per fortuna ci viene in soccorso un autorevole giornalista italiano, il filoamericano Cesare De Carlo, quando sulle colonne del “Resto del Carlino” - nel malcelato tentativo di difendere la ”Dottrina Bush” - cita un recente libro dello scrittore statunitense Richard Miniter(3): «Gli americani continuano a sostenere il loro presidente. Sanno che il terrorismo è una delle eredità avvelenate di Bill Clinton. Il quale ebbe molte occasioni per eliminare Osama Bin Laden. Il Sudan gliene offrì l’estradizione prima che da profeta di morte diventasse organizzatore di stragi …»(4).
Forse siamo cattivi, ma considerando anche l’uscita del film di Michael Moore “9-11” (vincitore al Festival di Cannes 2004), nel quale vengono mostrati i documenti che autorizzano la famiglia Bin Laden a lasciare Washington il giorno successivo agli attentati dell’11 settembre 2001, mentre – ricordiamo per chi non avesse ancora collegato il cervello - tutti i voli da e per gli Stati Uniti erano sospesi e Osama Bin Laden era già stato indicato come il principale sospettato per le stragi, possiamo tranquillamente affermare che la politica delle bugie da parte della Casa Bianca non si è esaurita con la presidenza Clinton …
Molto strani ci appaiono ad esempio combattenti rivoluzionari come i ceceni che, negando la loro partecipazione alla resistenza irachena, arrivano per bocca del ministro degli esteri indipendentista Ilyas Akhmadov «ad aprire le porte all’OCSE e alla NATO»(5).
Sempre di più ci sembrano invece veritiere le parole di un interessante libro dello scrittore cattolico Maurizio Blondet: «La testa del serpente dov’è? E’ dappertutto. I nuovi capi della nuova Al Qaeda sono in Georgia, sono in Iran, sono in Cecenia, sono nell’Africa occidentale, dal dicembre 2002 anche nella striscia di Gaza, in Italia … sono dovunque ci sia un interesse strategico ebraico-americano da proteggere…»(6).

Note
1)     Ricci Valerio, “Il caso Sudan”, su “Orion” n. 12 dic. 2001, p. 39.
2)     Ricci, op. cit., p. 40.
3)     Miniter Richard, “Losing Bin Laden: How Bill Clinton’s failures unleashed global terror”, Regnery Publishing, 2003.
4)     De Carlo Cesare, “Resto del Carlino” Domenica 7 settembre 2003, p. 15.
5)     “Gazzetta di Modena”, Lunedì 21 giugno 2004, p. 5.
6)     Maurizio Blondet, “Osama Bin Mossad”, Effedieffe, Milano 2003, p. 37.


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