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Una
spedizione scientifica ha lavorato per 4 anni scandagliando
le profondità marine. I risultati su "Science"
La
città perduta dell'Atlantico
di
Luigi Bignami – tratto da “La Repubblica”
ROMA
- Strutture simili a torri alte anche 60 metri, pinnacoli che sembrano
palazzi adornati di merletti e balconi, campanili dal colore
bianco-grigiastro che assomigliano a minareti apparvero all'improvviso
di fronte ai fari del sommergibile scientifico Alvin, a circa 1100 km ad
ovest delle Azzorre, alla stessa latitudine dello stretto di Gibilterra.
Era il 2000 e a bordo vi erano ricercatori che partecipavano ad una
spedizione scientifica sottomarina condotta dai National Science
Foundations e che aveva come obiettivo l'esplorazione di una montagna di
4.600 metri sul fondo dell'Oceano Atlantico. Durante la prima spedizione
ci volle qualche minuto per rendersi conto che non si trattava di una
vera "Città Perduta", ma di una costruzione naturale. In
realtà sono depositi idrotermali anomali rispetto a quelli che si
trovano sui fondali marini e che da oltre un milione di anni avevano
costruito quella meravigliosa struttura che occupa un'area più grande
di due campi da calcio.
Ora
tutta la scoperta sarà illustrata su "Science" da Deborah
Kelley, oceanografa dell'università di Washington. Da tre anni a questa
parte alcune missioni scientifiche condotte con la nave oceanografica
Atlantis, i sottomarini Alvin e Abe (un veicolo in grado di muoversi in
modo autonomo senza equipaggio) hanno scandagliato ogni suo anfratto.
"Ciò che abbiamo scoperto è diverso da ogni altro habitat
oceanico, da un punto di vista geologico, chimico e biologico. È del
tutto differente anche da quanto si ritrova in prossimità del
"black smoker" (i "fumatori neri", le emissioni di
acque calde che fuoriescono in prossimità della dorsale oceanica, la
frattura nel mezzo degli oceani dove si originano e si allontanano le
placche della Terra). La composizione chimica della "Città
Perduta" e gli organismi scoperti aprono una nuova strada nella
ricerca di forme di vita che potrebbero esistere su altri mondi",
ha spiegato Deborah Kelley. "Gli organismi che abbiamo individuato
in quel mondo vivono in fluidi molto alcalini, simili alla soda caustica
e si nutrono di metano e idrogeno".