Home Page - Contatti - La libreria - Link - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori |
Una intepretazione spirituale di ciò che è accaduto all'Ilva e che sta succedendo nel mondo
Ciclone sull'Ilva
di Taranto
Stefano
Freddo - dicembre 2012
Anche la Natura si
scatena sulla fabbrica intorno alla quale si stanno da mesi confrontando
le visioni sociali contrastanti di questo nostro tempo storico. Come
sulla scena di una tragedia greca, giungono le Erinni, le Furie
scatenate della natura a presentarci il conto delle nostre azioni.
Un conto fatto di disastri sociali ed ambientali che nessuno dei
contendenti, degli attori in scena, vuole pagare e che imputa
all'avversario di turno.
Ma la morte portata dalla Natura è assai meno pesante di quella che ha
portato il nostro modello di economia alla Terra e all'Umanità intera.
La natura ci rimanda indietro assai meno distruzione di quella che noi
le abbiamo arrecato. E' solo una scossa quella che ci manda, perché
possiamo destarci in tempo, prima che sia troppo tardi.
L'Ilva di Taranto
è divenuta il simbolo vivente del grande paradosso che stiamo vivendo
come umanità, la contraddizione di un'economia che aspira al progresso,
che ha raggiunto potenzialità produttive enormi che potrebbe mettere al
servizio del benessere umano per una fraterna convivenza e invece non
riesce che a generare morte.
Gli ideali che vogliamo realizzare dimostrano tutti i loro effetti
distruttivi. Ideali di progresso e benessere che non tengono conto
dell'Uomo. Ideali di giustizia sociale che si vogliono imporre contro
nemici, una classe contro l'altra armata.
Ma dov'è l'Uomo?
L'Uomo che non è né operaio né imprenditore, né povero né ricco, né
oppresso né oppressore? Forse la Natura sta cercando di aiutarci a
trovarlo. Di fronte alla morte che essa ci porta, terremoti, alluvioni,
uragani, abbiamo forse la possibilità di non cercare un colpevole, di
sentirci tutti nella stessa barca, semplicemente Uomini.
Perché è solo la comprensione che ci occorre, comprensione che è assenza
di giudizio di condanna, per giungere ad accogliere anche gli eventi
sociali da un punto di vista puramente umano.
Qual è il segno
distintivo dell'Umano? Non è forse l'interesse per la vita nella sua
interezza e verità, il compartecipare e sentirsi responsabile di tutto
quanto accade? Imputare le responsabilità della desolazione in cui ci
troviamo a dei colpevoli, non è forse abdicare all'Umano? E non potrebbe
essere che i mali sociali che stiamo vivendo siano proprio l'occasione
propizia per trovare finalmente l'Umano?
Le forme sociali che abbiamo sviluppato fino ad oggi si dimostrano
infatti inadeguate a soddisfare le esigenze di una convivenza degna
dell'Uomo. L'Uomo è portatore di una meta futura, la meta del suo
realizzarsi come Uomo. Ogni Uomo sa infatti di essere più di quanto è
finora divenuto. Ogni Uomo porta in sé il germe dell'Umano, germe che è
forza di sviluppo verso il futuro, forza che ci ha condotto fino al
punto in cui oggi ci troviamo, ma che continuamente anela al
superamento, perché ad ogni traguardo raggiunto scorge nuove vie e nuove
possibilità.
La morte ci è
sorella in questo arduo percorso, perché le mete raggiunte a prezzo di
tanto sforzo e tanto dolore tendono a voler conservare se stesse,
ostacolando ciò che ci chiama dal futuro.
Allora qualcosa del passato deve morire, deve essere sacrificato per una
nuova evoluzione. L'uomo non ha ancora compreso che egli vive in questo
equilibrio tra passato e futuro, tra morte e vita. Non ha ancora
compreso che il significato profondo del suo passato sta nel suo
compimento futuro, che questo compimento futuro richiede il sacrificio
di ciò che è stato conquistato in passato. Che senza tale sacrificio lo
stesso passato viene tradito, perché esso aspirava al suo compimento
futuro. E così l'uomo resiste alla morte del vecchio, non vuole
rinunciare alle forme antiche che si è conquistato, ignaro che il suo
essere Uomo è fatto di
divenire,
che egli è un
essere
errante,
che come
Figlio
dell'Uomo non ha un luogo dove posare il capo.
Abbiamo sempre
posato il nostro capo sui caldi guanciali, nelle diverse case che nella
storia con fatica ci siamo costruite. E anche questo fa parte
dell'umano, è il riposo dopo il lavoro, necessario per riprendere il
cammino con nuovo vigore. Ma ci siamo troppo spesso adagiati nella
soddisfazione di questo riposo, pensando che fosse il riposo la meta del
nostro andare, smarrendo pian piano la gioia del viaggiare.
Allora è giunta ogni volta la tempesta a distruggere la nostra casa, a
costringerci a riprendere il viaggio. E la tempesta continuerà a
ritornare, fino a quando non troveremo una casa così solida che resista
alle tempeste e ai terremoti, una casa adatta all'Uomo.
Osservando i segni dei tempi, vediamo che l'Umanità è già sulla via di
divenire un solo popolo. I popoli viaggiano, si rimescolano, uomini da
ogni angolo della terra si ritrovano in ogni regione del mondo.
Come riconoscere e
garantire oggi, nelle mutate condizioni, il diritto e la dignità di ogni
Uomo? Le leggi provenienti dal passato si dimostrano inadeguate. Ius
Sanguinis o Ius Soli? Diritto di cittadinanza secondo il sangue, secondo
l'appartenenza a un popolo, o per nascita in un determinato luogo? Né
l'uno né l'altro sono adeguati a riconoscere la dignità dell'Uomo come
cittadino della Terra intera.
Su questa Terra chi è il sovrano? Chi ha il legittimo potere di
amministrare la vita dell'Umanità? Nel corso della storia molti hanno
provato, cesari, imperatori, dittatori, presidenti.
Quando i popoli erano suddivisi in regioni distinte sulla faccia della
terra, poteva ancora avere un senso che alcuni popoli più evoluti sotto
determinati aspetti svolgessero per un certo tempo una funzione guida
nell'umanità. Ma oggi ciò non è più possibile. Gli uomini stanno
lavorando per giungere ad una meta comune, per giungere ad un tempo in
cui le distinzioni dovute alla nascita saranno superate.
Otri nuovi per
il vino nuovo
Nella
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo questi principi
universalmente umani sono già stati riconosciuti. Ma le forme sociali
mediante le quali vorremmo realizzare questi principi non sono adatte
allo scopo, sono ancora quelle provenienti dal passato.
La sovranità
appartiene al popolo,
recita la
Costituzione della Repubblica Italiana. Ma quale popolo, quello
italiano, quello padano o siciliano? In nome del popolo, di qualsiasi
popolo, si possono solo creare lotte e divisioni, aizzare un uomo contro
l'altro.
Il nostro sistema democratico non è adeguato a rispondere alle mutate
esigenze dell'Uomo.
Un parlamento che delibera a maggioranza, che vive sulla lotta di
fazioni contrapposte, non è adatto a soddisfare i bisogni dell'Uomo.
Poiché l'Uomo
non può mai essere rappresentato da un gruppo, per quanto grande esso
sia. Il suo vero essere vive pienamente solo in quanto è al contempo
individuale e universale, uno e irripetibile e parte dell'intera
Umanità. E non c'è sovrano al mondo che lo possa rappresentare. Solo
egli stesso può essere libero sovrano di se stesso. Divenire sovrano di
sé è la meta di ogni Uomo.
Ogni
Uomo oggi vuole poter decidere liberamente della propria vita. E qui
sorge la domanda: può essere realizzato questo anelito in modo tale che
non si generi la guerra di tutti contro tutti come conseguenza
dell'espressione delle volontà individuali? A questo possiamo
rispondere: l'Uomo è
per sua natura
un
essere in divenire, sempre in tensione tra diversi opposti, in lotta tra
polarità nella continua ricerca di un nuovo equilibrio. Quindi è
illusorio pensare che possa esistere per lui una condizione di
tranquilla serenità, in cui non ci siano conflitti, che la società possa
giungere ad una condizione paradisiaca in cui possa mantenersi
indefinitamente. Questo paradiso in terra è stato sempre promesso dalle
ideologie che hanno sedotto l'uomo, l'hanno cullato in illusioni e
condotto al sonno, puntualmente interrotto da incubi e da dolorosi
risvegli.
La questione è
piuttosto se gli inevitabili conflitti possano essere contenuti entro
giusti confini, se il loro esprimersi possa divenire occasione di
crescita positiva per tutti piuttosto che di distruzione.
Il conflitto più grande che oggi stiamo vivendo, di cui la vicenda
dell'Ilva è il simbolo, è quello tra le esigenze di un'economia in crisi
costretta ad un drastico ridimensionamento e l'esigenza di garantire la
sopravvivenza a tutti i lavoratori e le loro famiglie, che vedono
inesorabilmente svanire le loro speranze di una sicurezza lavorativa per
il futuro. La lotta per la giustizia e la dignità umana origina in tempi
lontani, ma è giunta a una dimensione planetaria solo da poco più di un
secolo, con le rivendicazioni del movimento socialista per una giusta
compartecipazione dei lavoratori proletari al benessere economico
prodotto dall'industrializzazione, dal progresso scientifico e
tecnologico che andava a vantaggio di pochi.
Da quegli inizi
due guerre mondiali sono venute a mostrare le conseguenze di
socializzazioni concepite come vittoria su dei nemici, sulla base della
superiorità della razza o della supremazia di una classe sociale su
un'altra. Il mito della razza è crollato per primo, dopo aver lasciato
dietro di sé 6 milioni di ebrei morti; quello della lotta di classe ha
invece resistito più a lungo, causando un'ecatombe ancora troppo
sottaciuta: 60 milioni di morti nella Russia Sovietica. E' assai labile
il confine tra essere oppressi e divenire oppressori.
Le repubbliche democratiche europee sorte dopo l'ultima catastrofe
bellica hanno cercato di ripartire su nuove basi, affinché gli orrori
vissuti non si ripetessero più. Sono stati recepiti nelle Costituzioni
Democratiche i principi volti a garantire la tutela per ogni cittadino,
la libertà di pensiero e espressione unite al diritto al lavoro e
all'assistenza sociale in caso di bisogno, l'uguaglianza di fronte alla
legge, e così via. La rappresentanza democratica nei parlamenti delle
differenti concezioni dello stato e degli interessi delle diverse classi
e gruppi sociali sembrava garantire un equilibrio di forze che potesse
mantenere la salute dell'organismo sociale. Ma così non è accaduto. I
ricchi sono divenuti nuovamente pochi e gli impoveriti continuano ad
aumentare.
Com'è possibile
che sia accaduto?
Non è possibile trovare la risposta se si rimane prigionieri dei vecchi
schemi, se si ritiene che coloro che oggi si sono arricchiti siano gli
sfruttatori, che essi abbiano usato mezzi illeciti a danno di coloro che
oggi soffrono e perdono il lavoro. Si possono trovare le vere risposte
circa le cause dell'attuale crisi solo guardando i fatti economici senza
animosità e senza odio verso coloro che consideriamo i nemici, come i
banchieri o gli affaristi che operano in borsa cercando di realizzare
lauti profitti. Naturalmente essi esistono e agiscono. Ma possono dire
coloro che si ritengono onesti e giusti, che magari ritengono di essere
oppressi, di essere totalmente estranei allo sfruttamento dell'uomo, di
non essere loro malgrado corresponsabili della miseria in cui si
trovano?
C'è stato un
periodo in cui il progresso e il benessere sociale sembravano
assicurati. Crescita economica, lavoro per tutti, servizi sociali e
scuola pubblica garantiti. Sembrava che pian piano si riuscissero ad
eliminare gli ultimi residui della miseria e dell'ingiustizia sociale.
Ma sempre in agguato stavano il debito pubblico e l'inflazione, tenuti a
freno con contromisure capaci solo di spostare il problema a domani.
Ed ora quel domani è giunto, i nodi sono giunti al pettine. Continuare
con le vecchie ricette serve solo ad accelerare la corsa verso il
precipizio.
Questo sistema sta crollando perché l'abbiamo costruito su equilibri di
potere e sulla lotta tra classi sociali e partiti. Non l'abbiamo
edificato sull'Uomo. E, come dice il detto evangelico:
Se un
regno è
diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa
in se stessa, quella casa non può reggersi.
Le giuste
rivendicazioni dei lavoratori e della parte più povera dell'umanità
volte ad ottenere condizioni di vita e lavoro degne dell'Uomo, sono
state realizzate attraverso la lotta contro i ricchi, i capitalisti. La
volontà di giustizia era ancora inquinata dall'odio. E' comprensibile
umanamente che sia avvenuto ciò, ma non poteva produrre nulla di buono.
L'atavica e sana indignazione verso l'ingiustizia è stata presa e usata
da forze oscure, trasformata in odio da capipopolo e apparati di
partito, intenzionati solamente a rivolgerla contro l'Uomo per dominarlo
in un nuovo modo.
Dopo i disastro della seconda guerra mondiale, il sistema democratico ha
tentato un passo avanti. La nostra Costituzione ha voluto garantire ad
ogni uomo la dignità e il benessere sociale, ma nonostante le buone
intenzioni dei padri costituenti, uomini di grande statura morale che
oggi rimpiangiamo, gli strumenti di cui disponevano, le norme del
diritto, i principi giuridici che si insegnavano nelle Università, erano
e sono ancora oggi nella sostanza quelli dell'antica Roma.
L'antico Impero Romano si è retto così a lungo solo perché esistevano gli schiavi, una moltitudine di uomini che garantiva ai liberi agiate condizioni di vita, uomini venduti sul mercato come si contrattavano le merci. L'impero romano è poi crollato, perché ha inglobato in se stesso il germe rivoluzionario del Cristianesimo, germe di Umanità che è in ogni Uomo, superamento di ogni schiavitù. L'otre vecchio si è rotto e anche il vino nuovo è andato così temporaneamente perduto; lo spirito originario del Cristianesimo si è mescolato col potere terreno.
E così la fine
della schiavitù era rimandata. Nella storia la schiavitù ha assunto
sempre nuove forme. La sua origine è nel peccato, nell'esperienza della
separazione. Finché l'uomo cerca la causa della propria schiavitù in ciò
che è separato da sé, in qualcuno che non sia se stesso, non può fare
altro che rivoltarsi contro un altro uomo, smarrendo l'Umano che è in sé
come nel proprio nemico.
Il nemico del lavoratore è il capitalista, colui che sfrutta il suo
lavoro. Lotte interminabili erano riuscite ad imporre all'imprenditore
di pagare giustamente il lavoro dell'operaio. Lo Stato ha poi stabilito
che anche per il mantenimento degli inabili al lavoro e dei disoccupati
dovessero provvedere le imprese produttrici attraverso risorse derivanti
dall'imposizione fiscale sul prodotto del lavoro comune di imprenditori
e operai. Giustizia era fatta. Ma l'operaio non si è accorto che, invece
di liberarsi dalla schiavitù, egli ha creduto di poterne fare la sua
forza. Ha messo sul campo di battaglia contro l'imprenditore la propria
forza lavoro, alzando il suo prezzo attraverso l'arma dello sciopero.
Non si accorgeva che così rendeva il suo stesso lavoro una merce, che
portava sul mercato del lavoro se stesso, vendendo se stesso come un
tempo si vendevano sul mercato gli schiavi. Il
mercato del lavoro
è una
definizione che nasconde un grande inganno. Non esiste il lavoro in
astratto. Esistono solamente uomini che lavorano.
Il mercato del
lavoro è mercato di uomini, mercato di schiavi.
Non può più essere
tollerato oggi questo mercato. L'Uomo esige oggi la sua piena
liberazione.
La vera causa
della crisi
La
causa della crisi economica è derivata proprio dall'aver voluto pagare
il lavoro come una merce.
Il lavoro è
diventato così un
costo di
produzione.
E anche
la tutela sociale della comunità, realizzata prelevando le risorse dalle
tasse sui redditi e sulle imprese, è diventata un costo di produzione.
Questi
costi sociali si sono scaricati interamente sui prezzi delle merci e dei
servizi prodotti.
Questa è l'origine
dell'INFLAZIONE. I prezzi aumentano e il denaro circolante perde il suo
valore. Allora se ne deve emettere di nuovo per reintegrare il valore
perduto e questo genera debito. Il signoraggio monetario e il debito
pubblico sono solo la
conseguenza
dell'inflazione causata dalla tassazione dell'economia e non la causa
della crisi. Per tener dietro all'inflazione si sono sempre dovuti
aumentare i salari e le tasse, e questo non ha fatto altro che generare
nuova inflazione. Oggi in Italia la pressione fiscale sulle imprese
tocca il 70% !
Fermiamo questa
spirale
autodistruttiva finché siamo ancora in tempo!
Rendiamoci finalmente conto che i colpevoli della schiavitù e della
miseria non sono i furbi, i banchieri o i politici, ma sono i nostri
stessi pensieri, i principi su cui abbiamo creduto di costruire un equo
ordine sociale.
La sola vera
ingiustizia
Il
nemico che oggi ci troviamo davanti non è più un uomo o una classe
sociale, come nel passato. E' uno strano essere che si chiama FINANZA.
Finalmente possiamo unirci tutti insieme per vincerlo. Possiamo superare
l'odio verso l'altro l'uomo e unire le nostre forze per la buona
battaglia, la battaglia che non prevede sconfitti e morti sul campo, ma
solo vincitori.
Il denaro è uno strano essere. Lo usiamo per scambiarci le merci, ma lui
è disonesto perché, mentre le merci si consumano, sono fatte per essere
consumate, lui invece continua a crescere. Lo abbiamo messo in banca e
lui cresceva con gli interessi. Il suo potere ci prometteva una vita
comoda, la soddisfazione di ogni nostro desiderio. E' una seduzione
potente per il nostro anelito al risposo eterno, al paradiso in terra!
Tutti siamo caduti nella sua trappola. Dobbiamo allora odiare il denaro?
Dovremmo in tal caso odiare noi stessi, perché il denaro è nato dal
nostro pensiero.
Mutare mente
E'
dunque presto trovata la via per risolvere la crisi. E' sufficiente che
cambiamo il nostro modo di pensare per cambiare la situazione sociale.
E' necessario correggere i nostri pensieri, per correggere infine il
denaro che da essi è nato. Occorre solamente fa morire una parte dei
nostri pensieri. E occorre pure
far morire una
parte dei valori monetari.
Così realizzeremo
un'economia
di giustizia:
il denaro si consumerà come le merci e non sarà più un concorrente
sleale nella vita economica.
Perché tassare le imprese, le produzioni, i redditi, le proprietà? Ci
pensa già la natura a tassare tutti i beni economici; essi sono tutti
deperibili, si consumano e marciscono nel tempo. Il solo valore che deve
essere tassato è il denaro, che non deperisce per natura, essendo solo
un valore astratto, non naturale.
Abolizione di
tutte le tasse sull'economia
Eliminando ogni forma di prelievo fiscale e contributivo dall'economia,
i costi di produzione si riducono a meno della metà rispetto agli
attuali. Di conseguenza i prezzi crollano e il denaro raddoppia il suo
potere d'acquisto. Con la ricchezza così ottenuta è possibile trovare le
risorse per pagare interamente il debito pubblico in breve tempo.
Tassa unica
sulla moneta
E'
necessario applicare un'unica tassa sulla moneta, in sostituzione di
tutte le attuali. Convertendo in moneta elettronica tutti i valori
monetari esistenti in Italia, si può applicare ad essi automaticamente
attraverso procedure informatiche controllate dallo Stato un'imposta
giornaliera in forma di interesse passivo nella misura dello 0,022%,
pari ad un tassazione annua dell' 8%. Questa forma di tassazione non
necessita di alcun controllo, di alcun documento fiscale per le
operazioni economiche e le transazioni finanziarie, né di alcuna
dichiarazione dei redditi. Non si applica ai redditi, alle persone, alle
proprietà, ma è una semplice forma di deperimento monetario, equivalente
al deperimento delle merci.
Svincolare il
reddito dal lavoro – Reddito di Cittadinanza
Il
problema dell'Ilva, come di tutte le imprese in crisi, si risolverebbe
assai facilmente. In primo luogo la detassazione dell'economia
renderebbe assai concorrenziali i prezzi delle merci prodotte nel nostro
paese; e ciò farebbe gli interessi sia delle imprese che dei
consumatori.
In secondo luogo, per fare anche gli interessi degli operai, tutelare la
salute loro e della popolazione che muore di tumori e altre malattie “da
progresso”, è necessario che si chiudano immediatamente tutte le aziende
produttrici di morte.
La sussistenza
dei lavoratori e di ogni cittadino deve essere garantita
indipendentemente dal lavoro, attraverso un reddito incondizionato dalla
nascita alla morte.
Le risorse per questo reddito devono provenire dalla tassazione della
moneta,
tassazione che non
può essere evasa e che non richiede alcun controllo.
Sul caso Ilva, stiamo assistendo ad un conflitto assurdo tra la
magistratura che giustamente ha imposto il sequestro degli impianti e la
loro messa in sicurezza e il Governo che ha dato l'autorizzazione alla
riapertura per soddisfare l'esigenza dell'occupazione e del salario dei
lavoratori.
Come si può accettare di andare a morire e di causare la morte di interi territori per un pezzo di pane? Stiamo producendo una quantità di merci doppia rispetto alle esigenze del consumo. Siamo sommersi di rifiuti. Nelle campagne i prodotti agricoli vengono buttati al macero perché i prezzi pagati alla produzione non ripagano nemmeno i costi della raccolta, mentre i prezzi al consumo vanno alle stelle per l'assurda imposizione fiscale su ogni operazione economica. La gente non dispone di un reddito adeguato per comprare ciò che viene prodotto e le aziende chiudono o falliscono una dopo l'altra. Non si può continuare a credere che l'unico modo di garantire il reddito e la sopravvivenza alle persone sia creare nuovi posti di lavoro, perché già si produce in eccesso, ci sono le macchine che aiutano l'uomo e che gli alleviano la fatica. Il progresso umano ha realizzato tecnologie avanzatissime perché l'uomo potesse liberarsi dalla schiavitù della fatica e potesse nutrire anche lo spirito, oltre che il corpo. E invece continuiamo a lavorare sempre più e nemmeno il corpo riusciamo ormai a nutrire. Il progresso tecnico è frutto della cultura e la cultura è patrimonio dell'intera umanità. Tutti hanno il diritto, in quanto uomini, di godere dei frutti della cultura. E tutti hanno il diritto a mangiare il pane che cresce sulla terra, perché anche se le terre sono proprietà privata, il sole, la pioggia e l'aria che fanno crescere il grano sono patrimonio dell'intera umanità.
Che interesse
avrebbe il contadino a produrre alimenti se poi non ci fosse nessuno che
li può acquistare perché non ha il lavoro e il denaro? Sarebbe solamente
una perdita di lavoro e di denaro anche per lui.
E' interesse di tutti che ogni uomo disponga di un reddito di base, col
quale può soddisfare i suoi bisogni primari e garantire anche un giusto
guadagno ai produttori e alle imprese economiche.
Erogare questo reddito non è questione di buon cuore, ma è un'esigenza
vitale per l'intero organismo sociale.
Ogni Uomo è
sovrano
La
politica non ha il compito di organizzare l'economia e la cultura. Le
attuali condizioni sociali provengono da questo errato pensiero, quello
dello Stato unitario che organizza interamente la vita delle persone.
Solo all'individuo compete decidere della propria vita, stabilire quali
siano i suoi bisogni e su quali valori fondare la propria esistenza. Lo
Stato deve solo garantire le pari opportunità, le pari condizioni di
partenza. E l'unico modo di provvedervi è di garantire a tutti la
soddisfazione dei bisogni primari, del diritto alla vita e ad
un'esistenza degna dell'uomo.
La via percorsa finora ha ampiamente dimostrato di essere sbagliata
nelle premesse, perché ha causato la crisi economica e la miseria.
Lo stato deve creare il terreno dell'uguaglianza, agendo non sulla
volontà degli individui con leggi imposte dall'alto, ma solamente sullo
strumento del denaro che è in se stesso ingiusto e fuori controllo.
Rendendolo deperibile si riporterà sotto il controllo dell'uomo, si
ricollegherà all'economia reale delle merci, al servizio del benessere
di tutti.
Non sarà più
possibile accumulare denaro senza lavorare, perché esso con la
tassazione diminuirà nel tempo e sarà redistribuito a tutti i componenti
dell'organismo sociale per tutelarli nei loro bisogni primari. Non si
lavorerà più per il salario, ma per produrre ciò che occorre agli
uomini.
Saranno i bisogni reali a determinare le produzioni e non la necessità
di creare posti di lavoro per garantire il reddito.
La decrescita e il risanamento ambientale avverranno spontaneamente e in
breve tempo quando gli uomini saranno liberi di decidere della propria
vita. Nessuno sarà più costretto ad accettare un lavoro indegno
dell'Uomo. Le produzioni pericolose per l'uomo e l'ambiente non
troveranno più operai disponibili. Chi vorrà lavoratori per la propria
impresa dovrà rendere il lavoro sicuro e gratificante per il lavoratore.
I rapporti di lavoro si modificheranno, perché tutti potranno lavorare
per scelta, nel campo in cui sono dotati di talento e in un confronto
costruttivo coi collaboratori. Il rapporto di lavoro dipendente
gradualmente sparirà e si avranno liberi accordi di collaborazione e
divisione del lavoro. Attraverso la libera contrattazione ogni
lavoratore potrà chiedere un compenso corrispondente al valore economico
delle sue prestazioni. Si realizzerà così la meritocrazia. Ci si potrà
arricchire solo essendo altruisti, producendo beni per soddisfare i
bisogni umani. E comunque questo aumento di ricchezza personale andrà
sempre redistribuito a vantaggio di tutti attraverso la tassa sulla
moneta e il reddito di cittadinanza.
La proliferazione tumorale della finanza sarà finalmente vinta. E il denaro, da strumento di schiavitù diverrà ministro di fraternità.
Il potere
dell'Uomo
L'Uomo
è un essere dotato di enormi possibilità evolutive. E' sì un essere
creato dalla Natura, ma può completarsi solo da se stesso, attraverso la
coscienza dello Spirito che è in lui.
Amore e Conoscenza sono le forze trainanti di questo divenire, forze che
lo fanno emergere dall'oscura incoscienza dell'essere creatura alla
chiara coscienza di poter essere creatore. Creatore di qualcosa di nuovo
che è trasformazione continua del male in bene, riconoscimento che il
proprio essere non è separato dal mondo e dagli altri esseri umani, ma
solo nella comunione trova se stesso.
Comunione che può essere solo libera offerta, mai socializzazione
obbligata dal bisogno di natura o da “principi etici”. Offerta di ciò
che è massimamente sacro, della propria unicità, del contributo
individuale alla comunità che è prezioso più dell'oro solo in quanto può
essere unico. E può essere unico solo quando è libero.
Oggi abbiamo una grande possibilità, quella di liberare questo enorme
potere dell'Uomo dalle catene che noi stessi inconsapevolmente ci siamo
costruiti. Ci siamo incatenati da soli affinché riconoscessimo che siamo
noi stessi i nostri più grandi nemici. Solo così saremmo riusciti,
amando noi stessi, ad amare anche i nostri nemici, a riconoscere di
essere tutti parte di un'unica Umanità.
Stefano Freddo
Verona,
4 dicembre 2012