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Ciampi ferma la legge Gasparri
Berlusconi: per me non conta niente
Di Vincenzo Vasile - «l’Unità» 15 dicembre 2003

Altro che rinvio “tecnico”. La formula pudibonda messa avanti per evitare alle più alte istituzioni di farsi eccessivamente e reciprocamente male va a pezzi alla lettura delle cinque pagine con cui Carlo Azeglio Ciampi ha chiesto al Parlamento una “nuova deliberazione” sulla legge Gasparri. Per contrappasso, proprio il ministro delle Comunicazione ha dovuto apporre la sua controfirma al documento inviato dal presidente ai due rami delle Camere che contiene una severissima requisitoria, in punto di diritto, contro le norme-cardine che avrebbero dovuto certificare e perpetuare il conflitto di interessi di Berlusconi.
È una legge – scrive Ciampi - che in alcune sue parti, “per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione, appare non in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale”. Il fatto è che , stando alla posizione del capo dello Stato, tra quindici giorni Rete4 – il canale berlusconiano “abusivo” che godeva di un regime transitorio - dovrà essere dismessa o mandata sul satellite. Ciampi censura infatti come la legge Gasparri si proponga di aggirare il termine di chiusura di quel regime transitorio fissato nel 31 dicembre 2003 come “finale, certo e non prorogabile” dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 466 del 20 novembre 2002. Usando il bulino dei richiami alle norme e alla giurisprudenza, senza alzare il tono della voce, Ciampi è netto e “tranchant” a proposito del trucco architettato per trasformare una sedicente “legge di sistema” in un provvedimento ad personam. Non è possibile - sostiene - far slittare alle calende greche il trasferimento sul satellite di Rete4 stabilito da una sentenza della Corte costituzionale. E’ vero che il digitale terrestre è destinato a modificare la situazione esistente, portando al superamento in prospettiva delle indicazioni della Consulta, ma tale mutamento sarà consentito soltanto quando il digitale sarà una realtà. In altre parole: è vero che il provvedimento, scrive il capo dello Stato, in qualche modo, “si fa carico del problema” del pluralismo dell'informazione in un sistema “derivante dall’espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre”. Ma alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale non si può accettare di usare questa prospettiva di sviluppo come una scusa per aggirare il vincolo. Ha detto la Corte: la situazione attuale non garantisce l’attuazione del pluralismo informativo, che come si sa , è per Ciampi fondamento di democrazia.

Perciò entro la fine dell’anno, o si introduce la nuova televisione digitale, che consente l’uso di un numero eccezionale di canali e una grande possibilità di scelta, oppure l’attuale duopolio-monopolio verrà colpito. Invece, l'Autorità per le comunicazioni, come è previsto dalla legge Gasparri nel suo articolo 24, ha tutto il 2004 per stabilire un'indagine sul digitale. E dodici mesi sono troppi: “Questo lasso di tempo - molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica - si traduce di fatto in una proroga del termine finale indicato dalla Corte Costituzionale”. “Molto ampio”, quel “lasso di tempo”, scrive il presidente, tanto ampio da destare cattivi pensieri. Ma questa chiosa non è di Ciampi. Che ha affidato ai suoi consiglieri giuridici (Gaetano Gifuni e salvatore Sechi) il compito di vestire con una solida argomentazione tecnica e apparentemente asettica la sua appassionata difesa del pluralismo. E anche forse una certa indignazione nei confronti degli espedienti tartufeschi escogitati per violare i vincoli di legge.

L’altro trucco della “Gasparri” che non va giù a Ciampi è sintetizzato in un acronimo che ormai è noto anche fuori dalla cerchia degli addetti: il Sic, sistema integrato delle telecomunicazioni. "Non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento su altre parti della legge che - per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione - appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale”. Accrescendo a dismisura il “mercato di riferimento” su cui calcolare il limite del 20 per cento antitrust, inventando il Sic, si vuol forzare quei pronunciamenti: "Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari - scrive Ciampi - il sistema integrato delle comunicazioni (Sic) - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20% (art.15, secondo comma, della legge) di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti”.
E’ un colpo al cuore all’impostazione del governo: Ciampi – a ben leggere la sua lettera alle Camere che dovrebbe guidare la riscrittura della Gasparri - non chiede aggiustamenti, ma pretende che venga tolto di mezzo il parametro statistico fasullo su cui la cosiddetta “riforma” si regge. Così come invoca attenzione per le proteste venute da tutto il mondo dell’editoria della carta stampata: il presidente della Repubblica affronta anche il nodo della raccolta pubblicitaria: “Quanto al problema della raccolta pubblicitaria si richiama la sentenza della Corte Costituzionale 231 del 1985 che, riprendendo principi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela”.

La Costituzione: argomento non propriamente “tecnico”, che proprio non va giù al furente premier che ieri ha subito a capo chino con le labbra strette l’annuncio di Ciampi al chiuso dello studio del Torrino, e poi ha fatto buon viso e ha detto di non considerarlo un “vulnus”, annunciando così qualche piccolo lifting da effettuare correndo contro il tempo, verso una fine d’anno che sembra una tagliola.

 
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