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Creata
in fretta da Bush, presieduta dal suo vice e petroliere Cheney, integrata dal
Pentagono, la task force Usa sull'energia è forse alla base della guerra contro
l'Iraq. Di questa task force è segreto tutto: attività, scopi, partecipanti
alle riunioni. C'è voluta una causa, ma i documenti cominciano a emergere
RITT GOLDSTEIN
«La task force di Cheney mira al petrolio iracheno», diceva un recente lancio d'agenzia della Associated Press. Mentre Bush non riesce a scrollarsi di dosso il dibattito sulla legittimità della guerra in Iraq, la Ap ha raccontato le accuse mosse all'amministrazione americana da Judicial Watch, un'organizzazione non governativa americana conservatrice che combatte le scorrettezze compiute dal governo. Attraverso mappe dettagliate e documenti, Judicial Watch sostiene che un gruppo di altissimo livello dell'amministrazione americana - la task force per l'energia del vicepresidente Cheney - aveva manifestato un decisivo interesse per il petrolio in Iraq. Una frase del presidente di Judicial Watch, Tom Fitton, riassume il significato delle rivelazioni: «Gli oppositori della guerra - dice Fitton - punteranno su questi documenti come prova che era il petrolio a muovere l'amministrazione Bush durante la costruzione della campagna in Iraq». Durante l'autunno del 2002 divenne noto che alla task force di Cheney era stato chiesto di concedere spazio al ministero della difesa, sebbene nessun membro del Pentagono risultasse ufficialmente nella pianta organica.
Solo
recentemente è emerso che la «guerra del petrolio» era vista dal Pentagono
come un'opzione possibile fin dal 1999, e che quindi la richiesta dei militari
di partecipare alla task force di Cheney coincideva con l'idea di un intervento
militare per assicurare forniture energetiche agli Stati uniti. Quello della Ap
è quindi il primo articolo di un grande mezzo di comunicazione americano sul
coinvolgimento della task force nella guerra del petrolio (chi scrive, invece,
di questo coinvolgimento aveva già parlato: vedi il manifesto dello
scorso settembre).
Nata nel gennaio del 2001, la task force è stata creata dal presidente Bush
durante la sua seconda settimana alla Casa bianca, come sviluppo di «una
politica energetica nazionale disegnata per assistere il settore privato», per
citare la dichiarazione ufficiale con cui venne insediata. E le polemiche
intorno a questo organismo sono esplose quasi subito, a partire dall'estate del
2001, quando la Casa bianca prese l'inusuale decisione di rifiutarsi di rendere
pubblici i documenti interni della task force, e persino di fornire l'elenco dei
partecipanti alle riunioni.
Bush disse che rivelare queste informazioni sarebbe stato
in contrasto con il principio costituzionale della separazione dei poteri tra le
diverse branche del governo. La posizione dell'amministrazione provocò una
denuncia di Judicial Watch e di altre organizzazioni non governative, compreso
il Sierra Club, con il risultato che l'organizzazione di Fitton potè acquisire
i documenti richiesti.
Le
denunce delle ong si sono moltiplicate a causa dei molti dubbi sollevati
dall'influenza dell'industria dell'energia sulla task force di Cheney. A queste
denunce se ne è aggiunta una senza precedenti, presentata dal General
accounting office (Gao), il braccio investigativo del Congresso. La denuncia
del Gao puntava a ottenere la lista dei nomi di tutti i partecipanti alle
riunioni della task force. Evidenziando l'innaturale resistenza
dell'amministrazione Bush a fornirli, il capo del Gao, David Walker, ha
sottolineato che informazioni come queste vengono comunemente date al Congresso.
Viste le pressioni per inserire il ministero della difesa nel gruppo di Cheney,
che cosa la task force può aver discusso, con chi e quando, oggi sembrano
diventate informazioni vitali ed esplosive.
Commentando l'interesse della task force per l'Iraq che emerge dai documenti
ottenuti, Tom Fitton ha sottolineato la necessità di rendere pubblico tutto il
materiale. «Questi documenti spiegano l'importanza della task force - ha detto
il presidente di Judicial Watch - e il motivo perché le sue operazioni
dovrebbero essere rese pubbliche».
Bisogna
notare che i documenti della task force di Cheney resi pubblici fino a oggi sono
stati ottenuti soltanto attraverso altri settori del governo entrati in contatto
con la task force, e soltanto attraverso il ricorso ai tribunali. Se la task
force rispetti le leggi anticorruzione assicurando la pubblica trasparenza è un
argomento che sarà discusso in tribunale, ma i mezzi di comunicazione degli
Stati uniti hanno già cominciato a denunciare l'influenza politica evidente
dietro alcune decisioni-chiave dei tribunali, e dietro la futura strategia
legale dell'amministrazione.
La prima questione riguardante la politicizzazione delle
sentenze (a parte quella famosissima della Florida che diede la presidenza a
Bush) è arrivata nel dicembre del 2002 quando la denuncia del Gao è stata
archiviata dal giudice John Bates, un giudice appena nominato da Bush. La
sentenza di Bates ha detto che il Gao «non era legittimato» a denunciare
Cheney o qualsiasi altro dirigente dell'esecutivo per ottenere informazioni, una
sentenza che ha spinto il giurista John Dean (un ex consigliere presidenziale
repubblicano) a osservare che, in base a questo pronunciamento, nel cercare di
ottenere informazioni l'organismo investigativo del Congresso ha meno potere di
un comune cittadino americano. Ma una sentenza emessa da una corte d'appello
federale lo scorso 8 luglio ha riacceso le polemiche politiche.
La
corte d'appello ha rigettato la richiesta di Cheney di bloccare l'ordinanza di
un tribunale che intimava alla task force di consegnare i documenti in suo
possesso oppure dichiararli soggetti a segreto, e spiegare perché. Riportando
la notizia il Washington Post ha evidenziato che la sentenza ha diviso
politicamente la corte, composta da tre giudici: quelli nominati da Carter e
Clinton hanno votato contro Cheney, quello nominato da Bush ha votato a favore.
Il Post ha fatto notare che il caso può essere ridiscusso sia davanti a
un tribunale d'appello federale che davanti alla Corte suprema, il più alto
tribunale del paese, i cui giudici sono in maggioranza repubblicani.
Per spiegare le potenziali ramificazioni del materiale che
l'amministrazione americana sta cercando di sopprimere, la Ap ha
riportato le dichiarazioni di un portavoce del ministero del commercio. Secondo
il portavoce, la task force «aveva preso in esame alcune regioni del mondo
considerate vitali per le forniture globali di energia», aggiungendo che queste
regioni comprendevano «il Medio oriente e il Caspio».
Riguardo
al Caspio, nel luglio del 2002 l'Agence France Presse ha scritto che i
piani bellici per la guerra in Afghanistan erano stati passati in rivista almeno
quattro mesi prima dell'11 settembre. Era lo stesso periodo in cui la task force
di Cheney rendeva pubbliche le proprie «raccomandazioni» sulla politica
energetica nazionale. Oscurato dalle emozioni che hanno circondato l'11
settembre, un articolo del Guardian del 22 settembre rivelava che «gli
Stati uniti hanno minacciato di attaccare i Taleban settimane prima degli
attacchi su New York».
L'articolo riportava le minacce americane contro i Taleban per un attacco in
ottobre, contraddicendo una volta di più le affermazioni dell'amministrazione
americana (fatte il 18 novembre dal viceministro della difesa Paul Wolfowitz)
secondo le quali «gli Usa hanno avuto tre settimane per preparare la campagna
in Afghanistan».
Tornando alla questione Iraq, l'ex compagnia petrolifera di Cheney, la
Halliburton, è la principale beneficiaria della munificenza dell'attuale
amministrazione irachena. Secondo un titolo dell'Independent del 16
luglio, «Cheney è sotto pressione, chieste le dimissioni per le prove false
della guerra». L'articolo rivelava l'esistenza di una lettera aperta
indirizzata a Bush da un gruppo di «ex alti ufficiali dei servizi segreti». La
lettera accusava Cheney di aver manipolato i fatti «per ottenere l'appoggio a
una guerra per motivi politici». Altre accuse puntavano invece sui motivi
economici della guerra. Questi critici dell'amministrazione continuano a
ricordare che la principale missione della task force di Cheney era di «sviluppare
una politica energetica nazionale disegnata per assistere il settore privato».
©
goldstein/il manifesto