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In crescita la censura in Internet
Avv. Luca Troiano http://geopoliticamente.wordpress.com
per www.disinformazione.it
1. All'inizio del 2010, il Segretario di Stato americano Hillary Clinton
ha tenuto un discorso in cui lodava la libertà di Internet, promettendo
di fare della tutela della libertà online un caposaldo del made in Usa
nel mondo e gli indiretti destinatari del messaggio erano quei Paesi in
cui la censura sul web è la norma, in particolare Iran e Cina,
sostenendo apertamente lo sviluppo di strumenti idonei ad aggirare i
filtri che ostacolano una piena indipendenza dell'informazione.
Ma l'informazione è potere, e le tecnologie del XXI secolo ne hanno
incrementato le potenzialità al punto da trasformarla in arma capace di
sollevare una rivoluzione. Youtube, Facebook e Twitter sono diventati le
nuove armi della mobilitazione di massa; i blogger hanno preso il posto
degli imbonitori di piazza, e i social network quello dei vecchi moti
carbonari tra le formazioni che invocano una maggiore giustizia
sociale.
Ma da una grande libertà derivano grandi responsabilità, e la garanzia
di una maggiore libertà di Internet deve cominciare in casa propria.
Ora che il genio è uscito dalla bottiglia, a preoccuparsi delle
conseguenze che questa risorse fuori controllo può generare non sono più
soltanto i regimi autoritari, bensì anche quelli liberali. A cominciare
proprio dagli Stati Uniti.
2. In Medio Oriente, la censura online è la norma, secondo un livello che
varia dall'oscuramento di una manciata di siti (come in Marocco, per
quanto riguarda il Sahara occidentale), a delle vere e proprie
proscrizioni di interi settori dell'informazione (come in Arabia
Saudita, Yemen e Siria, dove è vietato l'accesso a qualunque sito di
politica o di contenuto sociale).
È curioso che la stragrande maggioranza dei software che permettono di
filtrare i contenuti sul web sono prodotti negli Stati Uniti e in
Canada.
Secondo un rapporto di OpenNet Iniziative dello scorso mese, strumenti
come Websense, SmartFilter, e Netsweeper - così come altri prodotti da
Intel e Cisco, tra i preferiti dal governo cinese - rendano più agevole
la censura da parte dei governi. In Yemen, ad esempio, fino a poco tempo
fa si usava Websense, ora sostituito da Netsweeper, di
fabbricazione canadese. In Tunisia, Ben Alì si affidava a SmartFilter,
la cui indubbia efficacia aveva portato il Paese, secondo le stime
dell'organizzazione Freedom House, al penultimo posto del mondo (in
condominio con Cuba) per quanto riguarda la libertà in internet.
L'efficacia di tali programmi è presto spiegata: piuttosto che bloccare
gli indirizzi url individualmente, essi permettono di bandire da una
rete nazionale intere categorie (come la pornografia o la droga, ma
anche la politica e i diritti sociali), bloccando migliaia di siti in un
colpo solo, tra cui anche molti del tutto innocui (come i siti sul
cinema o sullo sport). Con la conseguenza di provocare dei blocchi di
massa (overblocking).
Un esempio? Lo stesso sito OpenNet Initiative era stato bloccato da
Websense nello Yemen, sebbene il filtro fosse impostato per
“catturare” i siti pornografici. Questo non perché il sito
associazione avesse contenuti scabrosi, quanto piuttosto a causa della
quantità di spam contenente link diretti a siti porno.
Ancora. Nel 2006, il popolare blog BoingBoing è stato oscurato in Qatar
e Arabia Saudita, in entrambi i casi ad opera di SmartFilter. Il
motivo? Il sito ospitava delle foto del David di Donatello, le quali
erano state incluse nella lista di “nudo", dunque da censurare.
In pratica, questo significa che basterebbe un commento o un link un po'
“spinto”, ad esempio, sul sito di un'industria di giocattoli, o la
foto di una statua su quello di una galleria d'arte, per provocare la
censura dei relativi url in più di un Paese.
3. È interessante esaminare il caso dell'Egitto.
Nei giorni concitati della rivolta in piazza Tahrir, il governo ha
oscurato l'accesso alla rete per quasi una settimana. Nel giro di 24 ore
il governo egiziano è riuscito a tagliare il 97% del traffico
telematico. Come? Ordinando ai quattro principali Isp (Internet services
provider) di escludere dall’accesso internazionale i propri clienti.
La mossa è stata possibile perché di fatto l'accesso alla rete nel
Paese è un oligopolio in mano, appunto, a quattro sole aziende. La
disattivazione di tutti i provider del paese non deve essere stato un
processo automatico, ma semplicemente un meccanismo manuale: ogni
gestore è stato contattato dal governo e costretto ad adeguarsi.
Curiosamente, solo il provider Noor Group è rimasto online con alcuni
dei suoi routing, probabilmente perché è quello sui cui canali opera
la borsa egiziana. L'Egitto in sostanza ha organizzato la sua rete
nazionale in maniera tale che questa possa essere scollegata in breve
tempo, scongiurando qualsiasi fuga di informazione all'esterno.
Ma la censura ha un suo prezzo. Cinque giorni di isolamento telematico
sono costati al Paese quasi 90 miliardi di dollari. Inoltre, buona parte
del traffico tra Europa e Asia passa proprio attraverso la rete
egiziana, col rischio di aver causato ripercussioni non indifferenti
anche per molti Isp dei Paesi vicini.
Notava Fabio Ghioni, tra i maggiori esperti mondiali in sicurezza
informatica: “Il blackout totale di Internet in Egitto non ha
precedenti nella storia della rete. Ma ha creato un precedente”.
Quando l'Egitto censurò Internet a fine gennaio, il vicepresidente
americano Joe Biden che in ogni caso il presidente Mubarak "non era
un dittatore". Salvo poi rimangiarsi la parola quando l'America
decise di scaricare l'imbarazzante (ex) alleato. Ora però, proprio gli
Usa potrebbero avvalersi del precedente all'ombra delle Piramidi per
tentare un'azione analoga in caso di “necessità” – con tutto il
carico di ambiguità che si annida in questo concetto.
4. Torniamo sul discorso della Clinton. Il Segretario di Stato Usa aveva
affermato che le aziende di servizi informatici americane avrebbero
dovuto fare della libertà sul web una “questione di principio”. Lo
scorso 15 febbraio, il Segretario di Stato è intervenuta nuovamente
sull'argomento, annunciando che il Dipartimento di Stato intende
finanziare programmi per contrastare la censura, attraverso lo sviluppo
di tecnologie idonee ad aggirare i filtri governativi nonché la
formazione degli attivisti dei diritti umani in modo che sappiano come
sottrarsi ai controlli delle autorità su telefonini e corrispondenze
personali in caso di arresto.
Chiaro l'intento di eludere la rigida censura di Pechino, Mosca e
Teheran.L'America sembra aver intuito da tempo le potenzialità sociali
delle nuove tecnologie. Già nel luglio
Ma la realtà pare evidenziare alcune contraddizioni nella posizione
ufficiale americana. Vesperti hanno notato una certa incoerenza tra le
parole della Clinton e le azioni del governo solo nell'ultimo anno.
A parte Websense, il quale stabilisce che l'uso del software da parte
dei governi è vietato, se non per filtrare contenuti pornografici
illegali (ma abbiamo visto con quali inconvenienti), nessuna delle
società sopramenzionate sono volte a proibire l'uso dei propri software
da parte dei governi stranieri, o per bloccare i contenuti politici. E
l'amministrazione Usa non ha finora assunto alcuna iniziativa volta a
limitare l'esportazione di software di filtraggio. Se l'obiettivo del
programma di libertà di internet è quello di "esportare la libertà
sul web", Washington dovrebbe prima preoccuparsi dobbiamo
interrompere le esportazioni censura netta.
Nel luglio
Di più. Se da un parte il governo chiude entrambi gli occhi sulle
esportazioni di programmi di filtro in Paesi non liberali, dall'altra
punisce tali regimi con una serie di sanzioni, per così dire,
“informatiche”. Ad esempio, ai cittadini siriani non è consentito
scaricare Google Earth o Chrome. Non possono partecipare al Google
Summer of Code, né possono acquistare copie ufficiali dei prodotti
Microsoft. Anche altre aziende non consentono esportazioni in Siria
senza una speciale licenza. Anche se alcune di queste misure restrittive
sono state recentemente allentate (in particolare verso l'Iran e il
Sudan) la loro presenza danneggia quanti cercano nel web una opportunità
di appello per incoraggiare nuove riforme sociali.
Si aggiunga, per quanto riguarda la situazione interna, che un recente
tentativo di chiudere dieci siti si pornografia infantile da parte del
Department of Homeland Security ha provocato l'oscuramento di oltre
84.000 siti, al pari dei casi di overblocking nei Paesi mediorientali.
5. Il fatto che Websense e SmartFilter siano di fabbricazione
statunitense, così come lo è Icann, l'ente internazionale che assegna
i domini sulla rete, è un particolare tutt'altro che rassicurante.
Torniamo indietro di alcuni mesi.
All'inizio di quest'anno gli Stati Uniti hanno dato avvio ad una sorta
di resa dei conti con gran parte del mondo per quanto riguarda la
gestione di Internet. L'America mantiene il controllo del sistema, ma
parlare di governance su un bacino di utenza che sfiora il miliardo di
persone è un ossimoro.
Il 25 gennaio i repubblicani hanno riproposto una norma, già discussa la
scorsa estate, che conferirebbe al presidente la facoltà di isolare
parte dell’infrastruttura telematica nazionale in caso di
cyber-attacchi (il cosiddetto kill-switch). In pratica, che gli consenta
di oscurare il web.
Tralasciando gli immensi costi in teoria e l'effettiva realizzabilità
in pratica (negli Usa i provider sono migliaia, e più concorrenza c’è,
più è difficile per un governo isolare i propri cittadini da internet)
che un tale evento comporterebbe, è da notare che in tutto l'Occidente
gli Stati Uniti sono l'unico Paese in cui una tale idea è balenata
nella mente dei governanti. In Germania, Australia e Austria i
rispettivi governi hanno fatto sapere che mai si avvarrebbero di poteri
simili. In Estonia e in Francia l’accesso ad internet fa parte dei
diritti dell’uomo. Dallo scorso anno
Allarghiamo il campo.
Lo stesso concetto di “dominio” rivela la sua natura ambivalente. Se
dal punto di vista tecnico esso non è che un indirizzo, il termine è
anche sinonimo di potere, controllo, autorità. Una doppiezza dimostrata
dal fatto che il possesso di un dominio ha parecchie ripercussioni
economiche e legali. Registrare un name piuttosto che un altro può
segnare la linea di confine tra avere successo o fallire.
Il caso di Icann è emblematico delle antinomie che emergono in un sistema
di interesse pubblico ma gestito da pochi, grandi enti privati. Nato nel
1998 come ente no-profit con il fine di sostenere i numerosi incarichi
di gestione relativi alla rete Internet e che in precedenza erano
demandati ad altri organismi (come lo IANA), fin dagli albori è stato
guidato da un consiglio di amministrazione formalmente sotto contratto
con il governo americano. Le norme che prevedevano un meccanismo di
rappresentatività elettiva, teoricamente volte ad includere la presenza
di personalità in vece di tutti i continenti, non hanno fatto che
ribadire la preponderanza degli Stati Uniti (e qui in Europa della
Germania). Dall'agorà universale si è passati ad una burocrazia
oligarchica che ha mantenuto lo status quo nell'evidente interesse del
governo americano, come dimostrato dalla richiesta (respinta) avanzata
lo scorso 2 marzo dal Dipartimento del Commercio Usa di istituire il
diritto di veto sui domini di primo livello "scomodi".
Usa, Cina e Russia sono coinvolte nelle maggiori questioni di politica
internazionale, alle quali la gestione di Internet non è certo
estranea. Perciò una società dalle funzioni così pregnanti come Icann
non poteva lasciare indifferenti Pechino e Mosca, che ora premono per
dire la loro sulla gestione dell'ente. I due Paesi, che insieme
raggiungono quasi i 500 milioni di utenti Internet, chiedono a gran voce
che la gestione della rete passi all'Organizzazione delle Nazioni Unite,
o almeno sotto la sua supervisione. Cosa che ha fatto sobbalzare
Washington, la quale avrebbe evidentemente da perderci.
6. La concentrazione dell'ente gestore dei domini e delle principali
aziende di software (compresi quelli di filtraggio) in capo ad un solo
Paese lascia seri dubbi sull'effettiva sussistenza delle garanzie di
libertà pur ufficialmente auspicate. Un Paese che da un lato si vuole
favorire l'aggiramento dei filtri di regime, ma dall'altro consente la
diffusione di tali filtri, prende esempio dagli stessi regimi per
programmare possibili interruzioni sul web, e si tiene stretto il
monopolio nella gestione della rete globale.
Per l'amministrazione Obama il web è una frontiera in costante
fermento. Prostrata dalla crisi economica, alle prese con due guerre
dispendiose e inconcludenti, in affanno nella concorrenza con le potenze
emergenti, l'America non può permettersi di allentare la presa sul
controllo della rete. L'Icann decide cosa va in rete e cosa no, e se la
composizione del suo direttorio dovesse essere stravolta da un'eventuale
riforma che ridurrebbe il peso degli Usa aumentando quello di altri
Paesi le conseguenze a lungo termine potrebbero essere notevoli. Vedersi
superare anche nel mondo virtuale, in questo momento storico,
significherebbe perdere buona parte della propria influenza nelle
dinamiche geopolitiche del nuovo millennio.
E nessuno più dell'Icann può garantire che tale influenza rimanga
inalterata.
Luca Troiano