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Canta
il Lucherino
di
Carlo Bertani – 23 ottobre 2006
Chissà
come chiamavano i genitori – quand’era bambino – l’attuale
“signor FIAT”, ossia Luca di Montezemolo? Luchino? No, c’era un
altro Luchino – il regista Visconti – e non fosse mai che i due
s’incontrassero. Luchetto? No, ricorda troppo un
chiavistello…Lucherino? Può essere…in fondo si tratta di una specie
di passerottino simpatico e grazioso, con un solo difetto: canta, canta
sempre, anche quando gli altri uccelli tacciono.
Mentre
il centro destra s’inventa le manifestazioni di piazza – a Vicenza!
La prossima potrebbero farla al confine austriaco…a Lampedusa – per
cercare di rendere un’impossibile pariglia a Prodi, ossia quando il
centro destra governava ed il sindacato portava in piazza un milione di
persone, il nostro Lucherino di Montezemolo è andato a gorgheggiare
all’assemblea della Piccola Industria a Prato: grandi proclami per
dieci piccoli indiani.
Quale
romanza ha strimpellato il nostro cantore di fronte alla platea amica?
Scendere in piazza con Berlusconi? Oh no, my God, non fa
“tendenza” mettersi al fianco con quelli che strombazzano che
“l’hanno duro”, non è roba da Lucherini ma da merli,
corvi…insomma, uccellacci neri.
Meglio, invece, cinguettare di fronte ad una platea amica e – tutto
sommato – soddisfatta: certo…si poteva ottenere di più…ed allora
via con l’attacco alla Finanziaria! Tanto si sa,
Al
buon Lucherino non va giù che ci sia questa sinistra “estrema”,
“massimalista” che frena l’espansione economica del paese, che
pretende – quasi fossero loro a comandare! – salari più alti,
niente pensioni a 65 anni…mio Dio che disgusto…quando avevo parlato
con Romano m’era parso d’aver inteso un’altra musica…
I lucherini amano cibarsi di lombrichi e di briciole, ed il nostro
Lucherino non ha considerato sufficienti quelle che il governo ha
destinato loro dopo aver scosso la tovaglia sul balcone. Che affronto.
“Volevamo
Oh,
finalmente uno che parla chiaro: volevamo di più dal taglio del cuneo
fiscale, volevamo la gente in pensione a 65 anni, volevamo veder
licenziati i dipendenti statali. Basta con gli sprechi in stipendi e
pensioni! Pensiamo al futuro del Paese ed alle prossime generazioni (di
Lucherini).
Ognuno
canta la sua canzone, ma il signor FIAT avrebbe tante ragioni per
trovare un sicuro nido in una grotta, starci il tempo necessario e
riflettere su cosa va dicendo. Perché, se voleva la “macelleria
sociale”, non si è rivolto a Berlusconi? Ovvio: sperava d’ottenere
l’intero “piatto” da Prodi e il buon Romano – se avesse potuto
– avrebbe accontentato lui e Goldman & Sachs, Standard & Poor,
il FMI e
La
vendetta per le aspettative mancate è giunta – in pieno stile mafioso
– con un vano declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di
rating; no, Romano, così non va: possibile che non sai usare lo
scudiscio con quella gente?
Tutti s’aspettavano di più dal buon Romano, ma il Prode bolognese ha
imparato la lezione che Bertinotti gli diede nel 1998: la sinistra
comunista non può giocarsi il suo elettorato per fare una Finanziaria
che piaccia solo ai “poteri forti”. Almeno, si deve trovare un
compromesso accettabile, bisogna salvare la faccia.
Ma il signor FIAT – prima d’accusare la sinistra massimalista
d’essere la rovina della nazione – dovrebbe guardare dalle proprie
parti, in senso politico e geografico, per verificare se sia stata solo
la sinistra comunista ad affossare il paese.
C’era
una volta una grande azienda di nome FIAT, che produceva automobili
popolari, le quali valevano tanto quanto le consorelle europee: oddio,
una Opel era più robusta di una “Millecento”, ma le differenze non
erano abissali.
A quel tempo c’erano in Italia altre case automobilistiche e vigeva un
regime di concorrenza; quando ci sono dei competitori si deve scegliere
fra due strategie: competere nello stesso segmento di mercato oppure
difendere un segmento e tralasciare gli altri.
Il signor FIAT dell’epoca – e non stiamo qui ad illustrare i mezzi,
altrimenti ne uscirebbe un libro – scelse la terza via: quella di
mangiarsele.
Anche
in questo caso, però, non è detto che tutto il male venga per nuocere:
Wolkswagen assorbì Skoda, ma entrambe campano tuttora abbastanza bene.
Il signor FIAT acchiappò prima
Il
prestigio della Lancia era principalmente dovuto ai successi ottenuti
dalle mitiche “Fulvia HF” nei campionati di rally, ma anche le
“ammiraglie” – Aprilia, Aurelia (leggendario il “coupé”),
Flaminia e Flavia – erano lo “status symbol” del successo
economico.
Per chi occupava uno scalino più basso c’erano sempre le “Fulvia”
(berlina e coupé), che erano in ogni modo delle signore automobili,
invidiate anche all’estero.
La filosofia Lancia poggiava sulla qualità e la qualità ha dei costi:
carrozzerie in alluminio, cambi ZF di derivazione sportiva, motori a
prova di bomba. Il tutto costava, ma il risultato era all’altezza
delle aspettative.
La
buona borghesia italiana viaggiava in Lancia e pochi acquistavano
lussuose auto straniere: c’era il timore di ricambi più costosi…di
lunghi tempi d’attesa per riceverli…e poi, perché comprare
all’estero quando le Lancia ci erano addirittura invidiate per la loro
classe?
Appena il nuovo management FIAT s’insediò in Lancia sparirono le
carrozzerie in alluminio dalle Fulvia Coupé – ma questa era solo la
prima avvisaglia – perché bisognava pensare ad una nuova serie di
“ammiraglie”.
Per la nuova Lancia Gamma – versione berlina e coupé – il
management Lancia propose (e non rivelerò la mia fonte) una
“rivisitazione” del motore 2500 cm3 della Flaminia, un
ottimo propulsore per una vettura di quel livello. I nuovi padroni –
analizzando i costi – iniziarono a storcere il naso: perché non
equipaggiare le nuove “ammiraglie” con un motore più economico, di
casa FIAT?
Le
proteste della vecchia dirigenza Lancia furono inutili: un propulsore
maggiorato rimaneva sempre un’incognita; come avrebbe reagito un
motore, nato per vetture di una categoria inferiore, alle modifiche per
“spremergli” qualche decina di cavalli in più?
La nuova Lancia Gamma fu equipaggiata con un “economico” motore FIAT
e messa in vendita ad un prezzo “Lancia”, ossia ben superiore a
quello delle grosse cilindrate FIAT: tutti gli affezionati clienti
Lancia (la media ed alta borghesia italiana) acquistarono fiduciosi la
nuova nata. Che colpaccio per i bilanci FIAT.
Come
andò a finire?
Con i piazzali della Lancia colmi di “Gamma” restituite dai
concessionari: la maggior parte di esse aveva il pessimo gusto di bucare
i pistoni nei primi
A
meno di credere che un capitano d’industria sia solamente un uomo che
moltiplica per un certo periodo i profitti di un’azienda, non si può
concedere quella patente agli Agnelli perché le vacche grasse durano
appunto “per un certo periodo”, dopo svaniscono.
In quegli anni, avvenne la grande penetrazione dell’industria
automobilistica tedesca nel mercato italiano: oggi, marchi come Audi,
Mercedes e BMW sono praticamente sinonimi di vetture eleganti di grossa
cilindrata, le ammiraglie, appunto. Le stesse che sapevamo produrre
anche in Italia, e che per uno scherzetto da nulla – vendere alla
miglior clientela delle ciofeche – ci è costato l’uscita dal
segmento delle auto di lusso.
Oggi
il marchio Lancia è praticamente limitato alle piccole cilindrate che
sono il frutto di un’altra acquisizione – Autobianchi – poi
confluita in Lancia: dalla Autobianchi A112 parte la linea evolutiva che
conduce oggi alle attuali Lancia Y, ma questo non ha nulla a vedere con
quello che era il punto “forte” del mercato Lancia, ossia soddisfare
una clientela esigente con auto costose ma di gran valore. Berlino
ringrazia.
Il rampante Lapo – grande amante, come il nonno, dello sci e delle
“piste” – si lamentò perché la classe politica italiana snobbava
le attuali ammiraglie Lancia: come, costruiamo dei gioielli e voi non li
accogliete? Che Stato balzano è mai questo, che snobba la “crema”
della produzione nazionale?
Difatti,
le ammiraglie Lancia le vediamo solo più in televisione: le usano i
politici e basta. Provate a circolare per Roma quando passa il codazzo
urlante della polizia: in mezzo c’è
Dopo
Lancia venne l’ora dell’Alfa Romeo – anche qui ci sarebbe da
scrivere un bel romanzo nazionalpopolare – e lo Stato si ritirò dal
mercato automobilistico cedendo tutto ai potenti signorotti torinesi.
Per quanto riguarda alcune produzioni d’elite, FIAT cercò di non
cadere nel vecchi errore commesso con
Ebbene,
con l’ingresso in FIAT, avvenne un fenomeno curioso: si raccontava che
le auto partissero da Napoli e, giunte a Milano, già iniziassero a
marcire.
Gli italiani sono anche patrioti, ma non sono fessi.
Anche le auto straniere erano preda della ruggine – solo negli anni
’90 la protezione divenne più efficace, grazie a nuove tecniche –
ma una Renault od una Ford non lasciavano una scia di ruggine come le
FIAT. Potevi portarti appresso una calamita e legarla al paraurti
posteriore: a fine mese depositavi il tuo chiletto di metallo al
demolitore e ci ricavavi qualcosa.
Niente da fare: nonostante tutte le cure, le verniciature, la copertura
anche del minimo graffio, 128 ed Alfasud, 126 e furgoncini si
scioglievano come se fossero stati a bagno nell’acido. Sembrava che la
ruggine partisse dall’interno del metallo e non dagli agenti
atmosferici esterni: come si spiegava un simile fenomeno?
Il
risparmio è sempre stato il vero pallino degli Agnelli, sin dai tempi
di Valletta: risparmi un centesimo il giorno e, siccome i giorni di una
potente casata sono molti, alla fine si fanno i miliardi.
Treni
colmi di rotoli d’acciaio giungevano a Torino, sbarcati dalle navi giù
rugginosi, rossi come le terre argillose del Monferrato che
attraversavano prima di diventare portiere e parafanghi.
Qualcuno
ha sentito parlare di NaCl, cloruro di sodio, il comune sale da cucina?
Quale effetto pensate che generi se incluso nell’acciaio? Un bel
risparmio.
Dopo essere stati presi in giro per alcuni decenni, gli italiani
iniziarono a non farsi più incantare dalle sirene torinesi e volsero la
loro attenzione altrove: iniziarono gli anni bui, ed i guai.
Oggi
l’azienda torinese è in ripresa – perché l’alternativa era
soccombere – e si è messa a produrre un po’ meglio. Un po’. Gli
altri, nel frattempo, sono andati avanti e presto arriveranno vetturette
cinesi a prezzi stracciati: altri guai in vista per chi non sa lavorare
sulla qualità. La soluzione FIAT? Una joint venture con
E
così la colpa del pessimo andazzo economico è dei lavoratori: la
volete smettere di mangiare a colazione, pranzo e cena? Noi, affermano i
Lucherini in coro, siamo la testa e voi il corpo – ricordate Menenio
Agrippa? – e sappiamo solo pensare. S’è visto come.
Pare che la memoria sia il punto debole dei Lucherini: cantano senza
spartito, e non ricordano mai che il costo del lavoro, in Italia, è uno
dei più bassi d’Europa. Se quei lavoratori fossero utilizzati per
produrre beni ad alto valore aggiunto – ma anche solo buone
automobili, non quelle che un mese dopo l’acquisto devono già
rientrare alle concessionarie per mille piccoli guai – quel lavoro
produrrebbe più ricchezza e ci sarebbero più risorse, per tutti.
A
chi tocca operare queste scelte? Perché in Italia si tagliano i fondi
per la ricerca? Perché non si cerca d’entrare nel futuro delle nuove
tecnologie in campo energetico, elettronico, informatico, biologico,
elettromedicale? Che sia proprio vero – come affermano i napoletani
– che “’O pesce fete da ‘a
capa?”
Da
tutte queste vicende, se vogliamo trovare un comune denominatore, non
c’è tanto da scegliere: quando si guadagna sono per noi (Autostrade),
quando si perde sono dello Stato (Ferrovie). Negli anni di vacche grasse
FIAT è una grande azienda privata che compete sul mercato mondiale, in
quelli di vacche magre diventa una “risorsa per la nazione”.
Ora,
il Lucherino vorrebbe farci lavorare fino a 65 anni perché non ci sono
i denari per pagare le pensioni. Domanda: dove sono finiti i versamenti
del lavoratori?
Ah, già…i Lucherini sanno gorgheggiare a meraviglia ma hanno scarsa
memoria: non ricordano mai il balcone dove si sono recati per fare
incetta di briciole.
Dove sono stati presi i denari per pagare decenni di (doverosa) cassa
integrazione ai lavoratori, quando
Se
Purtroppo, non si riesce a separare
Chissà
cosa succederebbe se i soldi destinati alle pensioni fossero utilizzati
per quello scopo, e le aziende dovessero accollarsi, almeno in parte –
con la costituzione d’appositi fondi – i costi dei loro errori
strategici?
Peccato davvero, perché sarebbe un interessante esperimento
evoluzionista: osservare se i Lucherini – sbattendo la tovaglia in un
diverso balcone ad ore alterne – ritroverebbero la memoria.
Purtroppo non si riesce proprio a portare a termine l’esperimento, ed
i Lucherini continuano a becchettare dove trovano briciole, senza mai
serbare memoria dei luoghi che visitano e, soprattutto, di chi
rifornisce di preziose briciole quei balconi.
Carlo
Bertani bertani137@libero.it www.carlobertani.it