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L’erba
dello straniero
Di
Massimiliano Verga – tratto da «FuoriLuogo» supp. «Il Manifesto»
31-10-03
Fino
agli inizi del secolo scorso il cosiddetto «problema della droga» non
esisteva.
Come ha scritto Duster, «chiunque poteva andare dal farmacista sotto
casa e comperare qualche grammo di eroina o di morfina solo per pochi
penny, senza bisogno di una ricetta medica (…) Ciò accadeva
nel 1900, negli Stati Uniti d’America». Per dirla diversamente,
il consumo di droghe non era né un argomento giuridico, né una pratica
che suscitava particolari clamori sotto il profilo etico. Anzi, alcune
droghe assumevano nell’immaginario collettivo le sembianze di
autentici «toccasana». Si pensi, ad esempio, a quanto affermò il
medico personale della regina Vittoria, Sir John Russel Reynold, nel
1890: «Se pura o somministrata con scrupolo, la canapa indiana è
una delle medicine più valide che possediamo»
A
partire dai primi del 1900, però, il consumo di alcune sostanze
psicoattive comincia ad essere percepito come un’azione immorale, una
sorta di vero e proprio «flagello» da cui difendersi con ogni mezzo.
Quest’idea, tanto per cambiare, nasce negli Usa; e, tanto per
cambiare, rapidamente si propaga oltreoceano. Le prime sostanze ad
essere proibite sono i derivati dell’oppio e la cocaina, con l’«Harrison
Act» approvato nel 1914, a cui seguirà la parentesi proibizionista
sugli alcolici, il «nobile esperimento» in vigore dal 1919 al 1933.
Inizialmente,
dunque, la cannabis non viene travolta dall’ondata proibizionista. Ma
si tratta di aspettare soltanto pochi anni. Con l’approvazione del
Marijuana Tax Act nel 1937, infatti, anche la cannabis finisce nella «lista
nera» e inizia così una nuova fase delle politiche antidroga.
Non di rado le leggi vengono direttamente promosse dalle istituzioni
destinate ad applicarle, con lo scopo di accrescere il loro potere. Nel
caso della proibizione della Marijuana, addirittura, siamo di fronte a
una legge promossa sostanzialmente da una sola persona, lo scaltro Harry
Anslinger, il padre spirituale della dottrina statunitense (dunque,
mondiale) in materia di droga. Anslinger, dopo la «gloriosa»
esperienza al ministero del Tesoro per il controllo degli alcolici
durante il proibizionismo, nel 1930 passa a capo del neonato Federal
Bureau of Narcotics, preposto al controllo sugli stupefacenti. Tuttavia,
proprio l’abrogazione del fallimentare «nobile esperimento» diventa
una sorta di «problema interno» per il Bureau, che si vede ridurre una
buona parte dei finanziamenti a suo favore. E per Anslinger questo
rappresenta un ostacolo alla sua brillante carriera. La sua risposta è
quella di apparire ancora necessario alla causa statunitense. Anzi, di
esserlo quanto e più di prima, costruendo dal nulla un nuovo nemico da
combattere per tenere bon salda la sua poltrona. Abile nello sfruttare
la situazione e nel cogliere il potenziale dei media, inizia
un’imponente propaganda contro la marijuana, che nelle cronache dei
quotidiani comincia ad essere bollata come killer weed, l’erba
assassina, o come il «mostro di fronte al quale anche Frankestein
sarebbe impallidito». Marijuana che l’astuto Anslinger individua come
il miglior capro espiatorio del momento, vale a dire perfettamente
funzionale alle sue ambizioni di potere. Il caso vuole, infatti, che sia
fumata per lo più dalle minoranze messicane, che dopo aver contribuito
alla crescita economica degli States, come ha scritto Grinspoon, a
partire dalla crisi del 1929 diventano «uno sgradito surplus nelle
regioni devastate dalla disoccupazione». A questo si aggiunga che viene
fumata anche negli ambienti della musica jazz, frequentati
principalmente da gente di colore (è in questi anni che si comincia a
parlare di reefer madness, la follia dello spinello, cioè la
droga fumata dai Grifo, i neri e mulatti).
L’abilità
di Anslinger, il primo zar antidroga della storia, è dunque quella di
cavalcare un malessere generale per fini esclusivamente personali –
dote che soltanto i «grandi» politici possiedono – e di rendere
credibile la necessità di estirpare ogni forma di cultura «estranea e
non americana» - esattamente come era avvenuto con l’oppio per le
minoranze cinesi. In altre parole, è quella di rinforzare l’idea che
la proibizione delle droghe e la repressione dei consumatori siano
un’esigenza collettiva primaria, un atto di fede. Un’idea che
Anslinger ha saputo alimentare e rinnovare nel corso degli anni,
soprattutto grazie alla sua straordinaria capacità di contraddirsi
ripetutamente e di sostenere con successo le proprie controverse
opinioni. (…)
Per Anslinger, cioè, la marijuana resta la «droga da negri e messicani»;
ed in quanto tale, va combattuta per le sue potenzialità
omicide. Una tesi, in verità, che non viene unanimemente accolta. Nel
1938, ad esempio, il sindaco di New York La Guardia nomina una
Commissione d’inchiesta che nel 1944, con il famoso «Rapporto La
Guardia», mette in serio dubbio le «evidenze» criminali sbandierate
da Anslinger.
Ma è proprio nella difficoltà che viene fuori il grande politico! Sul
finire degli anni ’40, nuovamente chiamato a rispondere di fronte al
Congresso, Anslinger «dimentica» l’idea della killer drug ed
anzi afferma che la marijuana rende «gli uomini così pacifici e
innocui, che questa droga avrebbe potuto essere utilizzata dai comunisti
per indebolire lo spirito combattivo dell’esercito americano».
Non solo. Passano pochi anni e rincara la dose, affermando che la
marijuana «alla fine, quando viene usata di continuo, è una delle
cause, invero, della tossicodipendenza da eroina»; mentre sulle
potenzialità omicide minimizza la questione, dicendo che «sebbene
vi siano state molte efferate azioni criminali dovute a questa droga,
non direi che essa rappresenti un fattore decisivo nella perpetuazione
di gesti delittuosi».
La
marijuana diventa così la droga «propedeutica» al consumo di eroina.
Una teoria che Anslinger, rappresentante Usa nella Commissione Onu per
le droghe stupefacenti fino al 1970, ribadisce con vigore durante la
stesura della Convenzione Unica del 1961.
Proprio in questa sede, infatti, la cannabis viene inserita nella
Tabella IV insieme all’eroina, in quanto «particolarmente adatta a
determinare abuso ed effetti nocivi» e in quanto «questa
caratteristica non è compensata da alcun sostanziale vantaggio
terapeutico». Una credenza medievale che oggi, a distanza di
quarant’anni, è ancora considerata una verità intoccabile. Basti
pensare alla sentenza della Corte Suprema degli Usa del 2001 o
all’ultimo Report dell’International Narcotics Control Board.
Una nota conclusiva. Nella Convenzione del 1961 era stato indicato il
1986 quale data per la completa eliminazione dal pianeta della cannabis.
Anslinger
ha saputo anche essere divertente.