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Italia,
quelle sconosciute cam di sorveglianza
Luigi
dell’Olio – tratto da http://punto-informatico.it
Nessuno, neppure il
Garante per la privacy, ha idea di quante siano, dove siano e chi le
utilizzi.
Non esistono collegamenti tra le une e le altre. Come riconoscerle?
Quali sono i pericoli? Il caso Milano e l'inchiesta di PI
Un
oggetto ignoto
Roma - Sono diventate le
assolute protagoniste della scena mediatica dopo gli attentati che il 7
luglio hanno colpito Londra. Quasi in tempo reale hanno consentito di
far girare nel mondo le immagini dei potenziali attentatori. Sono sempre
più diffuse anche in Italia, nelle grandi come nelle medie città.
Eppure se ne sa davvero molto poco. Punto Informatico ha cercato di
delineare una mappa
della telecamere, incrociando i dati forniti dalle forze
dell'ordine con articoli apparsi sui giornali e segnalazioni dei
cittadini. Ricavandone impressioni contrastanti.
Il
fenomeno
Come hanno fatto le autorità di polizia britannica a
individuare, a stretto giro di immagini, gli autori degli attentati a
metro e autobus? È la domanda che si sono posti in tanti vedendo girare
su tutti i Tg le immagini dei presunti colpevoli delle stragi e tentate
tali, del 7 e 21 luglio. La risposta è racchiusa in pochi numeri: Londra
è la città più videosorvegliata al mondo, con 4
milioni di apparecchi disseminati tra piazze, stazioni di treni e
metropolitana, giardini, ma anche tanti uffici e abitazioni private.
Telecamere
spesso di nuovissima generazione, capaci di combinare un'osservazione a
360° con una profondità di centinaia di metri e una grande precisione
nell'individuazione di tratti
somatici e nella lettura di targhe dei mezzi di
trasporto. Una diffusione capillare accettata dalla gran parte della
popolazione.
Secondo una
ricerca realizzata dalla Commissione Ue, denominata Urbaneye Project, il 90% degli intervistati britannici
ritiene che le telecamere a circuito chiuso piazzate agli angoli delle
vie principali siano una
buona cosa. Interrogati sullo stesso argomento, soltanto
il 48% dei tedeschi si dicono a loro agio con questi occhi virtuali,
mentre in Austria il dato non è andato al di là del 24%.
La
situazione in Italia
Quante sono le telecamere presenti nella città
italiane? Esiste una rete per condividere le informazioni raccolte?
Quali vantaggi hanno prodotto? Sono domande che molti cittadini si sono
posti nel tempo ma che per il momento restano senza risposta.
Da una ricognizione fra i diversi centri che si
occupano di trattamento dei dati non
sono trapelate informazioni. E anche il Garante
per la privacy non ha un quadro d'insieme del fenomeno. Alla
richiesta di informazioni elaborata da Punto Informatico, è stato
risposto che "un monitoraggio su scala nazionale richiede ingenti
risorse".
Da qui sorge un dubbio: perché, se davvero lo strumento è utile, non
mettere in rete fra loro tutte le informazioni raccolte? E poi, perché
non studiare a fondo il fenomeno per capire se, invece, vi sono controindicazioni
e pericoli nell'uso massiccio di tecnologie, che
facilmente possono essere adoperate al di là delle loro finalità, con
il rischio di travalicare i diritti dei singoli?
In realtà, il Garante per la privacy uno studio lo
ha realizzato, ma risale al 2000, quando sono state censite le
telecamere presenti in quattro città italiane: Roma (sono stati
rilevati 726 apparecchi), Milano (213), Napoli (86) e Verona (67). Dati
sicuramente lontani dalla realtà odierna, che vede proliferare
apparecchi di osservazione ad ogni angolo o quasi.
Il
caso Milano
Punto Informatico ha provato ad aggiornare i dati,
scandagliando tra archivi di giornale e segnalazioni delle forze
dell'ordine, ma limitandosi, nell'impossibilità di condurre un'indagine
a livello nazionale, alla città di Milano. Una scelta dettata dal fatto
che proprio nel capoluogo meneghino negli ultimi mesi è stato messo a
punto un programma di
potenziamento della videosorveglianza.
Ufficialmente, l'Amministrazione comunale ha piazzato nell'abitato
cittadino 585
telecamere, con un'attenzione particolare ai quartieri
centrali.
Corso Sempione
è risultata essere la via più sorvegliata, con 19 apparecchi, ai quali
vanno aggiunti i 69 disposti all'interno dell'omonimo parco. Ma anche il
simbolo della città, piazza Duomo, non scherza con le sue 13
telecamere, una in più di corso di Porta Vittoria e tre in più di
Corso di Porta Romana. Ma il posto pubblico più videosorvegliato è
Quanto ai
quartieri, particolare attenzione è riservata alla zona San Siro (35
apparecchi), in cui si trova lo stadio Meazza, davanti al più
periferico Fulvio Testi (18). E altre ne arriveranno entro fine estate
in zone a rischio criminalità, come Lorenteggio e Giambellino.
Un centinaio di apparecchi sono poi dislocati a salvaguardia
degli acquedotti, mentre l'Azienda dei Trasporti
Milanesi ne ha piazzati 1.500
alle fermate della metropolitana.
Tutti numeri che non tengono conto delle installazioni private. Un
approfondimento tra i diversi uffici comunali ha permesso di rilevare l'inesistenza
di una mappatura in merito.
Dall'assessorato alla Sicurezza fanno sapere di non conoscerne il
numero, ma di avere in programma un censimento per il prossimo futuro.
Il tutto in nome della sicurezza e nel rispetto della privacy.
Le
tecnologie e i dubbi
La maggior parte
dei sistemi di videosorveglianza urbana è composta da quattro elementi
principali: le postazioni di ripresa (che possono essere cablate o
wireless), i sistemi di trasmissione, le centrali operative chiamate a
verificare i dati, i sistemi di archiviazione.
Le tecnologie con cui i sistemi di videosorveglianza sono realizzati si
sono perfezionate nel tempo, prendendo come parametro di riferimento le
innovazioni sperimentate in
campo militare.
Gli apparecchi di nuova generazione sono organizzati
in modo che ogni telecamera controlli sempre la postazione adiacente,
fornendo così un controllo
incrociato antivandalico ed evitando problemi di
sabotaggio.
Spesso poi i
dati che emergono dalle rilevazioni vengono interfacciati con potenti
database pensati per il contrasto alle diverse forme di criminalità; è
il caso, ad esempio, del Plate
Tracking System, che consente di leggere targhe di
autovetture e di confrontarle con i dati a disposizione delle centrali
di polizia. Un sistema, questo, particolarmente diffuso in Gran Bretagna
e Svizzera.
Negli aeroporti
di tutto il mondo, invece, si fa largo uso del Facial
Recognition System, che permette di individuare e
riconoscere tra la folla volti inseriti negli archivi delle forze
dell'ordine. Le nobili finalità di questi strumenti vengono però
compromesse quando questi confronti generano degli errori. Possibilità
inevitabile, nonostante la precisione di questi strumenti, che rischia
di mettere nei guai cittadini innocenti, fermati mentre si spostano per
lavoro o per viaggio e trattati da presunti terroristi per la
somiglianza somatica con pericolosi ricercati.
E poi ci sono i rischi connessi alla tutela della
privacy. Fino a che punto questi strumenti possono spingersi senza ledere
i diritti alla riservatezza delle persone? Come
controllare che la funzione di prevenzione dei reati ai quali sono
preposti non debordi in un utilizzo ai fini di controllo delle abitudini
dei consumatori? Tutti quesiti intorno ai quali si arrovellano da anni i
garanti per la privacy dei vari Paesi. Ma che da qualche tempo sono
diventati argomento di dibattito anche tra la società civile.
Emblematica, in proposito, la copertina in edicola del settimanale Business
Week, che titola "The State of survillance" e
riporta l'immagine di un grande occhio che tutto osserva.
Chi
disobbedisce
E proprio in nome del rispetto della propria privacy, ci
sono organizzazioni che da tempo inscenano azioni, a volte anche
eclatanti, per portare all'attenzione dell'opinione pubblica i rischi
connessi a un uso massiccio e distorto delle telecamere. E spesso la
comunicazione dei "disobbedienti" sfrutta le potenzialità del
Web.
È il caso di iSee, applicazione web-based che consente ai cittadini
di Manhattan di visualizzare le telecamere (per lo meno quelle rilevate)
del quartiere newyokese, in modo da essere liberi di passeggiare evitando
di essere spiati dagli occhi elettronici.
Realizzata dall'Institute
for Applied Autonomy, è accessibile anche via cellulare o
palmare e nasce dalla constatazione che vittime principali dello
"sguardo invadente" della tecnologia siano soprattutto le
minoranze sociali e le donne, vittime ignare di pratiche di voyeurismo.
Ma anche in
Italia c'è chi si muove in questa direzione: a Bologna è attiva da
qualche anno una sezione del network mondiale Surveillance Camera Players: si tratta di artisti che
inscenano di fronte alle telecamere delle pièce teatrali ispirate ai
principi delle libertà individuali.
Luigi
dell'Olio