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Il
calcio inglese nel caos
Di
Marc Roche, «Le Monde» - tratto da «Internazionale» 511, 24/10/03
Il calcio in Inghilterra, la patria della federazione più ricca del mondo è in subbuglio. «Il declino di questo sport ha raggiunto un livello tale che bisogna agire rapidamente per tornare a livelli civili», si allarma il quotidiano londinese «The Guardian».
I
fatti prima di tutto. Qualche giorno prima della partita
Turchia-Inghilterra, l’11 ottobre, per la qualificazione agli europei
2004, la nazionale ha minacciato di non giocare. Il motivo:
l’esclusione del difensore Rio Ferdinand, che non si era presentato a
un test antidoping. Lo stesso giorno due calciatori del Leeds United
sono stati arrestati, accusati di aver violentato una ragazza. A ciò si
aggiunge lo stupro di gruppo in un grande albergo di una ragazza di 17
anni da parte di alcuni giocatori che militano nella Premier League (la
nostra serie A). Craig Bellamy, ala gallese del Newcastle Fc, ubriaco,
è stato condannato per aggressivo razzista. Infine la Federazione
inglese di calcio ha citato sei giocatori dell’Arsenal davanti alla
commissione disciplinare per i gravi incidenti del 21 settembre al
termine di un incontro contro il Manchester United.
Come si è arrivati a questa situazione?
Passione, potere, denaro, alcol, droga, sesso: gli ingredienti ci sono
tutti. Gli effetti perversi del denaro su uno sport in mano agli
speculatori sono il primo fattore per spiegare questa situazione. I club
inglesi, per lo più quotati in borsa, raccolgono molto più denaro
delle squadre del continente, grazie soprattutto ai diritti tv pagati
dalla rete BSkyB. E non sono solo i giocatori e manager, ingaggiati a
peso d’oro, ad approfittarne, ma tutta la «catena di produzione»:
agenti, dirigenti di club, produttori di gadget, avvocati, banchieri.
La passività del governo Blair
Premi partita, spot e sponsorizzazioni sono cresciuti a dismisura. Il
Chelsea, acquistato dall’oligarca russo Roman Abramovich, il
Manchester United controllato da due irlandesi miliardari allevatori di
cavalli, o il Fulham, nella mani del proprietario dei grandi magazzini
Harrods, Mohammed al Fayed: le squadre della Premier League (L1) inglese
vengono vendute a miliardari che se ne servono come costosi passatempi o
per migliorare la loro immagine. Il fatturato dell’impresa calcio si
avvicina al miliardo di sterline all’anno; sono redditi equivalenti a
quelli di una grande azienda quotata alla borsa di Londra.
Secondo fattore: questa spirale
di violenza è rafforzata dal potere dei giocatori. Adulati come divinità
con i tacchetti, per lo più giovani, ingenui e che di rado hanno
studiato oltre i 16 anni, si ritengono autorizzati a trasgredire tutti i
divieti.
«Per riformare il calcio, la soluzione migliore sarebbe quella di
sostituire tutti i manager britannici con degli stranieri. E’ più
facile che cambiare la cultura dell’alcol nella quale è cresciuta la
maggior parte di questi giocatori». Ironicamente il Financial Times
nota che mentre una buona metà dei professionisti della L1 è
straniera, quasi tutti i responsabili delle azioni violente sono
inglesi.
Inoltre, terzo fattore, questi problemi sono alimentati dalle pressioni
della stampa popolare. «I giocatori hanno spodestato i membri della
famiglia reale, le personalità della tv e le rockstar. Solo gli
sportivi fanno vendere i giornali, come mostra il fenomeno Beckham»,
insiste Piers Morgan, direttore del Daily Mirror.
La ricerca di scoop e la caccia all’uomo sistematica creano una vera e
propria paranoia tra giocatori e dirigenti. Ma nessuno indaga davvero
sugli «affari» del calcio e sul giro di denaro, dissimulato dietro
società off-shore, per gestire i redditi dei calciatori. Lacerata da
lotte interne, anche la Football Association, la federazione inglese del
calcio, è al centro delle polemiche. Incapace di punire la corruzione o
il razzismo sugli spalti, è penalizzata dall’influenza dei grandi
club molto ricchi e dalla mancanza di risorse.
Gli esperti criticano anche la passività del governo laburista. Al suo
arrivo nel 1997 a Downing Street Tony Blair, appassionato di calcio,
aveva creato una commissione per riformare questo sport.
Senza
risultati. Ora Blair vuole riprendere in mano la situazione. Così si fa
sempre più strada l’idea di creare una struttura che regoli il mondo
del calcio dotato di poteri reali.