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Perché
una banca nel calcio
Da
L’irruzione prepotente, e per ciò stesso devastante, del denaro nel mondo del calcio, cominciata nel momento esatto in cui il fenomeno, da sportivo che era, è diventato essenzialmente televisivo, e rivelatasi inarrestabile da quando, nel 1996, le società sono state trasformate in Spa con fini di lucro, produsse una prima conseguenze: molti grandi gruppi economici, italiani e non, si sono avvicinati al pallone. L’esplosione praticamente simultanea di ricavi e costi ne ha subito generata una seconda: soltanto le squadre appartenenti a gruppi di dimensione internazionale sono in grado di reggere a lungo la competizione ai massimi valori. Ma se al Nord il tessuto economico è di indubbio livello europeo, nel resto d’Italia, sotto questo aspetto, la distanza con il settentrione resta abissale. Non a caso Juventus e Milan possono giovarsi non solo della forza economico-finanziaria di Fiat e Fininvest, ma anche della loro influenza politica, mentre l’Inter fruisce del sostegno di due gruppi come la Saras e la Pirelli. Cominciando il percorso verso Sud, lo scenario si trasforma progressivamente in modo radicale. E’ la conseguenza della selezione darwiniana imposta dalla dittatura degli affari, che ha prodotto lo stesso effetto dirompente delle ruspe che scavano nella foresta amazzonica. Il Parma si è identificato da sempre con la Parmalat; prima dell’esplosione fragorosa della crisi, datata fine novembre 2003, era l’ottavo gruppo industriale italiano e faceva parte delle prime 30 società quotate a Piazza Affari. Ma neanche ciò bastava a far sostenere a lungo la concorrenza con i giganti del Nord. Era cominciato così l’inevitabile ridimensionamento economico e finanziario: come tutti i ricchi caduti in disgrazia, la società ducale è stata costretta a vendere poco alla volta l’argenteria familiare. Nell’estate 2001, Gianluigi Buffon e Lilion Thuram alla Juve, l’anno seguente Fabio Cannavaro all’Inter, nell’agosto 2003 Adrian Mutu al Chelsea del nuovo giovane Paperone russo, il petroliere Roman Abramovich. E il distacco del Parma dalla Parmalat, unito ai conti niente affatto tranquillizzanti della società gialloblù (77 milioni di euro persi nell’esercizio 2002-2003, secondo quanto riferito dal consiglio di amministrazione), promette un futuro denso di incognite. Non sempre disfarsi degli oggetti di famiglia è sufficiente a raddrizzare la situazione: basta ricordare ciò che è successo alla Fiorentina guidata da Vittorio Cecchi Gori. Non furono i conti della squadra a trascinare nel baratro il gruppo produttore cinematografico, ma l’esatto contrario. Per evitare il tracollo, la società gigliata vendette Gabriel Batistuta alla Roma nell’estate 2000, Manuel Rui Costa al Milan e Francesco Toldo all’Inter l’anno successivo. Non bastò: nella primavera 2001 le banche chiusero i loro rubinetti. Fu l’inizio della fine; nell’estate 2002 la Fiorentina è fallita, trascinata nel dissesto finanziario del gruppo Cecchi Gori, ma è subito risorta orgogliosa a nuova vita, avendo potuto contare sempre sulla passione indistruttibile de suoi tifosi; in 17.000 si sono abbonati al campionato di C2, stabilendo un primato difficilmente superabile. Roma e Lazio hanno subito le difficoltà finanziarie dei loro azionisti di riferimento: è tristemente noto il caso Cirio, gruppo di controllo della Lazio fino al luglio 2003. Nello stesso mese, come si vedrà più approfonditamente nell’ottavo capitolo, la società agroalimentare è stata posta in liquidazione volontaria e successivamente ammessa alla procedura straordinaria di risanamento prevista dalla legge cosiddetta Prodi-bis. Ma le migliaia di risparmiatori che avevano creduto nella società, sottoscrivendo obbligazioni per un totale di 1,1 miliardi di euro, dubitano di poter rivedere i propri soldi.
Per
restare ai vertici della classifica del campionato, e combattere ad armi
più o meno pari con i giganti protetti del Nord, per le due romane
c’era una sola possibilità: alimentarsi alle generose mammelle della
moderna lupa cittadina, Capitalia. Nel panorama della finanza italiana
è un nome nuovo: però, le sue radici sono ben piantate nella storia
bancaria del nostro paese: è infatti il gruppo nato il primo luglio
2002 dall’integrazione tra Banca di Roma, Banco di Sicilia, Mcc, nuova
denominazione della banca d’affari Mediocredito Centrale, Bipop Carire
e Fineco Group. A sua volta, la Banca di Roma era sorta dall’unione di
tre dei più antichi istituti della capitale: il Banco di Santo Spirito,
le cui origini risalgono al lontanissimo 1605 e sono dovute a un decreto
di papa V Borghese, la Cassa di Risparmio di Roma, fondata nel 1836 da
un gruppo di 175 nobili romani, e il Banco di Roma, creato nel 1880.
Altra via per sfidare le grandi del Nord non c’era: solo una banca di
dimensioni notevoli avrebbe potuto garantire gli aiuti necessari a
reggere la sfida. Anche il Napoli è dovuto ricorrere all’ausilio
dell’istituto capitolino, affidandosi a Mcc; per acquisire la società
partenopea, Giorgio Corbelli chiese e ottenne un finanziamento di 32
milioni di euro, non ancora restituiti; soprattutto perché, a sua
volta, nemmeno il nuovo acquirente, l’imprenditore alberghiero
Salvatore Naldi, subentrato nel maggio 2002, ha pagato le azioni
cedutegli da Corbelli. E’ la storia che puntualmente si ripete negli
ultimi anni: la passione conduce spesso a compiere dei passi molto più
lunghi delle proprie gambe.
Un consiglio di amministrazione
particolare
Il quartier generale dell’istituto capitolino è ubicato all’angolo
tra via Minghetti e la centralissima via del Corso. Essa prese il suo
nome attuale nel Quattrocento, ma esisteva già all’epoca
dell’imperatore Augusto, ossia, come ricorda Virgilio
a Dante nel primo canto della Divina Commedia, al tempo «degli dèi
falsi e bugiardi». L’origine del nome della strada riecheggia le
corse che vi si svolgevano. (…)
Al
numero 239 sorge il Palazzo Sciarpa-Colonna, appartenuto all’Inps
dagli anni Novecento e ceduto, alla fine degli anni novanta, alla
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, azionista di Capitalia con il
7,186%. (…)
Proprio all’interno di questo splendido palazzo, sorto a nuova vita
nel Settecento grazie al rimodernamento voluto da Cardinale Prospero
Colonna di Sciarpa, agiscono, sia pure in affitto, il presidente di
Capitalia, Cesare Geronzi e tutto lo stato maggiore dell’istituto.
(…)
Al quarto e ultimo piano del palazzo, Cesare Geronzi ha insediato il suo
ufficio; da lì egli può dominare sia via Minghetti che via del Corso.
Sullo stesso piano c’è il ponte di comando dell’istituto
capitolino: è la sala in cui si riunisce il consiglio di
amministrazione. (…)
Al primo piano dell’edificio si trovano i padroni di casa della
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma. Al fianco di Geronzi si è
insediato, durante l’estate 2003, il neo-amministratore delegato
Matteo Arpe. I consiglieri, nuovi di zecca, sono 19; l’assemblea dei
soci ne ha ratificato la nomina il 4 dicembre 2003; spiccano i nomi di
Franco Carraio, Ahmed Menesi, Pierluigi Toti e Carlo Puri Negri, mentre
è uscito Calisto Tanzi, che faceva parte del direttivo dall’aprile
2001. Carraro è uno dei dirigenti di più lungo corso dello sport
nostrano. Attualmente è il presidente della Federazione italiana giuoco
calcio, una sorta di governo del più seguito sport nazionale. Ahmed
Menesi è il governatore della Banca centrale libica ed è l’uomo
designato dal dittatore Gheddafi a rappresentare la sua posizione
all’interno dell’istituto di credito italiano. Il colonnello è
infatti azionista di Capitalia con il 5%, attraverso la Libyan Arab
Foreign Bank: è la banca da cui transitano i fondi provenienti dalle
esportazioni di petrolio dalla Libia. Pierluigi Toti è un noto
costruttore con aderenze nel mondo finanziario: è presidente e
amministratore delegato del Gruppo Lamaro, e siede anche nel consiglio
di amministrazione di Interbanca. Carlo Puri Negri è l’amministratore
delegato di Pirelli Real Estate, costola immobiliare del gruppo
milanese, e uomo di fiducia di Marco Tronchetti Provera. (…)
Soci nuovi e vecchi, importanti o
meno
La composizione azionaria di Capitalia è variegata (…)
L’azionista principale del gruppo guidato da Cesare Geronzi è
diventata la banca olandese Abn Amro, che ha incrementato la propria
quota al 9%. Subito dietro viene la Fondazione Cassa di Risparmio di
Roma con il 7,186%. I colonnello Gheddafi possiede il 5% (…) giusto un
centesimo in più del 4,99% detenuto dalla Toro Assicurazioni. Intorno
al 3% oscillano ben sette diversi azionisti; il fondo pensioni olandese
Stichting, la Regione Sicilia, la Fondazione Banco di Sicilia, la Banca
Finnat, la Keluma e la finanziaria Premafin; fino ai primi di dicembre
2003 la lussemburghese Magiste aveva il 3%, da allora è scesa sotto il
2%; il 2% è della Tosinvest, l’1,9% della Pirelli, l’1,758% della
Lamaro Costruzioni, e poi, con quote variabili tra l’1% e lo 0,2%, ci
sono l’ingegnere mantovano Roberto Colaninno, dall’autunno 2003 alla
guida della Piaggio, la Colacem, il gruppo Marchini, il gruppo Ferrarini
e Massimo Moratti, entrato con lo 0,2% attraverso la fiduciaria Sirefid.