Non ho
parole per descrivere cos'hanno visto i miei occhi e udito le mie
orecchie!
Un film, un documentario, non so bene come definire questo capolavoro
giornalistico-investigativo di Michael Moore. Premiato pure a Cannes!
Sappiamo molto bene che il vero giornalismo è una chimera e lo sarà
sempre di più. Il vero giornalismo infatti è stato soppiantato da "manichini fotogenici" che pensano più alla messa in
piega che alle notizie che stanno veicolando al mondo.
Ma la cosa che non
potevo immaginare è che un regista americano, poco conosciuto ai più,
potesse dare una lezione di giornalismo e soprattutto di vita
reale.
Posso solo dire che se volete comprendere la situazione
americana, la vera situazione, non quella finta filtrata dai media,
dovete vedere questa pellicola veramente strepitosa.
Una denuncia magistrale, senza deviare in
violenza gratuita, che mostra come nel Paese della Libertà, della
Democrazia e dei Valori ci sia un quarto di miliardo di armi libere
di scorrazzare. Sì, oltre 250 milioni di armi, che causano più di 11 mila morti
OGNI anno per omicidio!
Non solo, ma l'obiettivo di Moore non è stato quello di fare questa
denuncia, abbastanza scontata se vogliamo essere onesti, ma va oltre, alla
ricerca delle vere cause. Motivazioni che spieghino infatti come in
Canada, nonostante 7 milioni di armi su 10 milioni di case, i morti per
omicidio sono irrisori se confrontati con quelli degli States. I due paesi
non distano migliaia di miglia, ma sono separati da un semplice fiume!
Ma allora cos'è che provoca questa violenza inaudita? La risposta al
cinema...
Marcello Pamio
"Bowling
for Columbine" di Michael
Moore
Sceneggiatura: Michael Moore
Animazione: Harold Moss
Cameramen: Brian Danitz e Michael McDonough
Distribuzione: Mikado
Nazionalità: USA 2002
Durata: 120 minuti
Recensioni del film:
Primissima
Scuola n. 5-6/2002:
Che fosse un film scomodo lo si è capito immediatamente a Cannes, dove per la
prima volta dopo 46 anni un documentario è stato scelto per il Concorso
ufficiale. Ancora più scomodo adesso, perché rischia di diventare un
manifesto non solo contro le armi, ma contro la logica della guerra. Ma così
scomodo da non trovare né un produttore (il film è stato finanziato da
produttori canadesi) e nemmeno una distribuzione in Usa, questo ancora non lo
si sapeva. A riprova che anche la nazione dove non esiste censura dall'alto,
applica una diversa ma non molto più democratica censura di mercato.
Il punto di partenza dei film è la strage avvenuta nell'aprile dei 1999 al
liceo Columbine, alle porte di Denver in Colorado dove, dopo una partita di
bowling, due adolescenti, dopo essersi mascherati ed armati fino
all'inverosimile, sono entrati dentro il recinto scolastico iniziando un
tragico tiro a segno contro gli insegnanti e i loro compagni dì scuola,
uccidendo 12 ragazzi ed un professore. Da questo episodio Moore allarga lo
sguardo sull'America, dove la stragrande maggioranza della popolazione
possiede un'arma. Nel film appare l'America tutta: dalla sua classe media al
suo presidente passando per il profeta della violenza, la rock star Marilyn
Manson e un Charlton Heston, nella sua meno nota veste politica, come
testimoniai della National Rifle Association, e difensore oltranzista dei
"secondo emendamento", quello che prevede il libero possesso delle
armi per la legittima difesa. Nel suo viaggio Moore cerca di scoprire perché
il sogno americano e la ricerca della felicità, prevista e codificata dalla
Costituzione, siano diventati un incubo, infarcito di violenza. "Siamo
una nazione di maniaci delle armi, o siamo semplicemente dei folli?" si
chiede il coraggioso regista, proprio in un momento di chiamata al
patriottismo, come quello che l'America sta vivendo dopo l'11 settembre.
Singolare personaggio questo Michael Moore che se ne va in giro per l'America
con una videocamera un po' impertinente e un po' burlona, a intervistare quasi
scherzando la gente, per mostrare il lato oscuro, il cuore di tenebra
dell'America. Con la sua curiosa macchina da presa Michael Moore cerca di
andare al di là dei fenomeno della diffusione capillare delle armi, cercando
di capire, ed andando a chiedere, perché ad esempio la stragrande maggioranza
degli abitanti dei quartieri residenziali dei sobborghi cittadini, gente
normalissima, piccola e media borghesia, impiegati e casalinghe, di notte
dorme con la 44 magnum sotto il cuscino.
Non mancano le immagini shock - le registrazioni delle telecamere di
sorveglianza dei Columbine durante il massacro o le riprese dell'irruzione
nella catena di supermercati nei quali si possono comprare pistole e munizioni
per un pugno di dollari - e memorabili interviste, come quella a Marilyn
Manson, star dei rock, accusato di incitare gli adolescenti a sparare.
O nella sua bella casa di Beverly Hiils al poco tollerante Charlton Heston,
accusato di razzismo e di promuovere irresponsabilmente la diffusione delle
armi.
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Stefano
Lusardi in Ciak n. 10/2002:
Gran lezione di cinema (utile) e di giornalismo (di denuncia e non
conciliante) quella offerta da Michael Moore, scomodo e ingombrante
documentarista, considerato in Usa quasi un pericolo pubblico (difatti i
soldi per questo film li ha trovati in Canada). Dopo aver attaccato, e
idealmente sconfitto, due multinazionali come General Motors e Nike,
stavolta Moore firma un atto d'accusa contro la lobby delle armi,
regalando un ritratto caustico e ferocemente realistico degli States,
paese dove ci sono più armi da fuoco (250 milioni) che cittadini e in cui
le vittime della libera vendita di armi sono da "Guinness dei
primati" (11 mila lo scorso anno). Partendo dal massacro compiuto nel
'99 da due studenti (dopo una partita di bowling) al liceo Columbine in
Colorado, Moore registra con la dovuta ironia situazioni surreali
(pallottole in sconto nei supermercati, banche che regalano fucili ai
nuovi correntisti), intervista il "satanico" Marilyn Manson (a
sorpresa saggio) e fa fare una pessima figura a Charlton Heston,
insensibile presidente della National Rifle Association. Il tutto facendo
cinema, con più vivacità e intelligenza di tanta fiction.
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