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La
bolla del carry trading
di Eugenio Benetazzo - 9 giugno
2007
tratto dal libro “BEST BEFORE: Preparati al
peggio”
Diventa
terribilmente preoccupante conoscere come è stata finanziata la folle
corsa di quel prototipo da corsa con il motore taroccato che porta il
nome di globalizzazione.
La globalizzazione presuppone che i capitali vengano investiti nei paesi
in cui l’investimento risulta maggiormente profittevole, ma allo
stesso tempo che anche l’indebitamento si realizzi nei paesi in cui è
più conveniente prendere a prestito il denaro.
Infatti così è successo. Come gli stabilimenti sono stati spostati in
Cina o in India, perché lì era più profittevole insediarsi, così i
grandi debiti d’esercizio delle multinazionali sono stati contratti in
yen giapponesi.
E
perché è stato scelto lo yen giapponese ? Semplice perché il tasso di
sconto in Giappone è dello 0,25 % (quindi un tasso irrisorio). Vale a
dire che se vi indebitate in Yen allora pagherete alla banca giapponese
che vi ha acceso un finanziamento, un tasso di interesse passivo
veramente ridicolo.
Questa tecnica speculativa è definita carry trading, e consiste appunto
nel prendere a prestito denaro (in valuta) ad un tasso passivo ed
investirlo altrove in un’altra divisa con un tasso attivo di
rendimento notevolmente superiore.
In termini pratici, immaginate di indebitarvi in yen allo 0,25 % e di
investire questa liquidità in dollari al 5 % (per investimento possiamo
considerare quasi tutto: impieghi in azienda, rifinanziamenti,
certificati dei deposito, obbligazioni e via così).
L’appeal
di questa opportunità è stata talmente stuzzicante che nessuno ha
saputo resistervi, infatti ad oggi circa i 2/3 del mondo occidentale
industrializzato è indebitato in yen. State certi che non è
assolutamente una notizia rassicurante.
Cerchiamo di capire perché non è rassicurante sapere che una grande
mole di debiti (quasi tutti di esercizio) è stata contratta in yen
giapponesi. La risposta a questa domanda è illuminante: i tassi di
interesse in Giappone sono destinati a salire e di conseguenza questo
farà rivalutare prepotentemente lo yen contro le altre valute.
Ma
facciamo un esempio pratico per capire in che modo si possono verificare
effetti domino a catena molto pericolosi per il sistema finanziario
globale e per ogni soggetto che si sia indebitato eccessivamente in yen.
Se sono una potente azienda multinazionale posso avere preso a prestito
250 milioni di dollari, che corrispondono a
30 miliardi di yen al tasso di cambio 120.00 (questo significa
che per ogni dollaro mi danno 120 yen). Questo tasso di cambio è legato
generalmente a variabili economiche, ma anche al livello di tasso di
sconto in Giappone, che come abbiamo detto è dello 0,25 % (in USA è
del 5,50 %).
Per
la corporation multinazionale il debito è contabilizzato in un
controvalore in dollari, ma ricordiamoci che è stato contratto in yen
ed in yen dovrà essere restituito.
Pertanto qualora
Le conseguenze per l’azienda multinazionale potrebbero essere
finanziariamente devastanti in quanto i 30 miliardi di yen iniziali di
debito iniziale (pari appunto a 250 milioni di dollari) si sono nel
frattempo trasformati in 300 milioni di dollari !
Il
debito ricordiamo deve essere estinto nella stessa divisa in cui è
stato contratto: pertanto, l’azienda presa ad esempio si troverebbe
aumentato il proprio debito del 20 % più il pagamento degli interessi
che sono triplicati (dallo 0,25 % allo 0,75 %).
Naturalmente poteva accadere anche
il contrario ovvero che il tasso di cambio dollaro/yen avrebbe potuto
apprezzarsi ulteriormente così che il debito da restituire sarebbe
diminuito. Molte aziende infatti hanno fatto questa proiezione ovvero di
indebitarsi in yen per sfruttare l’effetto rivalutazione del tasso di
cambio ed il livello dei tassi di interessi particolarmente bassi.
Ma
qualcosa ha iniziato a non andare secondo le aspettative: innanzitutto
il Giappone sembra stia definitivamente uscendo da una crisi
deflazionistica durata quasi vent’anni, la sua economia (ricordiamo
che il PIL giapponese è il secondo al mondo) ha recentemente dimostrato
segni di forte ripresa grazie alle politiche di rilancio dell’attuale
governo.
Sono molti
gli analisti che consigliano il Giappone come mercato su cui
concentrasi nei prossimi anni: un mercato che potrebbe rivelare delle
inaspettate sorprese. Un pò meno sorprese e molti guai invece, si deve
aspettare chi si fosse indebitato in yen.
Capite perciò la criticità della attuale situazione di
indebitamento da parte del sistema industriale globalizzato che ha fatto
la parte del leone sin tanto che il gigante del sol levante è stato in
letargo.
Tuttavia
al suo recente e lento risveglio, un suo sbadiglio (accenno al rialzo
dei tassi) è stato percepito come un ruggito, e tutte le corporations
indebitate si sono trasformate da leoni a conigli bagnati con la coda
fra le gambe, che adesso tremano e tentano di riparare in qualche modo.
A Wall Street insegnano che il denaro non dorme mai, i polli invece
spesso.
Non è finita, infatti, si deve aggiungere alla montagna di debito
facile creato dalla globalizzazione anche una seconda montagna, pronta a
franare da un momento all’altro: quella del boom degli strumenti
finanziari derivati (come le opzioni, i futures ed i certificati).
Prima
di proseguire mi è doveroso spiegare che cosa sono gli strumenti
derivati a chi non lo sapesse: con questo termine si indicano quei
titoli mobiliari quotati il cui valore di mercato è derivato da altri
titoli (detti sottostanti) quotati su altri mercati, come indici di
borsa, tassi di cambio e tassi di interesse.
Sono strumenti finanziari molto sofisticati che possono avere un duplice
utilizzo: quello di copertura di un determinato rischio finanziario e
quello di investimento con leva finanziaria (così detto utilizzo
speculativo) vista la loro elevata volatilità.
Nel primo caso mi permettono, a fronte di un modesto investimento a
fondo perduto, di proteggere un patrimonio consistente: per esempio per
proteggere un portafoglio di titoli azionari dal rischio di un ribasso
degli indici, posso acquistare una opzione PUT, destinata ad apprezzarsi
in caso di effettivo ribasso delle quotazioni.
Quindi
quello che perderò dalla svalutazione del portafoglio titoli, lo
guadagnerò dalla rivalutazione dell’opzione PUT: considerate quindi
lo strumento derivato, in questo caso, come una vera e propria
assicurazione. L’esempio
appena fatto è replicabile con tutto, obbligazioni, tassi di interesse,
oro, petrolio ed ogni sorta di materia prima.
Nel secondo caso invece l’approccio si fa molto più complesso in
quanto si presuppone di non possedere il così detto sottostante
(tecnicamente il bene quotato da cui derivano il loro valore).
Nel caso in questione, immaginate di essere interessati a speculare solo
sulla compravendita dell’opzione PUT per realizzare un profitto senza
avere il portafoglio di titoli azionari.
Questo approccio è dedicato solo ai professionisti di borsa,
agli speculatori molto aggressivi.
Proprio
come abbiamo anticipato prima, originariamente gli strumenti derivati
venivano negoziati per proteggersi da andamenti e scenari
dell’economia avversi rispetto alle attese. Erano strumenti poco
diffusi ed al tempo stesso molto sofisticati.
Negli ultimi cinque anni, tuttavia, hanno alimentato una
pericolosa bolla finanziaria a causa del loro sempre più crescente
appeal speculativo. Questo
è stato accentuato ed al tempo stesso accelerato dalla nascita e
presenza consistente sul mercato di grandi operatori istituzionali come
gli hedge funds e le banche di investimento speculativo, che sfruttano
l’effetto leva per moltiplicare i loro profitti.
L’effetto leva è una caratteristica tipica che contraddistingue gli
strumenti derivati: consiste nella capacità di movimentare e negoziare
grandi some di denaro avendo la disponibilità solo di una piccola
parte.
Non
voglio entrare troppo nel dettaglio in quanto rischierei di annoiarvi,
immaginate semplicemente che potete acquistare
o vendere determinali valori mobiliari (come azioni od
obbligazioni) del controvalore di 1.000.000 $ mettendo semplicemente a
garanzia di questa operazione una piccola frazione in percentuale, ad
esempio il 5 %, quindi solo 50.000 $.
Perciò se quello che avete acquistato si è rivalutato del solo 2 %
(quindi 20.000 $ su 1.000.000 $), in realtà l’investimento che avete
effettuato ha reso il 40 %, in quanto i 20.000 $ devono essere
rapportati all’esborso finanziario effettivo, quindi 50.000 $.
La potenzialità speculativa degli strumenti derivati è pertanto
impensabile per l’uomo medio della strada, sfruttando l’effetto di
leva finanziaria, è possibile realizzare enormi profitti dell’ordine
del 100/200 % sull’investimento effettuato (che sarebbe invece
rispettivamente la performance del 5/10 % realizzata dal sottostante).
Tuttavia
come posso guadagnare il 40/100 %, con la stessa facilità, in caso di
fenomeni economici avversi ed improvvisi, potrei perdere il 40/100 % di
quanto ho investito.
Ora, a causa del preoccupante volume di controvalore che hanno generato
i prodotti derivati, oltre i 300 trilioni di dollari (pari a 30 volte il
PIL degli USA), i mercati finanziari si sono trasformati in gigantesche
cattedrali costruite su impegni e debiti finanziari, castelli di carte
che hanno basato le loro fondamenta su patrimoni piramidati con ingenti
rischi esposti alla leva finanziaria.
Ed è proprio la globalizzazione con tutte le sue false illusioni ad
avere reso possibile questi meccanismi perversi di allocazione del
denaro attraverso il ricorso agli strumenti finanziari.
Di
fatto quindi ci troviamo innanzi ad uno stadio evolutivo terminale, in
quanto la corsa spropositata e disinibita alla negoziazione e
sottoscrizione di strumenti derivati, ha notevolmente amplificato i
rischi del mercato, anziché eliminarli.
Questo perché l’utilizzo e la diffusione è avvenuta con scopi
prevalentemente speculativi: in questo momento i patrimoni di fondi
speculativi e grandi banche d’affari investiti in prodotti derivati
hanno esposto tutti i mercati finanziari (dalle obbligazioni alle
azioni) ad un rischio di default finanziario su scala planetaria senza
precedenti storici, amplificando anche la possibilità di fallimento di
intermediari finanziarie e grandi gruppi industriali.
Non
a caso si è sviluppato un mercato di strumenti finanziari
specificatamente dedicati al rischio generico di default finanziario, i
così detti CDS (acronimo di Credit Default Swaps). Questi strumenti
finanziari derivati hanno lo scopo di trasferire l’esposizione
creditizia di un soggetto nei confronti di altre parti: vengono spesso
utilizzato con scopi assicurativi come, ad esempio, la copertura di
prestiti obbligazionari.
La logica che li sostiene è pertanto la copertura di un mancato
pagamento. Immaginate perciò
l’attuale sistema finanziario del pianeta che non ha eguali con il
passato, visto che utilizza toppe di carta a copertura di altre toppe di
carte.
In
definitiva il leit motiv è sempre lo stesso: non c’è denaro e mi
invento, attraverso l’ingegneria finanziaria, qualcosa di idoneo a
sostituire il denaro per coprire un debito. Nessuno di voi immagina che
dimensione abbiano raggiunto solo questi CDS ed il ruolo salvachiappe
che hanno per grandi fondi speculativi e banche d’affari.
Lo scenario globale che ne esce, pertanto, rispetto ad esempio al
Tratto dal libro: “BEST BEFORE: Preparati al peggio”
Eugenio
Benetazzo
Trader Professionista
www.eugeniobenetazzo.com/tour.html
www.youtube.com/eugeniobenetazzo