Ennesimo esempio lampante della legge
"aurea del controllo": Problema -> Reazione -> Soluzione.
Prima si crea il "Problema" (mancanza di energia), la
"Reazione" della gente è immediata (preoccupazione, indignazione e
paura), e
la "Soluzione", a portata di mano, è il rinnovo, a spese dei
contribuenti (noi), delle linee elettriche,
dei sistemi per la produzione (petrolio, nucleare, ecc.).
- Pagina Black-out
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Per
i blackout i Democratici accusano Bush, amico della lobby dell'energia
di
Roberto Rezzo da l'Unità on-line del 18 agosto 2003
L’amministrazione Bush ha promesso di far luce
sulle cause del black out, ma intanto avverte che c'è da pagare la bolletta, un
conguaglio da 50 miliardi di dollari. Questa è la cifra indicata dagli esperti
per modernizzare la rete di distribuzione, e il segretario all'Energia, Spencer
Abraham, ha messo in chiaro che a pagarla saranno i consumatori. «Gli utenti ne
beneficeranno - ragionava davanti alle telecamere della Cbs - a loro andrà il
conto, mi sembra naturale».
La deregolamentazione del comparto, avviata
verso la fine degli anni '80, prometteva un servizio migliore a un prezzo più
basso; persino i promotori di quella riforma ammettono che le cose non hanno
funzionato a dovere. «Una volta le società elettriche investivano nelle linee
di trasmissione perché faceva parte del loro modello di business - ha
dichiarato Andrew Lundquist, che è stato uno fra i più stretti collaboratori
del vice presidente Cheney sulle questioni dell'energia - Siccome ora non ne
hanno più il controllo esclusivo, regna l'incertezza su chi debba occuparsene.
Non sto dicendo che la deregolamentazione sia un cattivo modello, ma su questo
punto occorrono certezze».
Il compito di stabilire i parametri tecnici di sicurezza entro cui la rete deve
operare spetta al North American Electric Reliability Council, un'agenzia creata
dopo il black out del 1965 proprio per evitare che la rete di distribuzione
finisse ancora in tilt, ma non ha l'autorità per obbligare le compagnie
elettriche ad adeguarsi. «Da un paio d'anni stiamo cercando aiuto dal Congresso
per far rispettare le regole - ha dichiarato il direttore generale, Michael Gent
- Quando c'è una violazione le raccomandazioni non bastano, bisogna avere il
potere di ordinare gli interventi necessari».
Tutti a parole sono d'accordo per una riforma, ma tra repubblicani e democratici
si preannuncia un duro scontro al Congresso. La Casa Bianca spinge infatti per
l'approvazione di un disegno di legge sull'energia tanto complessivo quanto
controverso, che darebbe via libera alle compagnie petrolifere per trivellare un
parco naturale dell'Alaska, e incentivi a quelle elettriche perché facciano
investimenti nella distribuzione e nell'affidabilità degli impianti. Quanto
agli standard operativi e ai controlli sulla rete, il presidente Bush non
ritiene necessario che se ne occupi il governo federale, che siano i singoli
Stati a vedersela con le compagnie, e comunque non intende imporre adeguamenti
senza lasciare almeno tre anni di tempo.
«Il nostro sistema elettrico è un colabrodo perché la lobby delle società
elettriche fa tutto il possibile per mantenere lo status quo - ha commentato
Bill Richardson, governatore del New Mexico, segretario all'Energia durante
l'amministrazione Clinton - difende i suoi profitti e non vuol saperne di essere
messa sotto controllo da un'autorità federale. È una lobby che sa farsi
ascoltare».
L'opposizione accusa Bush di tenere in ostaggio la sicurezza dell'alta tensione.
«Il problema potrebbe essere stato risolto da cinque anni, se solo i
repubblicani accettassero di scorporare la questione delle trivellazioni - ha
dichiarato Edward Markey, deputato del Massachusetts, membro della Commissione
che si occupa di Energia e Commercio - la questione ora sono gli standard della
rete, risolviamola e poi vedremo se è il caso di andare a cercare il petrolio
nella riserva naturale artica». Il segretario Abraham, che grazie al black out
ha guadagnato un'improvvisa notorietà televisiva, ribatte che «non sarebbe
opportuno» discutere separatamente questi due argomenti. La parola d'ordine tra
le fila repubblicane è che «se manca la corrente, è perché i democratici
sono degli ambientalisti estremisti».
Le accuse volano tra maggioranza e opposizione come tra i vertici delle società
coinvolte nel black out e i tecnici che indagano sulle cause. FirstEnergy, la
compagnia elettrica dell'Ohio, dai cui impianti sembra essere partita la
reazione a catena del sovraccarico, è partita al contrattacco. «Avevamo tre
linee fuori uso, ma è una cosa abbastanza normale in piena estate - si è
difeso un portavoce - Quello che è successo è molto più complesso, avevamo
notato qualcosa di strano molto prima che fosse il nostro circuito ad avere dei
problemi». FirstEnergy è in difficoltà finanziarie e lo scorso anno era stata
obbligata a chiudere una centrale atomica per insufficiente manutenzione, ma gli
esperti concordano che se un intero palazzo resta al buio per il cortocircuito
di un ferro da stiro, il problema è nell'impianto del palazzo, non della
signora al terzo piano che stirava. Per tutti vale il dato pubblicato dal
Financial Times
: negli Stati Uniti 250 società elettriche hanno investito lo scorso anno nella
distribuzione 800 milioni di dollari. La stessa cifra spesa in Inghilterra da
tre società per una rete 15 volte più piccola
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