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Blackwa(te)r:
la guerra sporca dei contractors in Afghanistan
A cura dell’avv. Luca Troiano
In
seguito all'annuncio di Hillary Clinton di rinnovare i contratti con le
security agencies presenti in Afghanistan, il governo Karzai si è visto
costretto a rimandarne la messa al bando dal paese. La Blackwater cambia
il nome (ora Xe Services) ma non i metodi. In Afghanistan la guerra è
una cosa “privata”.
1.
Mentre a Kabul prosegue la trattativa diretta tra il presidente Karzai e
alcuni capi talebani per porre fine ad una guerra giunta al nono giro di
boa, in Occidente è passata sotto silenzio la decisione del governo
afghano, prima annunciata e poi ritirata, di mettere al bando le varie
agenzie private di sicurezza che
operano nel paese.
Già in estate Karzai aveva disposto con decreto l'allontanamento di
tutte le compagnie mercenarie dal paese (definite “ladri di giorno,
terroristi di notte”), perché responsabili di gravi violazioni dei
diritti umani in Afghanistan. Il piano del presidente prevedeva lo
scioglimento di tutte le compagnie nel termine del primo gennaio
prossimo. “Non solo provocano tanto disagio al popolo afghano,”
aveva detto Karzai il 16 agosto, “ma sono in realtà in contatto con
gruppi mafiosi e, forse, anche dietro il finanziamento di militanti,
ribelli e terroristi”. Il primo ottobre il portavoce del governo,
Waheed Omar, annuncia la messa in atto dell'operazione. Otto agenzie
sono colpite dal provvedimento con effetto immediato: le americane NCL
Holdings e Four Horsemen International, l'inglese Compass International,
le afghane White Eagle Security Services e Abdul Khaliq Achakza. A
queste si aggiungono due compagnie minori delle quali non è stato reso
noto il nome. Entro gennaio, ha aggiunto il portavoce, sarebbe scattato
il divieto di lavoro per tutte le compagnie (ben 52) registrate presso
il Ministero della Difesa. Nonostante l'opposizione di Washington, da
agosto in poi Karzai si è dimostrato irremovibile. Almeno fino ad
ottobre.
Il
primo del mese, infatti, fughe di notizie dal Dipartimento di Stato Usa
confermano la firma di un nuovo contratto miliardario tra il governo
americano e le security agencies e il loro imminente ritorno in Iraq,
mentre quelle già presenti in Afghanistan non sarebbero state ritirate
. L'accordo, denominato Worldwide Protective Services Contract, ha
durata quinquennale e costerà al contribuente americano oltre 10
miliardi di dollari.
Karzai,
a quel punto, si è trovato tra due fuochi: quello popolare, esasperato
dai soprusi commessi dai mercenari in nove anni di guerra, e quello
degli Usa, che a suon di biglietti verdi riesce sempre a farsi
ascoltare. Il presidente ha lasciato trascorrere un mese, incerto sul da
farsi, o più prosaicamente alla ricerca di una spiegazione al suo
dietrofront che gli consentisse di non perdere la faccia.
Sabato 30 l'annuncio: lo scioglimento delle compagnie è posticipato al
marzo 2011. Motivazione ufficiale? Preservare “i progetti di sviluppo
e i programmi finanziati dalla comunità internazionale”. Il giorno
prima, ad esempio, il governo di Kabul aveva annunciato il completamento
della linea ferroviaria, la prima del paese, che collegherà
Mazar-i-Sharif all'Uzbekistan, facilitando commerci e rifornimenti,
segno che i progetti finanziati dall'Occidente, ogni tanto, vanno anche
a buon fine. Ma che il blocco del provvedimento di espulsione sia in
ogni caso dovuto alle pressioni degli Stati Uniti, che nelle agenzie
private hanno investito un mare di soldi, è evidenziato dagli stessi
rapporti istituzionali che circolano a Washington.
2.
I “contractors”, ossia gli agenti delle compagnie private di
sicurezza, sono soldati a tutti gli effetti, in quanto stipendiati dal
Dipartimento di Difesa. Tuttavia, il loro reclutamento presenta dei
vantaggi rispetto all'impiego delle forze regolari: costano meno, perché
sotto contratto a termine, e hanno un minore impatto sull'opinione
pubblica, in quanto “meno in vista” rispetto ai militari effettivi.
E infine, il governo non è tenuto a ritirarli dal paese entro il
termine previsto per l'esercito: insomma, restano finché il Pentagono
li paga.
L'esistenza di compagnie private alle quali sono affidati il servizio di
sicurezza, nonché altri compiti, una volta di competenza esclusiva
dell'esercito, è stata messa in luce dal cosiddetto “Blackwatergate”.
Il nome dell'agenzia Blackwater è conosciuto al grande pubblico dal 16
settembre 2007, giorno in cui alcuni uomini dell'organizzazione, di
scorta ad un uomo d'affari nel centro di Baghdad, aprirono il fuoco
sulla folla uccidendo 17 civili. La Blackwater finì nell'occhio del
ciclone e gli Stati Uniti subirono un danno d'immagine, secondo
un'indagine del Washington Post, peggiore dello scandalo di Abu Ghraib.
Due
settimane dopo l'incidente, Erik D. Prince, ex marine e fondatore
dell'agenzia nel 1997, decise di uscire allo scoperto per prendere le
difese dei suoi uomini. “Quello che è avvenuto,” disse, “è stato
un deprecabile incidente,” sottolineando che dall'inizio della guerra
la stessa Blackwater aveva perso 30 uomini mentre nessuna delle persone
scortate aveva subito danni. Nessuna precisazione circa operazioni
svolte oltre al servizio di scorta, né tanto meno sul numero di civili
uccisi nello svolgimento delle stesse.
La scoperta che il governo americano aveva “appaltato” una larga
fetta della sicurezza in Iraq a gruppi di mercenari in perfetto stile
“A Team” suscitò un enorme scalpore presso l'opinione pubblica. Al
punto che il Congresso Usa nominò una commissione bipartisan,
presieduta dal deputato democratico Henry Waxman, per indagare su quanto
avvenuto in Iraq. Il rapporto finale, oltre a stigmatizzare le attività
militari dell'agenzia (in 163 scontri a fuoco su 195 erano stati i suoi
uomini a sparare per primi), non risparmiava accuse all'amministrazione
Bush, colpevole di aver coperto l'operato dei contractors. Si scoprì
che la Blackwater aveva il suo quartier generale a Moyoc, nel North
Carolina, dove addestrava 35000 uomini all'anno, e che possedeva
addirittura una flotta di 76 aerei, soventemente concessi in affitto
all'esercito regolare per le operazioni più delicate. E che dal 2001
aveva ricevuto dal governo Usa oltre un miliardo di dollari e di cui non
è mai stato possibile documentare l'utilizzo. In seguito allo scandalo,
Prince decise di sciogliere la compagnia. Per ricostituirla poco più
tardi con un altro nome: Xe Services LLC.
In
agosto, il Dipartimento di Stato ha condannato la Xe Services ad una
multa di 42 milioni di dollari per violazione dell'embargo all'export di
armi in Afghanistan. Ma Washington non ha smesso di chiudere un occhio
sull'operato della compagnia: il 23 ottobre il Dipartimento di Giustizia
ha archiviato il caso di Andrew J. Moonen, ex agente Blackwater, che il
24 dicembre del 2006 uccise con tre colpi di pistola Raheem Khalif, una
guardia del corpo del vicepresidente iracheno Adel Abdul Mahdi.
L'archiviazione è giunta al termine di un iter giudiziario fatto di
insabbiamenti e giustificazioni giuridiche (incertezza sulla legge da
applicare, difficoltà nel reperire prove su un campo di battaglia,
legittima difesa) o presunte tali. Per la cronaca, ogni processo
intentato contro agenti della compagnia si è concluso con un nulla di
fatto. Compreso quello per la strage dei 17 civili a Baghdad nel 2007.
Per la verità, in questi anni non è stata l'unica agenzia di sicurezza
ad aver evidenziato una condotta (ed una contabilità) inaffidabili.
Alla fine del 2007 il Diplomatic Security Bureau, organismo di controllo
Usa, rese noto che il Dipartimento di Stato non era stato in grado di
documentare come fosse stato speso il miliardo di dollari elargito ad
un'altra compagnia, la Dyn Corp International, messa sotto contratto per
addestrare la polizia irachena. I revisori incaricati dal Congresso
trovarono conti in disordine, pagamenti duplicati e spese per
attrezzature mai utilizzate. Senza contare benefits ed extra vari ai
dipendenti.
Una gestione disastrosa, insomma. Alla quale la Clinton ha scelto di
accordare una rinnovata fiducia.
3.
Quella in corso in Afghanistan passerà alla storia come la più
imponente guerra “privata” di sempre. All'inizio dell'anno il
Pentagono impiegava nel paese 104.000 contractors e 68.000 soldati
regolari, e il Congressional Research Service stimava che ai 33.000
soldati inviati da Obama sulla scia del modello (il surge) già
sperimentato in Iraq si sarebbe aggiunto un ulteriore numero di
mercenari tra i 26.000 e i 56.000. in Afghanistan, secondo l'organismo,
la percentuale di agenti privati impiegata è la più alta che in ogni
altro conflitto nella storia degli Usa. Dopo aver privatizzato i servizi
pubblici, la sanità, le poste, i trasporti, lo zio d'America dimostra
che si può appaltare anche la guerra. Con l'inevitabile corollario
della “deregulation”, che nel caso di specie significa agire
nell'impunità più assoluta.
Attualmente
il numero di contractors si attesterebbe sui 26.000, di cui 10.000
statunitensi e 16.000 stranieri, per lo più locali. Le loro mansioni
non si limitano al servizio di sicurezza, ma finiscono per sovrapporsi
ai compiti operativi dei militari. In pratica, sono un doppione dei
soldati in divisa. Se non fosse che loro non hanno regole da rispettare,
a cominciare da quelle previste nelle Convenzioni sui diritti umani. E
poco importa se la loro condotta sfocia in veri e propri abusi ai danni
della popolazione, ci pensano i tribunali a mettere le cose a posto (rectius:
a tacere).
4.
Non sono solo i “vip” ad affidarsi alle cure delle compagnie di
sicurezza private: anche la gestione della sicurezza delle basi Usa nel
paese è affidata dai comandanti ad agenzie di contractors, che
subappaltano il servizio ai signori della guerra locali. Con il
risultato che i vertici militari Usa non sanno nulla di chi vigila sulle
loro installazioni in terra afghana, e che secondo un rapporto del
Senato sarebbero legate ai taliban, o all'intelligence iraniana. Ma c'è
di più.
Il 22 giugno un rapporto del Congresso Usa intitolato Warlord Inc,
frutto di un'indagine durata sei mesi, evidenziava che i principali
finanziatori degli insorti in Afghanistan sono proprio gli Stati Uniti.
Questo perché il Pentagono appalta i trasporti logistici di
rifornimenti per i militari Usa in Afghanistan a otto ditte private
(civili) accreditate nell'ambito del programma chiamato «Host nation
trucking» (trasporti nella nazione ospite), per cui spendono 2,1
miliardi di dollari. E il contratto prevede che siano le ditte stesse a
provvedere alla sicurezza del trasporto. Considerato che le strade sono
controllate da piccoli gruppi di signori della guerra (warlord,
appunto), ne consegue che la sicurezza dei servizi di rifornimenti è
affidata ai vari warlord presenti lungo il cammino. Si parla di 500
dollari per un camion da Kandahar a Herat (dove ha sede il contingente
italiano) e di 50 dollari da Kabul a Gazni, per fare qualche esempio; ma
in alcune zone più instabili si arriva anche a 1500 dollari. Un sistema
formato da centinaia di agenzie private che dà lavoro a circa 70000
uomini armati. E che alimenta una spirale di corruzione che rafforza gli
insorti. Finanziando la guerra dalla parte sbagliata.