Home Page - Contatti - La libreriaLink - Cerca nel sito - Pubblicità nel sito - Sostenitori

- Pagina economia

Bankitalia. La Banca del Malaffare
Venerdi 9 Settembre 2005 - Ugo Gaudenzi
Pubblicato da “Rinascita”

C’era una volta il gruppo dei quattro. Il suo collante, nel biennio 1992-1993, era l’impegno nel lavoro per il Nemico. E il Nemico – dello Stato italiano, delle sue imprese pubbliche strategiche, della sua sovranità residua, seppur limitata - si annidava nelle ovattate stanze della Grande Finanza, internazionale e nazionale, decisa a smantellare lo stato sociale, la tutela del lavoro, la gestione pubblica delle maggiori attività produttive italiane. Con punta di diamante la compagnia Goldman&Sachs.
Certo, non si trattava di un’offensiva diretta esclusivamente contro il governo di Roma e il popolo italiano. La caduta del Muro di Berlino, il crollo dell’Urss, aveva reso gli “Stati nazionali” ancora gelosi della propria indipendenza politica ed economica – fino ad allora utilizzati, o, meglio: sopportati dai Signori del Denaro perché “aree cuscinetto”, zone di equilibrio nel mezzo del confronto tra Washington e Mosca – ormai inutili e da abbattere.
Soltanto così si possono spiegare le ondate di delegittimazione politica e devastazione economica che hanno travolto in quegli anni i vari poteri governativi semi-indipendenti alla guida del Giappone di Tanaka o della Spagna di Gonzalez o del Perù di Garcia, dell’Italia di Craxi o della Germania di Kohl.

Ondate che dichiaravano la “trasparenza sul commercio internazionale” (per irreggimentarlo in regole di mercato asfittiche e privatistiche e che naturalmente escludevano gli Usa, poi culminate nell’Omc); che operavano per le cosiddette “liberalizzazioni”, “deregolamentazioni”, “privatizzazioni” delle economie nazionali; che culminarono nell’epopea di “Mani Pulite” e nella contestuale presa del potere di agenti dell’usura e della speculazione internazionale.
Ecco quel gruppo dei quattro (usiamo una locuzione cara a chi si intende di politica contemporanea cinese: i detrattori chiamavano quel gruppo la “banda di Shangai”) era allora composto da tali Ciampi – governatore di Bankitalia – Andreatta – ministro – Draghi direttore generale del Tesoro, dal 2002 in forza alla Goldman&Sachs – e Prodi – presidente dell’Iri, consulente del cliente-Iri Unilever, inventore di Nomisma e oggi leader dell’opposizione naturalmente finanziato dalla solita Goldman&Sachs. A questo gruppo si unì con lestezza, alla 8 settembre, anche tale Amato, già delfino di Craxi.

Chi legge questo giornale – o chi ha letto gli scritti dell’EIR, l’Executive Intelligence Review, o l’Uomo libero, o i saggi di Blondet – sa di cosa parliamo. Parliamo della doppia grande rapina ai danni dell’Italia, degli Italiani tutti, compiuta in quegli anni. Parliamo precisamente di un convegno sul “Britannia”, l’allora panfilo reale di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra, dove alcuni di questi signori negoziarono la svendita del patrimonio pubblico italiano al peggior offerente, sponsor il governatore della Banca Centrale britannica. Parliamo della conseguente mancata difesa della lira dalle speculazioni monetarie (acquistavano le lire all’estero a minor prezzo e le rivendevano in Italia alla massima quotazione) organizzate dalle banche d’affari e da speculatori quali Georges Soros, finanziato dalla Goldman&Sachs, della svalutazione della nostra moneta, della sua fuoriuscita dalla gabbia di parità del sistema monetario europeo, della conseguente super-stangata fiscale ai danni degli italiani iniziata da Amato e ripetuta via via negli anni dai suoi compagni di merenda. Parliamo della cosiddetta “collocazione all’estero” dell’indebitamento dello Stato nazionale con i suoi cittadini: un debito intra-familiare mefistofelicamente trasformato in un debito con l’estero, con le banche, le finanziarie, le assicurazioni che operano e speculano sui “mercati”. Parliamo della svendita totale di ogni gioiello produttivo italiano. Dell’addio alle produzioni strategiche che avevano fatto dell’Italia il quinto Paese più avanzato del mondo, della canalizzazione dell’economia nazionale nei binari del terziario, dei servizi, nel ruolo di camerieri del resto del mondo. Di un’Italia ridotta da questi Signori a Paese sottosviluppato fornitore di spettacoli, moda e null’altro.

Ecco. Una dozzina di anni fa si compì un misfatto a irreversibile danno del popolo italiano. Che da creatore di ricchezza, si trova oggi nelle secche della disoccupazione, del lavoro precario, della mancanza di avvenire.
E per quel misfatto, per quella grande rapina del futuro nazionale, nessuno ha ancora pagato.
Anzi: al grande speculatore Soros è stato lo stesso Prodi a procurare, all’Università di Bologna, una laurea ad honorem in economia. Come ringraziamento per aver assestato un colpo mortale all’economia nazionale, evidentemente.
Già, i nomi sono noti a tutti.
Ma tutti sanno, anche i più sprovveduti, che “lupo non mangia lupo”.
Eppure qualcosa può repentinamente mutare. Gli scricchiolii sotterranei del capitalismo finanziario, hanno aperto crepe nel terreno, sotto gli occhi di tutti.
La stessa vicenda del “Fazio-gate”, un governatore che non ha fatto altro che seguire imperterrito la corrente dei suoi predecessori, lottizzando la Bnl all’Unipol diessina e la Antonveneta alla Bpi leghista, nella sua chiara insignificanza visto come vanno le cose in Italia dal dopoguerra in poi (altro sarebbe stato chiedere la testa di Fazio per non aver controllato Tanzi o Cragnotti, o le piramidi albanesi o i bond argentini… ma ciò non si è dato), è un evidente bluff di copertura. E l’intervento di Ciampi e dei governanti bipartisan di questa Repubblica – Berlusconi e Fassino – ne è la prova.

Non si vuole che, scoperchiata un millimetro la pentola di una Banca – quella d’Italia – fuoriesca tutta la sua melma. Quella della sua composizione privatistica, della sua proprietà azionaria (banche private, assicurazioni private, finanziarie private, banche estere controllate da banche d’affari cosmopolite). E quella del suo ruolo usuraio nei confronti dei cittadini – ai quali “vende” ad interesse la loro stessa moneta – e del suo ruolo di “garante” di tutela degli interessi speculativi della grande finanza internazionale.
Proprio su quest’ultimo punto – mentre i giornali (in)dipendenti italiani punteranno le loro cronache e i loro commenti sulla “ritirata” di Fazio dalla riunione di Manchester, o sul colore del suo vestito, o sulla caduta di folta forfora sulla sua giacca, lasciamo la parola al presidente del Consiglio italiano che, al tempo, si era accorto di questa grande truffa, che l’aveva indicata, denunciata. Ma che era stato anche azzittito ed ostracizzato, perché troppo indipendente nei giudizi, perché non suddito degli interessi di Wall Street o della City.

A Bettino Craxi.
Che da Hammamet, il 2 febbraio 1997, dopo uno scambio di documenti con Venier, aveva inviato una lettera al Corriere della sera (e poi a Repubblica), quantificando il danno che Ciampi aveva procurato all’Italia in 14 mila miliardi di lire. Un saldo negativo di un’estate, quella del 1992, che proprio il governatore attuale, il “culo di pietra”, come lo chiamano i suoi attuali nemici, Antonio Fazio, pochi giorni dopo la sua nomina aveva quantificato in 48 miliardi di dollari. Tutti da ascrivere all’allora appena giubilato in “politica” ex governatore Carlo Azeglio Ciampi.
Che dovrebbe essere lui a rassegnare le dimissioni. E senza alcuna “moral suasion”.

La denuncia di Craxi
Leggo su Repubblica, a proposito della svalutazione della lira del ‘92, tornata agli onori della cronaca giudiziaria e giornalistica, un articolo a firma Elena Polidori, nel quale vengono attribuite a Ciampi alcune spiegazioni dalle quali risulterebbe:
1) Che la difesa ad oltranza ed il cedimento del 14/9/92 sarebbero state decisioni del governo, con Banca d’Italia solo in un ruolo consultivo. Questa affermazione è in contrasto con ciò che si legge in un libro di Barucci (pg 52-59). Il “consigliere” Ciampi bene a conoscenza delle intenzioni tedesche (non intervento a sostegno, con il che il capitolo era chiuso), delle forze in campo e quant’altro, sarebbe stato ascoltato o no? Ciampi non dice ora della sua posizione dell’epoca, che invece risulta descritta in modo chiaro nel libro dell’ex ministro del Tesoro.
2) Le considerazioni di Ciampi sull’utilità dell’emergenza, la cultura della stabilità, etc... in relazione all’enorme spreco di risorse che fu messo in atto, valgono quanto quelle di Barucci a proposito dei vantaggi che ne avrebbero tratto le “api industriose” e cioè, nulla. Osserviamo invece che, né Ciampi, né Barucci dicono se la lira era o non era sopravvalutata in termini reali, rispetto alle principali monete europee. Non lo era affatto. Secondo i dati Istat, il grado di copertura della bilancia commerciale italiana è stato: 91,8% nel 1989 93,5% nel 1990, 92,91% nel 1991. Considerando l’interscambio beni e servizi, tale grado di copertura risulta del 98% per il ‘91 e il ‘92. Si trattava quindi di valori normali. L’interscambio commerciale dell’Italia era sostanzialmente in equilibrio e quindi non appariva certo necessaria una consistente svalutazione per motivi di bilancia commerciale. Lo squilibrio era provocato solo da transazioni speculative. Di fronte all’attacco speculativo, il governo e la Banca d’Italia non adottarono alcune misure eccezionali, necessarie e giustificate, che potevano essere prese e che erano le sole utili a fronteggiare quella situazione, mentre invece si gettarono in una solitaria e costosissima difesa della lira, che finì come finì, e cioè con un capitombolo a tutto vantaggio della speculazione.
3) Vediamo meglio quanto l’Italia finì con il perdere. Secondo Eurostat le “disponibilità ufficiali lorde indivise convertibili” dell’Italia, a fine 1991, erano 33.329 milioni di ecu, corrispondenti all’epoca a circa 52mila miliardi di lire e a circa 42 miliardi di dollari Usa. La cifra, ripetutamente indicata in 48 miliardi di dollari Usa, gettata nella fornace del mercato in difesa della lira, sarebbe del tutto comparabile con la disponibilità. Sempre secondo l’Eurostat la disponibilità italiana in divise convertibili è diminuita da fine 91 a fine 92, di circa 18 mila miliardi. La cifra di 14mila miliardi persa nei soli tre mesi tra luglio e settembre ‘92 appare concordante con le statistiche Eurostat.
4) la speculazione fece affari straordinari. Basta, come esempio, il caso che riguarda l’operatore finanziario internazionale Soros. Secondo notizie apparse sulla stampa, Soros avrebbe ottenuto un prestito di un miliardo di dollari Usa al 5 per cento. Con un esborso di 50 milioni di dollari avrebbe conseguito un profitto di 280 milioni di dollari. Un affare d’oro. Non per niente venne poi insignito della laurea homoris causa dall’Università di Bologna.
Tanti altri parteciparono all’operazione. Del resto risulta del tutto credibile la possibilità di realizzare consistenti profitti, soprattutto se si può stimare con buona sicurezza il momento della svalutazione”.
Bettino Craxi

Pochi giorni prima, il 30 gennaio del 1997, sempre nascosto in una pagina interna, il Corriere della sera aveva già dato spazio all’ex presidente del Consiglio, che si chiedeva:
...”certamente sarebbe interessante accertare quali gruppi finanziari italiani, e se per caso anche istituti di credito nazionali, abbiano partecipato, rafforzandolo, all’assalto condotto dalla speculazione internazionale contro la lira”.

Bettino Craxi

 
www.disinformazione.it