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Il
Procuratore Generale Tarquini spiega la truffa di Bankitalia
Visto su http://sebastianoscrofina.blogspot.com/2004/12/il-procuratore-generale-tarquini.html
Tratto da “La banca, la moneta e l’usura – La Costituzione tradita”, di Bruno Tarquini [*], già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell'Aquila (ed. Controcorrente, Napoli 2001)
"Le
anomalie di un bilancio […] la Banca d’Italia, nei propri bilanci,
iscrive tra le poste passive la moneta che immette in circolazione.
Questo ritiene di poter fare in virtù di un mero gioco di parole, che
si risolve in definitiva in una presa in giro del popolo, sfruttando in
modo truffaldino la formula che ancora si trova scritta sulle banconote
(“Lire centomila – pagabili a vista al portatore” – firmato
“Il Governatore”) e che, oggi, non avrebbe più alcuna ragione di
essere, perché non significa nulla [1].
Infatti si tratta di un’obbligazione che l’istituto bancario si
assumeva nel passato (nel tempo, cioè, in cui vigeva la convertibilità
del biglietto di banca in oro) di convertire appunto la carta moneta nel
metallo prezioso che ne costituiva la garanzia (base aurea).
Nei tempi attuali, in cui quella convertibilità è stata abolita ed è
stato imposto il corso forzoso della moneta cartacea, quella “promessa
di pagamento a vista” ha perduto ogni contenuto e non può, quindi,
avere alcun valore. Tuttavia la Banca d’Italia ritiene ancora di
potersene avvalere, confidando che la mera apparenza, che ancor oggi
conservano i biglietti di banca, di cambiali a vista, e quindi
formalmente di debito, le possa consentire legittimamente di considerare
la moneta immessa in circolazione come una propria passività da
iscrivere in bilancio tra le poste passive. Ed è noto come l’aumento
artificioso del passivo, in un bilancio societario, determini un
illecito annullamento dell’attivo [2].
Quindi
l’Istituto di Emissione immette in circolazione banconote che sono non
solo prive di alcuna copertura (neanche parziale) o garanzia, ma anche
strutturate come false cambiali, che da un lato offrono una parvenza di
legalità alla loro iscrizione nel passivo dell’azienda, dall’altro
costituiscono un “debito inesigibile”, come affermano le stesse
autorità monetarie, inventando una fattispecie giuridica di cui
facilmente si può misurare l’assurdità. A parte, infatti, che la
inesigibilità non può che riguardare il credito (perché è questo
che, caso mai, non può essere esatto), con la formula del “debitore
inesigibile” si fa decidere allo stesso debitore di non pagare il
debito.
Una cosa è dire che “il credito” è inesigibile perché il debitore
non può pagare, altra cosa è invece dire che esso è inesigibile perché
il debitore (la Banca Centrale) per legge ha la garanzia di non dover
pagare.
Riassumendo, delle due l’una: o la Banca d’Italia non è
proprietaria della moneta al momento dell’emissione (come hanno
affermato i rappresentanti del governo rispondendo alle interrogazioni
parlamentari) ed allora appare del tutto ingiustificato che ne tragga
un utile, tanto più che la banca stessa assume di essere debitrice dei
simboli monetari emessi, così da iscriverli come posta passiva nel
proprio bilancio; oppure la Banca Centrale (contrariamente a quanto
dichiarato dai due Sottosegretari di Stato) è proprietaria di quella
moneta e con giustificazione (solo apparente) ne ritrae un utile dal suo
prestito al sistema economico nazionale, ma allora assume i contorni di
un fatto illecito far figurare come poste passive operazioni che sono
invece indubbiamente attive."
Note:
[*] Bruno Tarquini è nato ad Avezzano (L’Aquila) nel 1927. Laureatosi
in giurisprudenza nel 1948 presso l’Università di Roma, è entrato
giovanissimo in magistratura, percorrendone tutti i gradi. E’ stato
pretore a Roma e, dal 1955, al Tribunale di Teramo, prima come giudice,
poi come presidente; nel 1986 è stato trasferito alla Corte d’Appello
dell’Aquila, dove ha svolto le funzioni di presidente della sezione
penale e della Corte d’Assise di secondo grado, infine, nel 1994, è
stato nominato Procuratore Generale della Repubblica presso la stessa
Corte d’Appello. Gli studi giuridici e l’attività professionale non
gli hanno impedito di alimentare le sue curiosità intellettuali, con
particolare riguardo alla storia.
[1] Provi il cittadino a presentarsi ad uno sportello qualsiasi della
Banca d’Italia, esibisca una banconota contenente quella (ormai
inutile) promessa di pagamento e chieda di essere “pagato a vista”.
E’ probabile che venga preso per matto!
[2] Sarebbe di certo giuridicamente infondato sostenere la legittimità
della indicazione nel passivo della moneta al momento della emissione
(ed a maggior ragione durante la sua circolazione), facendo ricorso a
quanto stabilisce l’art.2424 del codice civile, secondo il quale il
bilancio delle società per azioni deve indicare nel passivo (tra
l’altro) anche “il capitale sociale al suo valore nominale…”,
poiché non vi è alcun dubbio che nella massa di moneta creata e messa
in circolazione dalla Banca Centrale non può sicuramente identificarsi
il capitale sottoscritto e depositato dagli azionisti
(“partecipanti”), dei quali costituisce un credito e, quindi, per la
società un debito. Quella moneta la stessa Banca d’Italia – come si
dirà più oltre – la definisce “merce”.