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Banche
Armate 2009
Luca Kocci –
tratto da “
Banca
nazionale del Lavoro, Intesa-San Paolo e Unicredit: sono le principali
banche italiane coinvolte nel commercio di armi. Nulla di illegale -
intervengono in operazioni regolarmente autorizzate - ma si tratta
evidentemente di attività da non pubblicizzare troppo, tanto che sono
stati gli stessi istituti di credito a chiedere al governo di non
rendere pubblica
Nel corso del 2008, infatti, sono state autorizzate 1.612
«transazioni bancarie» per conto delle aziende armiere, per un valore
complessivo di 4.285 milioni di euro (nel 2007 erano state la metà,
882, per 1.329 milioni). A questi vanno poi aggiunti 1.266 milioni per
«programmi intergovernativi» di riarmo (cioè i grandi sistemi d'arma
costruiti in collaborazione con altri Paesi, come ad esempio il
cacciabombardiere Joint Strike Fighter - Jsf - per cui l'Italia spenderà
almeno 14 miliardi nei prossimi 15 anni), quasi il doppio del 2007,
quando la cifra si era fermata a 738 milioni. Un volume totale di
"movimenti" di oltre 5.500 milioni di euro, per i quali le
banche hanno ottenuto compensi di intermediazione attorno al 3-5%, in
base al valore e al tipo di commessa.
La regina delle "banche armate" è
Eppure due anni fa il gruppo aveva dichiarato che, proprio per «dare
una risposta significativa a una richiesta espressa da ampi e
diversificati settori dell'opinione pubblica che fanno riferimento a
istanze etiche», cioè la campagna di pressione alle banche armate,
avrebbe sospeso «la
partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la
produzione di armi e di sistemi d'arma pur consentite dalla legge».
«Si tratta di
transazioni relative a operazioni sottoscritte e avviate prima
dell'entrata in vigore del nostro codice di comportamento e che
dureranno ancora a lungo», è la spiegazione che fornisce Valter
Serrentino, responsabile dell'Unità Corporate Social Responsibility di
Intesa-San Paolo. Anche Unicredit negli anni passati aveva ripetutamente
annunciato di voler rinunciare ad appoggiare le industrie armiere,
eppure nel 2008 è stata la terza "banca armata" italiana, con
606 milioni di euro. Nessuna dichiarazione di disimpegno invece da parte
della Banca Antonveneta, che lo scorso anno ha movimentato 217 milioni.
Mentre piuttosto ambigua è la situazione del Banco di Brescia: nel
«La policy
del gruppo non vieta le operazioni di commercio internazionale -
spiega Damiano Carrara, responsabile Corporate Social Responsibility di
Ubi - ma le disciplina prevedendo
che il cliente della banca», cioè l'industria armiera, non si
trovi «in Paesi che non appartengano alla Ue o alla Nato, e questo divieto è
pienamente rispettato».
Ma i dubbi restano. «Da quando,
lo scorso anno, è sparito dalla Relazione il lungo e dettagliato elenco
delle singole operazioni effettuate dagli istituti di credito -
spiega Giorgio Beretta, analista della Rete italiano Dísarmo - è impossibile giudicare l'operato delle singole banche. Senza quell'elenco,
infatti, i loro codici di comportamento non sono comprovati dal
riscontro ufficiale che solo