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Bambini
psico-programmati
Manipolare l’esistenza senza
farsene accorgere
di Antonella Randazzo per www.disinformazione.it
- 27 dicembre 2006
Fino
a pochi decenni fa i genitori discutevano spesso dello stile educativo
da adottare con i loro figli. Ad esempio, se essere più o meno severi,
o fino a che punto assecondare le richieste di oggetti inutili da parte
del bambino. Oggi è sempre più raro trovare genitori che discutono
sullo stile educativo da seguire, e sempre più spesso emerge il
discorso su “come sono i bambini di oggi”. E’ come se il
comportamento dei bambini fosse diventato sempre più difficile da
comprendere e gli interventi educativi fossero sempre meno efficaci.
Perché i genitori si sentono sempre più impotenti verso i
comportamenti, talvolta molto aggressivi, dei loro figli? Cosa è
cambiato in questi ultimi decenni, che ha reso sempre più insicuri i
genitori? Cosa ha creato così tanta distanza fra bambini e genitori?
In
queste ultime settimane i media hanno parlato di comportamenti crudeli e
violenti di minori (violenze sessuali e bullismo). Ci si chiede come mai
comportamenti che fino a qualche tempo fa riguardavano soltanto
rarissimi casi sono oggi assai più frequenti.
Oggi le famiglie sono sempre più smarrite fra problemi economici e le
pressioni dei bambini all’acquisto di oggetti inutili o di cibi non
sani. Il bambino non ha più spazi per correre, per giocare con i
coetanei o per conoscere e sperimentare direttamente il mondo della
natura. La maggior parte dei bambini trascorre tempo a scuola o davanti
alla Tv. Negli ultimi decenni è aumentata la quantità di tempo che il
bambino trascorre davanti alla Tv. Per molti genitori il tempo che il
bambino trascorre guardando
Il
problema è assai complesso, e dire “
Mentre durante la lettura il bambino è attivo, può elaborare
mentalmente le immagini che il libro evoca, e può scegliere fra un
panorama ampio e diversificato di temi, la tv esercita un effetto
ipnotico sul cervello. La lettura, anche se viene fatta in solitudine,
è creativa e stimola l’immaginazione, mentre lo schermo televisivo
paralizza e blocca la creatività. Le produzioni Tv tendono ad
assomigliarsi tutte, e quasi tutte offrono una trama di base analoga,
con varianti che diversificano i personaggi e le storie.
Il
bambino che guarda lo schermo televisivo per alcune ore al giorno,
riduce l’attività motoria e cognitiva. E’ indotto ad alterare la
propria percezione della realtà, in quanto egli non è ancora capace di
considerare i programmi televisivi come pura finzione. La realtà
virtuale dello schermo è per lui una pericolosa intrusione, da cui non
sa difendersi. Come osserva lo scrittore Guido Ceronetti, “chi accende
la televisione spegne il bambino”.[1]
La
crescita emotiva del bambino dipende dalla sua capacità di accettare i
limiti che la realtà impone e di conoscere le sue risorse sociali,
intellettive e creative. Senza una crescita emotiva e affettiva il
bambino non potrà sentire la soddisfazione interiore necessaria a
sopportare e ad elaborare la sofferenza. I programmi Tv inducono il
bambino a perdere il riferimento in se stesso e a dipendere da stimoli
esterni. In tal modo, egli si troverà smarrito di fronte a qualsiasi
problema che gli richieda di guardare dentro se stesso e cercherà in
tutti i modi di fuggire dalla sua vera situazione interiore. I programmi
Tv evocano in lui molte paure, ma non gli forniscono gli strumenti
affinché egli possa autonomamente elaborarle.
Mentre
in passato le sue insicurezze e paure erano interne alla sua stessa
psiche e trovavano negli adulti la giusta rassicurazione per elaborarle,
oggi il bambino si trova nel labirinto di paure create artificialmente
dalla Tv, e dagli adulti non ha il necessario apporto emotivo per
poterle risolvere. Molti bambini cercheranno di tenere quanto più in
profondità nella psiche le loro paure, perché incapaci di affrontarle.
Tale repressione crea una situazione di potenziale pericolo per il loro
equilibrio. Alcuni di essi potranno improvvisamente ammalarsi di
attacchi di panico o di depressione.
Altri ragazzini commetteranno azioni di bullismo o di violenza,
se si presenterà l’occasione, esternando l’aggressività in maniera
distruttiva e antisociale.
Bambini
sempre più soli, sempre più assorbiti, in mancanza di meglio,
dall’altro fondamentale elemento del transito verso la società
postindustriale: la televisione. Bambini che percepiscono gli adulti a
loro vicini come esseri sempre più distanti, indifferenti, sconosciuti
- e che, per forza di cose, finiscono per confondersi con i vari modelli
esibiti dai media.… di fronte - grazie ai media basati sull’immagine
- ad una profonda trasformazione antropologica, che si abbatte sulle
strutture della conoscenza: sul nostro modo di esperire il mondo, di
concepirlo, di descriverlo.[2]
La
vita emotiva del bambino rischia di diventare sempre più arida e
focalizzata sugli oggetti materiali o sulla competizione (tema presente
in quasi tutte le produzioni per bambini).
Attraverso
Le
ambiguità culturali fanno si che il bambino assuma una ‘maschera’,
che gli consenta di essere socialmente quello che la società gli chiede
di essere, cioè reprime le proprie pulsioni. Tuttavia, essendo tali
pulsioni sovrastimolate, ed essendo ostacolato il suo progresso emotivo,
egli è pericolosamente esposto ad agire negativamente le proprie
pulsioni, qualora le situazioni glielo consentissero. In particolare,
quando si sentirà protetto dal gruppo.
Il bambino non ha ancora un senso di sé adeguato, e oscilla fra il
sentirsi narcisisticamente al centro dell’universo e il sentirsi
sopraffatto da forze esterne. I
programmi televisivi che esaltano la forza fisica e la lotta lo inducono
a credere che per sentirsi adeguato deve prevalere sugli altri, mentre
le possibilità di vera elaborazione emotiva ristagnano. Egli sarà
indotto a sviluppare un’esclusiva attenzione verso se stesso e ciò lo
renderà incapace di vera empatia verso l’altro.
Le
produzioni giapponesi o americane, che si basano sulla diade
amico/nemico e su trame piene di lotte e di mostri crudeli, se guardati
ripetutamente o giornalmente, dopo poco tempo possono entrare a far
parte della realtà immaginativa del bambino, che sarà quindi pregna
del senso di dover lottare con violenza per non soccombere. Un bimbo di
pochi anni, che attraverso queste produzioni avrà già visto corpi
straziati, lotte furibonde, guerre e crudeltà di ogni genere, avrà
conseguenze sulla sua giovane mente.
Le storie violente sono accentrate sulla lotta fra i diversi personaggi.
Uno o più ne usciranno vittoriosi. Il messaggio fondamentale di queste
produzioni è quello di escludere il mezzo pacifico per la soluzione dei
problemi. La tendenza a porre nemici disumani, mostruosi oppure
cibernetici accresce l’idea dell’ineluttabilità della guerra. La
violenza attrae il bambino, il combattimento, vivace lo cattura. Secondo
il sociologo Wolfgang Sofsky, la violenza dello schermo attrae e al
contempo è assai dannosa:
Nonostante
il disgusto e l’avversione, lo spettatore viene catturato dalle
passioni suscitate dalla violenza, che conquistano i sensi, l’udito,
la vista, l’anima... Basta un solo attimo e le sue resistenze
interiori crollano. La vista del sangue scatena eccitazione, estasi,
entusiasmo, il desiderio di altro sangue. Lo spettatore diventa schiavo
della crudeltà…è la violenza stessa che cattura lo spettatore. Essa
agisce come un veleno. [3]
Molti studi, dagli anni Sessanta fino alla fine degli anni Novanta,
hanno provato che c’è un diretto legame fra aggressività in bambini
di età scolare e quantità di violenza che essi vedono attraverso i
media.
Secondo
Bourdieu gli effetti nocivi della violenza televisiva sono ancora più
pericolosi per la mente dei bambini: “I pericoli politici inerenti
all’uso ordinario della televisione derivano dal fatto che
l’immagine ha questo di specifico: può produrre quello che i critici
letterari chiamano l’effetto di
realtà, può far vedere e far credere a ciò che fa vedere. Questo
potere di evocazione ha effetti mobilitanti: può far esistere idee o
rappresentazioni, ma anche gruppi.” [4]
Secondo John Murray, della Kansas State University, le immagini violente
percepite dal bambino hanno effetti devastanti sulla sua psiche: “Sono
attivati l’emisfero destro e alcune regioni bilaterali, le stesse che
intervengono quando viene percepita una minaccia”. In tal modo il
bambino sperimenta e interiorizza la violenza, che produce in lui almeno
tre effetti: paura, assuefazione alla violenza e aggressività. Ma può
anche produrre senso di insicurezza e difficoltà ad affrontare
esperienze di vita reali.
Murray
ha analizzato i processi emotivi e neurorali in una ricerca per conto
della School of Family Studies and Human Services della Kansas State
University. La ricerca porta alla conclusione che le scene violente
prodotte nei programmi per bambini sono ancora più nocive delle scene
di violenza che il bambino può vedere al telegiornale:
Tutte le trasmissioni che contengono scene di violenza facilmente
replicabili… sono vicine alla realtà dei bambini.
Programmi in cui l’aggressività non ha effetti permanenti. Per
esempio, i cartoni animati dove pugni, liti e zuffe non hanno alcuna
conseguenza. Per di più la colonna sonora propone una sequenza di
risate che rendono il messaggio doppiamente negativo. L’idea è che la
violenza rientri nella normalità… Dal punto di vista mediatico, la
guerra in Iraq è stata meno violenta di altre trasmissioni. Non
c’erano tracce di sangue nei filmati mandati in onda. Venivano
inquadrati i fucili ma la camera sorvolava sulla destinazione dei
proiettili. La censura ha influito sulla copertura dell’evento da
parte di giornali e telegiornali. Gli operatori non hanno mai mostrato i
due campi di battaglia e non sappiamo quante persone siano morte.
Certamente i bambini hanno colto la negatività della guerra, la
sofferenza dei civili pur non vedendo nulla di raccapricciante… La
violenza è una miscela di molti ingredienti. È provocata
dall’assenza e disattenzione dei genitori, da povertà e
discriminazione. Ma
Le
produzioni per bambini, cinematografiche, televisive o ludiche, hanno
sempre avuto una certa dose di induzione all’aggressività o
all’accettazione della guerra. Basti pensare ai classici soldatini o
al gioco dei pirati. Tuttavia, negli ultimi due decenni, le produzioni
ludiche e televisive dirette ai bambini hanno acquisito caratteristiche
assai più inquietanti e destabilizzanti. I vecchi cartoni come Pippi
Calzelunghe, Nonna Abelarda, i Puffi ecc., sono stati soppiantati da
produzioni in cui molti personaggi non sono né umani né animaleschi.
Si tratta di mostri con poteri altamente distruttivi e imprevedibili.
Nel
1994, una ricerca dell’Università di California, a Los Angeles
(UCLA), titolata Rapporto di Los
Angeles,[6]
analizzò la struttura del racconto di diverse produzioni
occidentali o giapponesi destinate ai bambini, ad esempio dei cartoni Ninja
Turtless (tartarughe Ninja), diventati famosi negli Usa e in Europa.
La ricerca appurò che la struttura di base di queste produzioni era la
violenza, senza la quale tutta la narrazione crollava.
Un’altra ricerca del Centro Studi e Ricerche Neuropsicofisiologiche,
diretto dal prof. Michele Trimarchi[7],
ha fatto emergere che c’è un legame fra scene di violenza e i
disturbi del sonno, l’ansia e le paure dei bambini a stare da soli, ad
addormentarsi ecc.
La
violenza forma un immaginario pregno di paure e di incertezze. La mente
umana è incline a tenere nascosti nell’inconscio gli aspetti della
realtà più inquietanti, come la morte e la distruzione, ma quando essi
appaiono prepotentemente e frequentemente sotto gli occhi, elabora una
serie di difese per desensibilizzarsi, o fa emergere bisogni
sostitutivi, che dovrebbero sopperire alle paure evocate. Ad esempio, è
rassicurante per il bambino acquistare oggetti che rappresentano
personaggi mostruosi, con cui difendersi fantasmaticamente.
La pulsione che contrasta l’istinto di morte, la libido, viene
stimolata in vari modi dalla Tv con messaggi palesi o subliminali,
attraverso le pubblicità o i corpi nudi o seminudi delle donne. La
libido precoce e l’immaginario devastato, come diversi studi hanno
provato, sono le caratteristiche di molti bambini occidentali dai nove
ai dodici anni.
Il
bambino impara dalla Tv che lo scontro è necessario, che vince il più
forte, che i delitti del più forte possono essere accettati, e che il
piacere deve essere tratto dagli oggetti materiali (compreso il corpo
femminile presentato come oggetto).
L’incapacità
di vera interazione con l’altro e il persistere dell’immagine
femminile come di un corpo seduttivo (stereotipo della tv) può indurre
il ragazzino a credere che le donne possano essere oggetti disponibili
al proprio piacere. Le bambine sono indotte ad identificarsi con i corpi
femminili presentati alla Tv. Ciò renderà la cultura della
mercificazione del corpo femminile come accettabile e “comune”. Le
bambole tipo “Barbie” sono simili ai “corpi” televisivi, con
aspetti di innaturalità nelle proporzioni e nella perfezione
percettiva. Molte ragazzine cercheranno invano di conformarsi a questi
modelli, e serberanno un’inconscio senso di inferiorità estetica, che
le renderà insicure. Il loro Io
cercherà di contrastare tale inferiorità, diventando egocentrico e
invidioso, oppure scegliendo di sottoporre il corpo ad interventi
dolorosi o dannosi alla salute.
Quale
sarà il futuro relazionale di questi bambini? Se non si elaborano le
paure, non si diventa capaci di provare profonde emozioni, e se non si
provano autentiche emozioni non si è in grado di amare. Ovviamente, se
non si è in grado di amare anche i rapporti sociali o di coppia ne
risentiranno drammaticamente. Se persiste il carattere infantile
narcisistico ed egocentrico, i rapporti uomo/donna diventeranno rapporti
in cui ogni persona avrà al centro del proprio mondo se stessa, e in
cui l’attrazione verso l’altro scaturisce esclusivamente
dall’istinto sessuale o dal bisogno di gratificazione. Il rapporto
ruoterà tutto sull’aspetto fisico e acquisirà caratteristiche “usa
e getta”.
Il modo, secondo lo studioso Pierre Bourdieu, di distruggere la mente (e
lo spirito), passa attraverso il potere esercitato dalla Tv. Tale potere
può essere definito come un “monopolio di fatto sulla formazione dei
cervelli di una parte cospicua della popolazione”.[8]
Il
controllo della mente dei bambini e del loro comportamento avviene
attraverso l’evocazione di paure e il conseguente incistarsi dei
processi emotivi e affettivi. Rendere loro difficile l’elaborazione
dei vissuti dolorosi e la possibilità di vivere adeguatamente le
emozioni significa costringerli ad essere diversi da ciò che vorrebbero
o potrebbero essere. Significa privarli della loro reale energia vitale,
per indurli a vivere all’interno degli aspetti più superficiali
dell’esistenza, abituandoli a considerarli come gli unici.
Il problema dei bambini psico-programmati va inserito nel contesto di
una realtà in cui prevale la legge del più forte, e in cui l’inganno
e la sopraffazione da parte di poche centinaia di persone determinano la
vita o la morte di molte altre. Una realtà in cui gli aspetti umani
della cooperazione, dell’altruismo o della vera emotività vengono
oppressi o distrutti da un modus vivendi che non appartiene
all’essenza umana. La realtà che oggi i media ci propongono appare
come costruita ad arte per impedire la soppressione di un sistema
assurdo e sempre più distruttivo.
Pubblicità
I bambini sono le vittime
preferite dalla pubblicità. I loro volti vengono utilizzati per
attrarre l’attenzione, per commuovere, per suscitare fiducia e
tenerezza. La pubblicità prende di mira la vita emozionale dello
spettatore, i suoi bisogni emotivi ed affettivi. La pubblicità lusinga,
inganna, piega, sottrae l’attenzione. I bambini vengono plagiati dagli
spot che emergono improvvisamente dai cartoni che li stanno
destabilizzando emotivamente, e che già li hanno posti in una
situazione di insicurezza e influenzabilità. Osserva la dottoressa
Ferraris:
Ci
sono anche tecniche più subdole che mirano a 'inoculare', nella mente
di bambini e ragazzi, insicurezza e insoddisfazione nel caso in cui non
riescano a venire in possesso di un determinato prodotto; a volte la
frustrazione può creare una vera e propria ferita narcisistica se altri bambini o ragazzi sono invece in
possesso dello status simbol del momento, se sono più belli, più
fortunati ecc. C'è per molti lo sconfortante confronto tra la propria
vita, il proprio ambiente familiare e quello invece gioioso e brillante
in cui si muovono i protagonisti degli spot, coetanei degli
spettatori… la pioggia di pubblicità cui sono sottoposti i bambini ha
anche l'effetto di promuovere, inconsapevolmente, giorno dopo giorno,
esposizione dopo esposizione, una mentalità materialistica: valori,
felicità, rapporti personali sono tutti legati al possesso di qualcosa
e se non si possiedono i prodotti di moda in quel momento ci si sente
inquieti, infelici, incompleti.[9]
Per
raggiungere questi risultati le Corporation spendono miliardi di
dollari. Quale potere possono avere i genitori di fronte a tali risorse
manipolative?
Attraverso la pubblicità il bambino impara a dipendere da stimoli
esterni, anche per l’alimentazione. Sarà indotto a diventare goloso
di prodotti non genuini, ricchi di grassi, dannosi, che possono generare
obesità. Questa malattia è oggi molto diffusa negli Usa e si sta
diffondendo anche in Europa.
La pubblicità ha il potere di condizionare la comunicazione fra
genitori e figli. Di far percepire la realtà in un determinato modo,
che si rifletterà nel comportamento e nelle richieste che il bambino
rivolgerà ai genitori. Il bambino sarà sempre meno capace di profonda
comunicazione col genitore, e le poche comunicazioni saranno incentrate
sugli oggetti che egli vorrà possedere. Chiederà giocattoli strani,
inutili o per niente educativi, e i genitori saranno indotti ad
adattarsi alle sue richieste. Attuerà il cosiddetto nag
factor (tormento), cioè tormenterà i genitori affinché comprino
un determinato oggetto, un capo di abbigliamento o altri prodotti, che
senza l’assillo del bambino i genitori non comprerebbero.
Le
campagne pubblicitarie dirette ai bambini hanno l’obiettivo principale
di far acquistare oggetti dannosi o inutili e di far acquisire al
bambino un potere sull’adulto, per stabilire una relazione non
armonica fra genitori e figli. I genitori, spesso non molto presenti
emotivamente nella vita dei bambini, trovano un modo per sopperire alle
loro mancanze attraverso l’acquisto di un oggetto richiesto dal
bambino. In tali situazioni, sia il bambino che l’adulto rimangono
inappagati e frustrati. Il bambino rimane frustrato perché dentro di sé
riconosce che l’adulto ha ceduto per farsi perdonare una mancanza, e
l’adulto perché sa di non poter dare affetto e sostegno emotivo
attraverso l’acquisto di un oggetto.
Che
tipo società si avrà a causa del condizionamento pubblicitario e dei
programmi Tv? Una società di persone isolate, insicure, che credono di
poter trovare la felicità nel denaro, nel sesso e nel prevalere sugli
altri. Una società in cui le donne sono preoccupate soprattutto di
sedurre, ricorrendo ad interventi chirurgici o agli infiniti prodotti
estetici ripetutamente pubblicizzati dalla Tv, mentre gli uomini sono
indotti a ritenere che la cosa più importante sia far soldi, per
acquistare un’automobile di lusso oppure per conquistare donne
bellissime.
Una società di soggetti incapaci di veri rapporti umani, motivati dal
proprio universo interiore, ormai gravido di orpelli fittizi. Una società
in cui trovare se stessi diventa sempre più difficile. In cui la
creatività scompare e l’energia sessuale diventa un modo per
soddisfare l’ego attraverso conquiste sempre meno appaganti.
Videogiochi
Persino il governatore della
California Arnold Schwarzenegger, che non è noto per il suo pacifismo,
da recente ha approvato una legge per mettere al bando la vendita o
l'affitto di videogiochi che si basano sul “ferimento grave di esseri
umani in maniera specialmente nefanda, atroce o crudele”.[10]
Ciò nonostante, molti giochi a contenuto altamente violento e
distruttivo, come “Vice City”, sono regolarmente venduti.
Molti sanno che la maggior parte di giochi elettronici, pur essendo
destinati ad un pubblico di giovane età, istigano a comportamenti
aggressivi e crudeli. I personaggi con cui i bambini sono indotti ad
identificarsi sono spesso senza scrupoli, disumani. Compiono ogni
efferatezza per divertimento. Lo spettro delle possibilità tematiche di
questi giochi sarebbe ampio, tuttavia, si assiste alla creazione
esclusiva di giochi elettronici simili fra loro, improntati sempre alla
lotta fra personaggi violenti, oppure al dover sopraffare per
sopravvivere.
Da
uno studio dei ricercatori della St. Leo University, emerge che i
videogame violenti accrescono le possibilità di comportamento
aggressivo nei bambini e negli adolescenti. I 600 ragazzi della fascia
di età di 13/14 anni, che maggiormente utilizzavano i videogiochi,
erano i più litigiosi e avevano uno scarso rendimento scolastico.
René Weber, un ricercatore della Michigan State University, ha studiato
gli effetti dei videogiochi sui ragazzi attraverso la risonanza
magnetica funzionale (fMRI). Dai suoi studi è emerso che durante il
gioco violento vengono attivate le aree cerebrali che presiedono alle
attività fisiche aggressive. Spiega Weber: “C'è un legame causale
fra il tipo di gioco e lo schema di attività cerebrale osservato,
caratteristico della cognizione aggressiva. Abbiamo determinato un
legame neurologico e una relazione di causa ed effetto a breve
termine”.
Il
videogioco di grande successo “Gears of War”, unisce elementi di
guerra, orrore e fantascienza. Racconta di una civiltà umana che
credeva di aver raggiunto l’evoluzione che le consentisse di vivere in
pace, ma scopre che nelle viscere della terra esistono mostri orrendi
che la costringeranno ad una guerra lunga e violenta. La distruttività
degli umani raggiunge livelli altissimi, e la differenza fra mostri e
umani diventerà soltanto apparente. Le armi a disposizione del ragazzo
sono molteplici: baionette, mitra, motosega ecc. Il ragazzo potrà
tagliare il corpo del nemico e smembrarlo, manifestando un livello di
violenza inaudito. Il gioco può durare 8/12 ore. Le devastazioni
riguardano anche luoghi e città, e bellissime architetture saranno
completamente distrutte. Si susseguono momenti di terrore a momenti di
intensa distruttività. Il gioco sarebbe sconsigliato ai minori di 18
anni, ma non esiste un rigido divieto. Viene pubblicizzato ampiamente su
molti siti. Ad esempio, troviamo questo genere di pubblicizzazione:
La bellezza della distruzione
Gears of War mantiene la
promessa di essere il gioco graficamente più sbalorditivo su Xbox 360,
di quelli che si mostrano agli amici esclamando "guarda che
roba!". Un modello di illuminazione perfetto, textures
definitissime ed una cura maniacale per i più minuti dettagli rendono
GOW una vera gioia per gli occhi: i personaggi sono poi resi come mai
prima d'ora, con corpi animati perfettamente, corazze definitissime e
dai metalli realistici e volti "veri", rugosi, rovinati e
lontani anni luce dall'aspetto "lucido" propinato da molti
titoli anche recenti. Per non parlare poi degli schizzi di sangue quando
affettiamo un nemico con la motosega, l'esplosione della testa quando
colpita da un colpo di precisione o il frantumarsi del corpo dopo un
colpo di fucile ravvicinato.[11]
La
violenza presente in questi prodotti stimola in alcuni soggetti
l’impulso all’emulazione, presentando l’evento violento come
divertente ed eccitante. Uno dei casi tragici che mostrò gli effetti
devastanti di quest’impulso si ebbe alla High School Columbine
(Colorado), in cui due ragazzini uccisero 13 persone, ne ferirono 23 e
poi si suicidarono, emulando il gioco “Doom” della ID.
La nuova generazione di videogame tratta anche temi come il sesso e la
droga. Ciò nonostante, l’85% di questi videogiochi sono destinati ai
ragazzi.
Dopo la guerra in Iraq, sono stati creati videogiochi incentrati sulla
lotta bene/male. Ad esempio, il videogioco “Left Behind: Eternal
Forces” è ambientato in una New York del futuro, in cui c’è la
lotta fra fedeli e infedeli. Al ritorno del Messia e alla salvezza dei
fedeli cristiani, segue la lotta per reclutare combattenti contro il
male, cioè contro i non cristiani. Il paradosso è che la crescita
spirituale viene presentata come fosse collegata all’uccisione del
nemico, che comprende tutti i non cristiani.
Secondo
i produttori, si tratta di un videogioco ‘positivo’. Sostiene Troy
Lyndon, CEO della Left Behind Games: "Il messaggio del gioco non è
'convertiti o muori'. Non c'è sangue, non c'è violenza gratuita di
alcun tipo. Il nostro desiderio è contribuire in maniera positiva in
un'industria che tradizionalmente ha un'influenza negativa sui giocatori
e sul mondo".
In realtà, anche un idealismo da crociata può instillare nella mente
del ragazzo il pensiero che la guerra debba essere necessaria. Left
Behind è ritenuto un videogioco di guerra dalle associazioni cristiane
statunitensi, ad esempio, dalla CrossWalk America, Christian Alliance
for Progress e The Center for Progressive Christianity, che hanno
chiesto di ritirare il gioco in quanto “promuove l'omicidio, la
violenza, l'intolleranza e propone una falsa lettura della Bibbia”.
Left
Behind potrebbe essere considerato la versione in videogioco dei
discorsi di Bush sulla guerra. La storia si basa su elementi
apocalittici che il presidente americano ama citare nei suoi discorsi.
C’è il ritorno del Messia, la salvezza dei fedeli, che vanno in
paradiso, e la battaglia fra bene e male, affrontata da coloro che
ancora devono “purificarsi”. Questo videogioco sembra ideato per
formare futuri soldati della causa americana. Nel gioco vengono uccisi
molti esseri umani, come se ciò fosse inevitabile.
Gli
ideatori di videogiochi a tema religioso dicono di agire in modo da
rafforzare la fede religiosa, ma in realtà fomentano divisioni e odi
religiosi. Rafforzano l’intolleranza verso i non cristiani, che nel
gioco appaiono da convertire o da uccidere. L’elemento ricorrente è
l’identificazione nel personaggio cristiano, che appare come eroico,
anche se uccide. Nel videogioco “Catechumen", il
protagonista/giocatore deve riuscire a liberare alcuni cristiani
prigionieri nelle catacombe e tentare di convertire i soldati romani
alla religione cristiana. Questo videogioco è stato ben accolto anche
dalle famiglie integraliste cristiane, convinte che il gioco “rafforzi
i valori della fede”. In realtà il gioco parte da presupposti di
divisione e di necessità di lotta gli uni contro gli altri, temi non
certo in armonia col cristianesimo.
Un'altra serie di videogiochi presenta finte fiabe con finale horror. Ad esempio, “Rule of Rose” appare all’inizio come una fiaba, e quindi attrae anche bambini di 8/12 anni. Inizia col tradizionale “C’era una volta” e racconta di una bambina che perde i genitori e si trova da sola ad affrontare le difficoltà della vita. Ma queste difficoltà non sono soltanto persone cattive o strani animali, come nelle fiabe tradizionali, e il lieto fine non c’è. Jennifer, la protagonista, dovrà affrontare insegnanti pedofili, bambini violenti e malvagi, morti improvvise e oscuri riti mistici. Gli esseri umani, compresi i bambini, vengono mostrati come mostruosamente crudeli. Tutto è psicologicamente destabilizzante e nulla aiuta ad equilibrare la paura e l’inquietudine evocata. Rule of Rose è stato vietato negli Usa, ma è in vendita regolarmente in Giappone e in Europa.
[1]
Ceronetti Guido, La fragilità
del pensare, Bur, Milano, 2000.
[2]
Fattori Adolfo, Il lamento
degli innocenti, in Armellini Guido, (a cura di), Differenze e scambi fra generazioni come differenze e scambi
fra culture, CLUEB, Bologna, 1997.
[3]
Sofsky Wolfgang, Saggio sulla
violenza, Einaudi, Torino 1998, p. 86.
[4]
Bourdieu Pierre, Sulla
televisione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 22.
[5]
http://www3.unicatt.it/unicattolica/postlaurea/master/milano/giornalismo/presenza/2003
[6]
Salerno Andrea (a cura di), Violenza
TV: Il rapporto di Los Angeles, Reset, Milano, 1996.
[7]
La ricerca può essere consultata su http://www.ceu.it/psicologia/psicologia.htm
[8]
Bourdieu Pierre, op. cit.
[9]
“ Tra influenza, pubblicità e marketing... un dialogo con la
dottoressa Oliverio Ferraris”, www.comunitazione.it
[10]
Media Psychology, gennaio
2006.
[11]
http://www.mondoxbox.com/articolo.php?id=423