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Bambini
iperattivi e vivaci: psicofarmaci ed educazione
Dr. Giovanni
Peccarisio per www.disinformazione.it
- 1 febbraio 2007
Desidero esporre, nella mia qualità di Maestro Waldorf,
alcune riflessioni in riferimento al comunicato stampa del Comitato:
"Giù le mani dai bambini" del 24 gennaio 2007.
Nel suddetto comunicato viene lanciato l'allarme sul fatto che tra un
mese il Ritalin torna in Italia vale a dire che, dopo essere stato messo
al bando per circa vent'anni, viene nuovamente messo a disposizione
degli psichiatri quale psicofarmaco atto a curare soprattutto i
cosiddetti bambini, ragazzi, adolescenti affetti dalla sindrome
denominata
Inoltre, come non bastasse, contemporaneamente viene dato
il via alla attivazione del registro dove verranno schedati i
bambini in terapia psicofarmacologica.
Nel frattempo gli "screening" psichiatrici nelle scuole
proseguono senza
l'autorizzazione dei genitori.
Tutto ciò si basa, a mio modo di vedere, su una catena
di irresponsabilità nata dall'ignoranza,
intesa nel suo stretto senso etimologico di "non conoscenza",
della totalità della problematica in oggetto.
Voglio esporre con un semplice esempio un susseguirsi di
fatti giacché, molto
spesso, le cose avvengono nel seguente modo.
Poniamo il caso che i genitori di un bambino, che frequenta la scuola
materna, abbiano difficoltà a farsi obbedire.
Il bambino in questione ha delle caratteristiche che potrebbero essere
riassunte in questi termini: è estremamente vivace e non accetta le
minime regole di normale convivenza familiare. Il bambino impegna i
genitori in un continuo braccio di ferro, in piccole o grandi sfide
anche per le minime cose e sorgono continui contrasti verbali.
Ad esempio, specie quando i genitori si impongono con un
deciso comando del genere: "Ti ho detto basta, finiscila, non farlo!",
la replica immediata del bambino sarà
sfrontata, di sfida: "Ed io invece lo faccio, avete
capito!". Nella maggior parte dei casi è senz’altro il
bambino ad averla vinta.
Nella scuola materna le cose non vanno diversamente fino a
quando, un bel giorno, la maestra riferisce ai genitori che il loro
bambino "ha difficoltà a seguire le varie attività ed è
molto, troppo vivace. Inoltre disturba gli altri bambini e anche se in
effetti non c'è nulla di particolarmente grave, però, insomma....
" e discorsi consimili.
Sembra che il problema veramente non sia grave e, alla
fine, la faccenda termina
con qualche altro richiamo, qualche sospiro e qualche alzata di occhi al
cielo.
Il bambino cresce e inizia a frequentare le scuole elementari ed è
allora che sorgono i veri
problemi, problemi non affrontati negli anni precedenti.
L’attività scolastica assume, giustamente, una forma più
intellettuale, sempre meno ludica. Il bambino, che oramai sta diventando
ragazzo, è sottoposto ad una disciplina più rigida:
compiti a casa, interrogazioni, giudizi trimestrali e quando
sgarra arrivano note disciplinari.
Se il comportamento del ragazzo rimane simile a quello
tenuto nella scuola materna, mancanza di attenzione e concentrazione,
irrequietezza e via dicendo, allora gli insegnanti dapprima
convocheranno i genitori dicendo loro che "bisogna fare
qualcosa" .
Se la situazione rimane invariata, il comportamento del ragazzo cioè
non cambia nonostante le varie esortazioni, i genitori verranno
invitati dagli
insegnanti a rivolgersi dapprima ad uno psicologo o psicoterapeuta, ed
infine, se la situazione non migliora, ad uno psichiatra.
Lo psichiatra allora, in coerenza con la sua formazione
professionale, interverrà con una terapia farmacologica appropriata.
Questo iter, riguardante un bambino con difficoltà comportamentali, è
molto comune, accade molto spesso ma non sempre è così. Ci sono casi
nei quali il comportamento di genitori, insegnanti, medici è corretto e
professionale poiché il problema é stato riconosciuto e risolto
in tempi brevi.
L’elemento decisivo per il successo dell’intervento è
sicuramente dipeso dalla stretta collaborazione di genitori, insegnanti,
medici nel rispetto delle reciproche competenze e responsabilità.
Naturalmente la domanda che spontaneamente ci si dovrebbe porre è la
seguente: quali sono, o perlomeno quali potrebbero essere le cause che
determinano questa situazione?
Secondo la mia esperienza sia con bambini disabili
che con bambini in difficoltà,
ritengo che prima di tutto bisogna saper distinguere
le due situazioni l’una dall’altra e, in secondo luogo, occorre
saper riconoscere le
vere cause.
Infatti si differenzia nettamente il disagio
comportamentale in un bambino affetto da sindrome Adhd
conclamata da quello di un bambino o ragazzo con difficoltà
comportamentali per quanto riguarda la causa di partenza. La prima
situazione può infatti apparire simile alla seconda ma non
è affatto uguale.
Ciascuna situazione ha una sua propria causa ed è necessario saper
correttamente distinguere tra un bambino iperattivo, e quindi malato, da uno che si trova solamente in
difficoltà.
Una prima causa può essere di natura organica mentre invece una seconda può essere
determinata da un approccio educativo errato.
Secondo la mia esperienza, nata dalla collaborazione con terapeuti e
medici, la prima causa, quella organica,
può dipendere dagli effetti di una sindrome post encefalica non riscontrata per tempo.
Per sindrome encefalica intendo una infiammazione
dell'encefalo determinata da varie cause, una delle quali può essere
una violenta reazione, da parte dell'organismo, ad una terapia medicinale (vaccini compresi).
Una encefalite può comportare una distruzione di cellule cerebrali ed
impedire così la corretta sinapsi
neuronale vale a dire la normale trasmissione dello stimolo nervoso
da una cellula all'altra.
Questa è una delle principali cause, se non la principale, che può
determinare l'instaurazione di una sindrome Adhd nel delicato organismo
ancora in formazione del bambino.
Per quanto riguarda invece il bambino con difficoltà comportamentali,
il problema è ben altro e, sotto un certo aspetto, può essere
considerato molto meno grave.
Come già detto una seconda causa risiede in un errato
comportamento educativo degli adulti che fanno parte del mondo del
bambino.
In primis sono chiamati in causa i genitori (vita familiare), seguiti
dagli insegnanti (vita scolastica) poi i medici per il mancato
riconoscimento della vera causa non organica ed infine lo psichiatra che
può prescrivere psicofarmaci per un problema che invece è risolvibile
con opportuni interventi educativi.
In conclusione la soluzione per bambini o ragazzi in difficoltà,
dovrebbe consistere in un supporto pedagogico-educativo che, da una
parte, dovrebbe essere dato sia ai genitori che agli insegnanti,
dall'altra occorre che la classe medica abbia una più approfondita
conoscenza dell’aspetto pedagogico, ovvero di quei gravi problemi che
possono sorgere a causa di una errata o carente educazione del bambino.
Può accadere infatti, come purtroppo spesso avviene, che
un bambino o un ragazzo in difficoltà venga trattato con psicofarmaci,
come già detto, solamente perché non vi sono le necessarie conoscenze
pedagogico-educative per aiutarlo a superare le proprie difficoltà
comportamentali.
Quando non si abbia, o non si tenga nella dovuta considerazione, la
totalità dello sviluppo dell’essere
umano-bambino,possono nascere gravi conseguenze come nel caso del trattamento
medico con psicofarmaci.
Anche la prescrizione al bambino, al ragazzo del Ritalin può essere
considerata un intervento medico ma bisogna avere chiara coscienza che
il Ritalin non è un
semplice psicofarmaco perché nella sua denominazione biochimica esso
risulta essere un metilfenidato, quindi
un narcotico, derivato dall'anfetamina
il quale ha un effetto analogo a quello della cocaina
cioè a quello di una vera e propria droga.
Non è nelle finalità di questa breve esposizione
descrivere nei dettagli l'azione e gli effetti del Ritalin; perciò chi
fosse interessato a un maggior approfondimento o ad uno studio specifico
consiglio, tra i molti, un utile libro quale: "Ritalin e
cervello" del dott. H. Kremer (Macro edizioni). Il libro, anche
se scritto in termini tecnici, risulta comunque di comprensibile
lettura.
Esistono naturalmente altre possibilità di cure mediche non invasive
che possono supportare o
sostituire gli interventi con psicofarmaci i quali comunque, in casi
estremi, possono essere somministrati per
breve tempo e sempre sotto un rigido controllo medico.
E’ mia convinzione che molti dolorosi problemi, come già
accennato più sopra, potrebbero venir evitati se si conoscesse e si
tenesse maggiormente conto che, nel bambino, il
corpo e la psiche sono molto più strettamente legati rispetto
all'adulto.
Qualsiasi tensione emotiva,
soprattutto quando perdura nel tempo, passa direttamente nel corpo
fisico, così come un disagio
fisico si ripercuote nel mondo
psichico in modo più dirompente che non nell'adulto.
Mi rendo conto che tematiche così importanti e delicate richiederebbero
un'analisi più approfondita ed è mia intenzione affrontarle in modo più
esteso in altro contesto.
Mi auguro ad ogni modo che queste mie riflessioni possano
stimolare una maggiore attenzione e una differente coscienza nel
trattare le difficoltà dei nostri bambini che, non dimentichiamolo mai,
saranno gli adulti di domani.
Al presente tutti noi adulti, ciascuno secondo le proprie competenze,
abbiamo la responsabilità di fornire ad essi da subito i migliori strumenti affinché siano in grado di far
fronte ai gravosi compiti che riserverà loro il futuro.
Giovanni
Peccarisio, laureato alla "Libera Università della Scienza e dello
Spirito" di Dornach (Svizzera), come Maestro Waldorf (scuole
steineriane) e Maestro di pittura.
Consulente pedagogico, svolge la sua attività di conferenziere in varie
sedi in Italia e all'estero.