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Di crisi d’astinenza da calcio
non è mai morto nessuno
Carlo Bertani – 17 maggio 2006
Tutto c’attendevamo, in questa infuocata primavera elettorale, meno
che il mondo del calcio crollasse su sé stesso. Qualcuno potrà
affermare che non è una novità: chi non ricorda giocatori che si
vendevano le partite, “combine” d’ogni tipo e quant’altro?
La crisi del calcio fa paura non per gli effetti che
produrrà – i quali saranno in ogni modo catastrofici per le finanze d’alcune
squadre – bensì perché ha rivelato che l’intero mondo del pallone
era un simulacro vuoto, un quadro dipinto solo con i pennelli della
corruzione e dell’inganno: qui non si tratta delle solite “mele
marce”, è l’intero frutteto che è andato in malora.
Eppure, decine di solerti giornalisti dell’informazione hanno
dissertato per decenni sul nulla: serate passate di fronte al
teleschermo per capire se un arbitro aveva sbagliato oppure no sono da
buttare nel cestino come carta straccia. Hanno rubato milioni di ore
agli italiani presentando uno spettacolo completamente fasullo: sarebbe
come se oggi – dopo aver trascorso una campagna elettorale lunga un
anno – ci raccontassero che avevano scherzato, che Berlusconi e Prodi
sono amici per la pelle e che si è trattato solo di una burla.
Lo scherzo però finisce se riflettiamo che quelle migliaia di ore di
trasmissioni sono servite per rimpinguare le casse degli sponsor, delle
squadre, dei giocatori, delle TV, dei vari “faccendieri”…
Il problema – che in questi giorni tutti cercano di dribblare – è
la pesante sconfitta del mondo dell’informazione: qualcuno può
ragionevolmente pensare che il mondo dell’informazione sportiva fosse
all’oscuro di tutto? E’ veramente difficile da sostenere.
Se
ampliamo un poco l’orizzonte, potremmo chiederci come lo stesso mondo
dell’informazione ci tratta per cose assai più importanti – la
guerra, la situazione economica, l’energia, la giustizia – perché
non possiamo pensare che tutti gli allocchi finiscano per fare i
giornalisti sportivi e le “teste pensanti” siano convogliate verso
la politica e l’economia.
Se il sistema dell’informazione è così fragile da non accorgersi che
pochissime persone gestivano in piena libertà il mondo del calcio, ci
sarebbe da rabbrividire al pensiero che – nella stanza accanto – chi
scrive la pagina politica o quella economica usi gli stessi (fasulli)
metodi d’indagine.
In realtà, è il sistema dell’informazione ad
essere crollato su sé stesso – prima di quello del calcio – e ciò
trae origine dalla struttura stessa dell’informazione. Su quella
televisiva c’è poco da dire: il solo paese al mondo che ha come
Presidente del Consiglio il maggior proprietario di TV private (oltre
all’Italia) è
Il vero “buco nero”, però, è la carta stampata dove – grazie al
finanziamento governativo concesso ai giornali di “area politica”
(600 milioni di euro l’anno) – il potere politico ha in mano i
“cordoni della borsa” per controllare cosa scrivono migliaia di
giornalisti, controllati a loro volta da centinaia di direttori, i quali
sanno bene che non possono correre il rischio di scontentare i loro
mecenate. I quali, a loro volta, per controllare l’informazione usano
i soldi pubblici, ossia i nostri.
Non vorremmo che a questo asfittico mondo
dell’informazione fosse sfuggito che un certo Licio Gelli ha manovrato
per anni la politica italiana come Moggi ha fatto nel calcio, oppure che
qualche parlamentare si sia lasciato “comprare” come gli arbitri.
Senza calcio si può anche sopravvivere: senza
limpida informazione si finisce per diventare una landa d’automi
lobotomizzati, gente senza speranza che si racconta storie mai avvenute,
oppure storie accadute e mai conosciute. Enrico Mattei, Piazza Fontana,
Ustica, Bologna, Ilaria Alpi…che in Italia sia esistito un “Moggi”
che non s’occupava di calcio