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L’Antisemitismo:
storia e cause
Titolo
originale "L'Antisemitisme, son histoire er ses causes"
di Bernarde
Lazare
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IL LIBRO
Per scrivere una storia completa dell'antisemitismo, senza
trascurare nessuna delle manifestazioni di questo sentimento e
seguendone le varie fasi e i mutamenti, è necessario incominciare la
storia di Israele dal momento della sua dispersione, o per meglio dire,
dal tempo della sua diffusione fuori dal territorio della Palestina.
In tutti i luoghi dove gli Ebrei si sono stabiliti,
cessando di costituire una nazione pronta a difendere la propria libertà
e la propria indipendenza, si è sviluppato l'antisemitismo, o meglio,
l'antigiudaismo,
perché antisemitismo è un termine improprio che ha trovato la sua
ragione di essere soltanto ai nostri tempi, quando si è voluto
allargare questa lotta tra l'Ebreo e i popoli cristiani e darle una
filosofia e una ragione più metafisiche che materiali.
Se questa ostilità, che è addirittura una sorta di
ripugnanza, si fosse manifestata nei confronti degli Ebrei soltanto in
un periodo e in un solo paese, sarebbe facile scoprire le cause
specifiche di quell'avversione, invece, la razza ebraica è stata
oggetto dell'odio di tutti i popoli in mezzo ai quali si è stabilita. Si
deve pertanto dedurre che le cause generali dell'antisemitismo siano
sempre state insite nello stesso Israele e non nei popoli che lo
combatterono. Infatti i nemici degli Ebrei appartenevano alle razze
più disparate, vivevano in terre assai lontane tra loro, non avevano né
gli stessi costumi né le stesse tradizioni, erano guidati da principi
diversi che facevano sì che diversi fossero anche i loro giudizi; ne
consegue che le cause generali dell'antisemitismo sono sempre state
insite in Israele stesso e non in coloro che lo combattevano.
Con questo non vogliamo affatto affermare che i persecutori
degli Israeliti ebbero sempre il diritto dalla loro parte, né che non
si abbandonarono agli eccessi propri dell'odio violento, semplicemente
vogliamo dire che in linea di massima e almeno in parte, gli Ebrei
stessi furono causa-dei loro mali.
Davanti all'unanimità delle manifestazioni di antisemitismo è
difficile ammettere, come troppo spesso si è inclini a fare, che furono
dovute semplicemente a una guerra di religione, e non bisognerebbe
vedere nelle lotte contro gli Ebrei la lotta del politeismo contro il
monoteismo, e la lotta della Trinità contro Yavhé. I popoli politeisti, così come i popoli cristiani, hanno
combattuto l'Ebreo, non la dottrina del Dio unico.
Quali virtù o quali vizi hanno meritato all'Ebreo questa
universale animosità? Perché fu, di volta in volta ed in ugual misura,
maltrattato ed odiato dagli Alessandrini
e dai Romani, dai Persiani
e dagli Arabi, dai Turchi e dalle
nazioni cristiane? Perché ovunque, e fino ai giorni nostri, l'Ebreo è
stato un essere scontroso, insociabile. Perché insociabile? Perché
esclusivo, di un esclusivismo politico e religioso insieme, o per meglio
dire, dovuto al suo culto politico-religioso, alla sua legge.
Se passiamo in rassegna i popoli conquistati nel corso
della storia, vediamo che si sottomettevano alle leggi dei vincitori pur
continuando a mantenere la propria fede e le proprie credenze; potevano
farlo senza difficoltà perché presso di loro le dottrine religiose
provenienti dagli dei e le leggi civili emanate dai legislatori, erano
nettamente separate e le leggi civili potevano essere modificate a
seconda delle circostanze senza che i riformatori incorressero
nell'anatema o nell'esecrazione teologica. Quello che l'uomo aveva
fatto, l'uomo poteva disfare. I vinti si ribellavano contro i
conquistatori per patriottismo, mossi unicamente dal desiderio di
recuperare la loro terra e di riavere la libertà; al di fuori di queste
rivolte nazionali, raramente chiesero di non essere sottomessi alle
leggi generali e quando protestarono lo fecero contro disposizioni
particolari, che li mettevano in uno stato di inferiorità nei confronti
dei dominatori. Nella storia delle conquiste romane, vediamo i popoli
conquistati chinarsi davanti a Roma quando Roma impone loro la stessa
legislazione che governa l'impero.
Per il popolo ebreo, il caso era molto diverso: come già fece notare Spinoza (1) “le leggi rivelate da Dio a Mosè (2) non sono state altro che le leggi del governo particolare degli Ebrei". Mosè, profeta e legislatore, conferì alle sue disposizioni giudiziarie e di governo lo stesso valore che avevano i suoi precetti religiosi, cioè la rivelazione. Jahvè non solo aveva detto agli Ebrei: "Adorerete un Dio solo e non adorerete idoli", aveva anche prescritto regole di igiene e di morale; non solo aveva assegnato loro con precisione il territorio dove i sacrifici dovevano aver luogo, ma aveva stabilito anche le modalità con le quali questo territorio doveva essere amministrato. Ognuna delle leggi che aveva dato, agraria: civile, di profilassi, teologica o morale, godeva della medesima autorità e riceveva la medesima sanzione, cosicché questi diversi codici formavano un tutto unico, un fascio rigoroso dal quale nulla poteva essere sottratto senza compiere sacrilegio.
In realtà, l'Ebreo viveva sotto la dominazione di un
signore, Jahvè, che nessuno poteva vincere o combattere, e non
conosceva altro che
Con un tale concetto
della sua Torah, l'Ebreo non poteva accettare le leggi dei popoli
stranieri,
per lo meno non poteva pensare di vedersele applicare; non poteva
abbandonare le leggi divine, eterne, buone e giuste per seguire le leggi
umane fatalmente viziate da caducità e da imperfezione. Se avesse
potuto dividere questa Torah! Se avesse potuto mettere da una parte gli
ordinamenti civili e dall'altra gli ordinamenti religiosi! Ma questi
ordinamenti non avevano forse tutti un carattere sacro, e la buona sorte
della nazione ebraica non dipendeva forse dalla loro totale osservanza?
Queste leggi civili che si addicevano a una nazione e non a
delle comunità, gli Ebrei non volevano abbandonarle quando entravano
tra gli altri popoli perché, sebbene fuori da Gerusalemme e dal regno
di Israele queste leggi non avessero più di ragione di essere,
rimanevano pur sempre obblighi religiosi per tutti gli Ebrei che si
erano impegnati a rispettarle con un antico patto con
Così, ovunque gli Ebrei stabilirono della colonie, ovunque
furono trasportati, chiesero non solo che si permettesse loro di
praticare la propria religione, ma anche di non essere sottoposti agli
usi dei popoli in mezzo ai quali dovevano vivere e di potersi governare
secondo le proprie leggi.
A Roma, Alessandria, Antiochia, in Cirenaica, poterono agire
liberamente. Di sabato non erano chiamati davanti ai tribunali (3), si
permise loro persino di avere propri tribunali speciali e di non essere
giudicati secondo le leggi dell'impero: quando le distribuzioni di grano
cadevano di sabato, si teneva la loro parte per il giorno seguente (4)
potevano essere decurioni, ma esentati dalle pratiche contrarie alla
loro religione (5); si amministravano da soli, come ad Alessandria, con
propri capi, il proprio senato, l'etnarca, senza essere sottomessi
all'autorità municipale. Dappertutto, volevano restare Ebrei e
dappertutto ottenevano privilegi che permettevano loro di fondare uno
Stato nello Stato. Grazie a questi privilegi, a queste esenzioni, a
questi sgravi di imposta, si trovavano rapidamente in una situazione
migliore di quella dei cittadini delle città dove vivevano; avevano
maggiore facilità a trafficare e ad arricchirsi, così provocarono
gelosie e generarono odio.
L’attaccamento di
Israele alla sua legge fu dunque una delle cause principali della sua
condanna,
sia quando da questa legge traeva benefici e vantaggi suscettibili di
provocare invidia, sia quando si gloriava dell'eccellenza della Torah
per considerarsi al di sopra ed estraneo agli altri popoli.
Se gli Israeliti si fossero attenuti al puro mosaismo non
vi è dubbio che, a un certo momento della loro storia, avrebbero potuto
modificare questo mosaismo in modo tale da lasciar sussistere soltanto i
precetti religiosi o metafisici; può anche darsi che, se avessero avuto
come libro sacro soltanto
I dottori dicevano: lo scopo dell'uomo sulla terra sono la conoscenza e la pratica della Legge, e non si può pienamente praticare la legge se non sottraendosi alle leggi che non sono la vera Legge. L'Ebreo che seguiva questi precetti si isolava dal resto degli uomini, si trincerava dietro la siepe che intorno alla Torah avevano elevato dapprima Esdra e i primi scribi (7) e poi i Farisei e i Talmudisti eredi di Esdra, deformatori del mosaismo originario e nemici dei profeti. L'Ebreo non si isolò soltanto rifiutando di sottomettersi agli usi che creavano dei legami tra gli abitanti dei paesi in cui si era stabilito, ma anche respingendo ogni rapporto con gli abitanti stessi: all'insociabilità aggiunse l'esclusivismo.
Senza
Quando la nazionalità, ebraica si trovò in pericolo,
sotto Giovanni Ircano, si
videro i Farisei dichiarare impuro il suolo dei popoli stranieri, impure
le relazioni tra Ebrei e Greci. Più tardi, gli Scamaiti
in un sinodo proposero di stabilire una separazione totale tra Israeliti
e Pagani ed elaborarono una raccolta di proibizioni chiamata Le diciotto cose che finì per predominare nonostante l'opposizione
dei discepoli di Hillel. Così
nelle esortazioni di Antioco
Sidete, si incomincia a parlare dell'insociabilità ebraica, vale a
dire "del partito preso di
vivere esclusivamente in un ambiente ebraico escludendo qualsiasi
relazione con gli idolatri, e dell'ardente desiderio di rendere queste
relazioni sempre più difficili, se non impossibili" (9) e
davanti ad Antioco Epifane
vediamo il gran sacerdote Menelao
accusare la legge di "insegnare
l'odio verso il genere umano, proibire di sedere alla mensa degli
stranieri e di mostrare loro benevolenza".
Se questi precetti avessero perso la loro autorità quando
scomparvero le ragioni che li avevano motivati e in un certo qual modo
giustificati, il male sarebbe stato limitato; ma li vediamo ricomparire
nel Talmùd e l'autorità dei Dottori li ha riconfermati.
(…)
*Bernarde Lazare nacque a Nimes nel 1865 in una famiglia di ebrei stabilitisi da secoli nel sud della Francia e ancora giovane andò a Parigi a completare gli studi. Nel 1884 pubblicò il libro "L'Antisemitisme, son histoire er ses causes" in risposta ai libri di Edouard Drumont.