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L'altra
faccia di Obama
Tratto dal libro "L'altra
faccia di Obama: ombre da passato e promesse disattese" di Enrica
Perucchietti, ed. Infinito
(...) Era il 27 luglio 2004 quando tutta l’America si
accorse del giovane e carismatico Barack Obama. Sconosciuto ai più, dal
nome difficile e le origini esotiche, quella sera di sette anni fa da
Boston milioni di Americani videro il giovane politico salire sul palco
della convention del Partito Democratico che avrebbe incoronato John Kerry
come sfidante per le elezioni alla Casa Bianca contro il Presidente in
carica George W. Bush. A quel tempo Obama non era ancora Senatore a
Washington, ma gli fu affidato comunque il keynote
speech, il discorso introduttivo alla convention.
Un’occasione imperdibile. La storia la sappiamo. Kerry avrebbe perso
le elezioni contro Bush e il turno successivo gli elettori avrebbero
scelto il primo Presidente afroamericano della storia.
Il modo in cui Obama pronunciò il suo discorso
quella ricalca la metodologia che è poi divenuta storia. Quel carisma
modulato attraverso i gesti, la voce, le parole ben scandite che
arrivano dritte al cuore della gente. Senza dire molto, le sue parole
riescono a insinuarsi nel subconscio delle persone. La sua voce è come
una sinfonia. Resti ad ascoltarlo, ti cibi dell’aura salvifica che a
istinto ti sembra di cogliere. Il ritmo delle sue parole ti ammalia. È pacato, gentile, ma
di quella gentilezza distaccata di chi ti studia con freddezza calcolata
mentre ti ritrovi ad abbassare le difese. Non è lui che cerca la tua
approvazione, sei paradossalmente tu che necessiti della sua.
A distanza di sette anni la percezione che il mondo
ha di Barack Obama è cambiata. Il suo modo di esprimersi è rimasto
intatto. Ma dietro le promesse si è insinuata l’ombra del vecchio.
Dell’establishment che non
ha colore politico, che raccoglie i soliti volti di democratici e
repubblicani: la Casta americana. Dietro i corposi finanziamenti della
più dispendiosa campagna presidenziale della storia, si celano infatti
gli assegni delle lobby. Gli speculatori di Wall Street. Le grandi
Banche, che avrebbero goduto del salvataggio statale a scapito dei
contribuenti. Le multinazionali del petrolio, degli OGM, della Difesa.
Le compagnie di assicurazione.
Molti si sono accorti che il cambiamento
prospettato in campagna elettorale stenta a concretizzarsi, nonostante
l’insediamento della nuova amministrazione democratica. Un team che
comprende gli ex membri dei Governi Bush e Clinton e che ha presto
disatteso le promesse fatte in campagna elettorale. Da qua il
salvataggio delle Grandi Banche durante la crisi, a scapito dei
contribuenti, l’abbandono della rivoluzione verde, la marcia indietro
sulla revisione del Patriot Act, l’incremento dell’invio di truppe
in Afghanistan seguito dalla missione militare in Libia. Una politica
che sostiene gli OGM e una riforma sanitaria che prevede
l’introduzione di microchip sottocutanei nella popolazione americana.
Ogni volta che Obama ha cercato di risalire nei sondaggi
riappropriandosi delle promesse fatte all’elettorato, è stato
costretto a fare dietrofront.
Le lobby non permettono che si tradiscano i propri interessi.
L’altra faccia di Obama si prefigge il compito di
rivelare che cosa si nasconde realmente dietro l’immagine di questo
messia multietnico che ha sedotto il mondo. In fondo di lui sappiamo
poco. Le ombre della sua biografia sono sconcertanti e nascondono verità
scomode. Dai Media, che ne hanno accompagnato la scalata alla Casa
Bianca, ai comuni cittadini, è iniziata a serpeggiare la domanda sulle
reali intenzioni di Obama: è veramente un uomo del popolo salito alla
ribalta per proprio merito? Oppure è l’ennesimo Presidente fantoccio
comandato da un’elite di
Banchieri che ora ne conferma e ne prepara la candidatura per la
rielezione del 2012?
Questa meteora del firmamento americano ha folgorato senza mezze misure
milioni di persone dagli usa
all’Europa, senza che queste potessero avere tempo e modo di
domandarsi chi fosse realmente
il senatore dell’Illinois con un programma politico assolutamente
elementare ma “accattivante”. Pronti a giustificare l’incapacità
di riformare il sistema – è
troppo presto, dobbiamo dargli tempo, bisogna avere fede, è ostacolato
dai poteri forti… – ci
siamo ritrovati ad abbracciare senza una spiegazione razionale il nuovo
arrivato, pronti ad accettare qualsiasi proposta uscisse dalla sua
bocca. A rischio di approvare decisioni sconvenienti per il Bene
Comune. È come se il mondo avesse promosso Obama attribuendogli una
“patente di onestà” a priori. Come a priori
gli è stato conferito il premio Nobel per la Pace, senza sapere nulla
delle sue reali intenzioni, che ora si sono rivelate non troppo distante
da quelle dei neocon.
Alcuni interrogativi sono destinati a rimanere
avvolti nel mistero. Certe domande non potranno mai trovare risposta.
Altre sono vicine a una soluzione. Donald Trump – che intende
candidarsi nelle file repubblicane – si è scagliato recentemente
contro il Presidente in carica accusandolo di non aver detto la verità
riguardo alle proprie origini. Ancora una volta l’ombra
del certificato di nascita….
Come
si crea un Presidente
L’inganno di Obama è stato presto svelato al
mondo, a chi ha avuto gli occhi per vedere, le orecchie per sentire, la
perspicacia di guardare oltre le immagini che scorrono identiche, vuote,
ogni giorno in tv.
L’imbroglio è stato scoperto. Non da giornalisti, detrattori o
repubblicani: da Obama stesso. Le elezioni di MidTerm hanno confermato
soltanto il crollo dei consensi a livello pubblico, perché l’altra
faccia del Presidente si era già palesata, prima, a pochi mesi dal suo
insediamento.
A poco servono le biografie o i saggi dei suoi sostenitori, di coloro
che sono rimasti aggrappati alla speranza del cambiamento sbandierata in
campagna elettorale. Di un “mondo nuovo”.
«Mr
Cool»,[1]
com’è stato ribattezzato, passerà alla storia per la sua abilità
affabulatoria, per la sua scalata sociale e politica, per il teatrino di
menzogne che è riuscito a imbastire. Gli si deve attribuire il merito
di aver ingannato mezzo mondo, di aver esportato il suo
modello populista post-razziale in tutti i Paesi democratici, dove la
frenesia dell’Obama-mania è serpeggiata come un morbo tra cittadini e
dirigenti politici, riappacificando per un po’ di mesi la base con i
vertici di partito.
Svenimenti, acclamazioni, spillette, striscioni:
tutti a emulare il nuovo fenomeno mediatico. Il desiderio mimetico di
riempire il vuoto della politica si è cibato dell’aura salvifica che
emanava dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Fascino, carisma,
promesse, belle parole, famigliola solare: un mix
letale per qualsiasi elettorato esasperato da anni di amministrazioni
scellerate tra guerre inutili, attacchi terroristici, crisi. La capacità
di rassicurare le masse e strizzare l’occhio alle lobby finanziarie.
Obama doveva essere l’agente non solo del cambiamento, ma della post-politica
in generale, avrebbe dovuto rappresentare gli interessi di tutti
i cittadini americani, al di là del credo politico, o del ceto sociale.
Se è vero che le cose devono cambiare per rimanere sempre le stesse, il
suo approdo fulmineo sulla scena politica ha dimostrato che le barriere
che separano repubblicani e democratici sono solo etichette vuote: a un
certo livello sono tutti uguali, tutti controllati dai soldi e dal
potere.
In questo senso Obama si è dimostrato non solo un
prodotto del Partito Democratico, ma soprattutto un burattino di quella
che il giornalista americano John R. MacArthur, nel suo ultimo saggio,
ha battezzato la «casta americana»: le lobby di Wall Street[2].
I poteri forti della finanza hanno creato e indirizzato questo
giovane, dal passato esotico, a mirare all’insediamento alla Casa
Bianca. Ma a differenza di un JFK, Obama non ha avuto – almeno per ora
– la forza di emanciparsi da quei poteri forti che ne hanno guidato il
destino.
È lo stesso Obama a svelare i mezzi per
conquistarsi la vittoria: «In
assenza di potenti mezzi personali, c’è fondamentalmente una sola
maniera di ottenere la quantità di denaro che serve nella corsa al
Senato degli Stati Uniti. Bisogna chiederlo alle persone ricche».
Forse che a corteggiare e a farsi corteggiare dall’establishment
politico e finanziario americano l’ex senatore dell’Illinois sia
rimasto invischiato in promesse di ben altro genere e in scambi di
favori da aver dovuto o voluto dimenticare i bisogni dei cittadini?
Scendendo necessariamente a patti con il potere per diventare
Presidente, ne è forse rimasto contagiato?
Oppure dietro questa scalata sociale e politica
senza precedenti nella storia è da ravvisare un destino segnato fin
dall’infanzia da coloro che stanno
“dietro il trono”, che manovrano il potere e i soldi che si
celano dietro di esso?
Obama è forse il prodotto di qualcuno che ha individuato in questo
giovane brillante, esotico, una possibilità di “investimento” per
creare un simbolo politico post-razziale che muovesse le masse
infondendo fiducia nell’elettorato?
Obama,
Ulisse e il cavallo di Troia
Che cosa rimane di quella Audacia della Speranza[3]?
Obama non ha fatto nulla di audace, né ha introdotto il cambiamento che
prospettava in campagna elettorale. Forse, combattuto nelle intenzioni,
è presto capitolato alle logiche di potere.
Non lo sapremo mai.
Sappiamo, e ce lo rivela egli stesso dalle pagine
dei suoi libri, che la frequentazione dei ricchi di Wall Street l’ha
condizionato al punto da diventare come loro: «So
bene che, in conseguenza della mia ricerca di fondi, sono diventato più
simile ai ricchi donatori che ho incontrato, nel senso molto specifico
che ho passato sempre più tempo nella mischia, lontano dal mondo fatto
di fame impellente, delusioni, paura, irrazionalità e spesso stenti del
restante 99 per cento della popolazione – cioè le persone per aiutare
le quali sono entrato nella vita pubblica». Queste righe suonano
come una forma di giustificazione agli sforzi di equilibrismo che per
anni ha dovuto compiere. Da funambolo della politica sempre in bilico
tra gli interessi della popolazione e gli interessi delle lobby, le voci
della città diventano «un’eco lontana piuttosto che una realtà
palpabile»: qua sta il punto di non ritorno in un uomo, quando si
sporca le mani scendendo a patti con il potere dell’establishment politico e finanziario.
La catabasi obamiana è l’origine della sua
Caduta.
Qua il punto in cui i favori che si devono a coloro che ti
hanno aiutato a raggiungere la vetta risultano più impellenti delle
“voci” degli elettori.
Qua il punto in cui una promessa diviene illusione, un’illusione
menzogna.
La via del potere si snoda attraverso comizi e salotti dell’alta
finanza: in fondo Obama, per quanto abbia cercato di rappresentare a
pieno l’icona del sogno americano, del self
made man, figlio di «un
pastore di pecore», ha avuto una madre bianca e una vita agiata.
O, come si domanda John MacArthur:
La chiave dell’enigma è sepolta nelle sue
parole, nella sua vita, nelle sue amicizie, dietro alle quali si celano le vere intenzioni dell’Obama politico.
L’inadeguatezza a governare che ha dimostrato in questi anni è data
da incapacità, dal fatto di essere soltanto un burattino nelle mani di
una elite al di sopra di colui
che è considerato “l’uomo più potente del mondo”, dall’avere
le mani legate da troppi favori ricevuti, oppure il suo venire a patti
con la finanza è un escamotage,
una sorta di “Cavallo di Troia” da introdurre nei salotti di Wall
Street?
Dobbiamo vedere in Obama l’astuzia di Ulisse – e il carisma
l’intelligenza lo lascerebbero intendere – oppure l’abbaglio di un
semplice uomo di paglia divorato dall’ambizione e manipolato da uomini
molto più ricchi e potenti di lui?
Oppure – ipotesi assai più inquietante – è egli stesso il Cavallo
di legno, un inganno escogitato da qualcuno ben più potente di lui che
lo ha proposto alle masse per regalare loro l’illusione del
cambiamento?
Bentornato
Reagan!
Accolto come un Messia, un Salvatore, un novello
John Kennedy post-razziale, il
quasi sconosciuto Barack Obama ha dimostrato nei fatti una netta
propensione per lo status quo
politico dei suoi predecessori, anche del nemico per eccellenza, George
W. Bush, per cui, lontano dai riflettori, serba parole di comprensione
(...)
Tratto dal libro "L'altra faccia di Obama: ombre da passato e promesse disattese" di Enrica Perucchietti, ed. Infinito
[1]
Stefano Pistolini, Mister Cool.
Come funziona il metodo Obama, Marsilio.
[2]
John R. MacArthur, La Casta
Americana, Casini Editore, trad. Marella Imparato. Titolo
originale, An American Caste, 2008, Les Arene.
[3]
In inglese Audacity of the
hope, titolo originale della sua autobiografia politica.
[4]
John R. MacArthur, cit.