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L'alternativa della
"moneta complementare"
Nino Galloni, Ed. Rubbettino,
"Misteri dell'euro e misfatti della finanza", dicembre 2005
Tratto da www.centrostudimonetari.org
Una
tale situazione di artificiosa scarsità - che è già uno squilibrio in
sé - date le opportunità offerte dalle attuali tecnologie e
l'insufficiente risposta ai bisogni del Pianeta, può stimolare misure
di compensazione economica che nascano dal basso (quando
"l'alto" non interviene adeguatamente).
Se ci sono sul territorio risorse (veramente) disoccupate e
(immediatamente) disponibili - non solo umane, ma pure tecnologiche -
anche gli stessi produttori possono emettere una moneta (locale,
complementare) purché, poi, essi stessi si impegnino ad accettarla in
pagamento dei propri crediti. In Germania, Canada, Giappone e Regno
Unito essa è stata utilizzata con crescente successo in situazioni di
forte disoccupazione e dove era possibile avviare iniziative produttive.
Nel caso italiano, ad esempio, specie per quanto riguarda il
Mezzogiorno, si potrebbe ricorrere a un "piano territoriale"
di distretto sottoscritto da tutti i soggetti sociali interessati:
imprese, lavoratori (sindacati), famiglie (associazioni dei
consumatori), amministrazioni locali e rappresentanti delle autorità
monetarie. Ovviamente, fa lo stesso che ci siano disoccupati disponibili
o altre risorse da valorizzare (ad esempio, un potenziale tecnologico da
applicare alla produzione) purché ci sia un'attività economica
aggiuntiva apprezzabile.
Nel
patto territoriale, le imprese si impegnano ad emettere tanta moneta
complementare (il cui numerario è agganciato, anche per i centesimi,
alla valuta ufficiale) quanta è la percentuale della retribuzione dei
neo-assunti (ad esempio il 50%) pagata in tale valuta: così le imprese
- ovviamente occorre
realizzare una "massa critica minima" di almeno 100-150
piccole aziende – che assumono, per dire, 60 lavoratori, pagheranno la
metà di ciò che va in busta paga con moneta complementare. Ovviamente,
non gli oneri indiretti che affluiscono all'INPS (Istituto Nazionale
Previdenza Sociale).
Tali nuovi occupati si troveranno in tasca capacità di acquisto parte
in valuta locale, parte in moneta ufficiale; utilizzeranno quest'ultima
per acquistare beni e servizi non saldabili diversamente (benzina,
francobolli, biglietti ferroviari) e la prima per comperare beni e
servizi delle aziende che hanno sottoscritto il patto. Ciò non toglie
che anche altri operatori la possano
a)
i neo-assunti possiedano le competenze professionali richieste;
b) esistano risorse e opportunità di sviluppo locale (i settori più
promettenti dovrebbero risultare quello agricolo e dell'agro-industria;
in parte quello tessile e dell'abbigliamento; i servizi di cura e
assistenza delle persone,
per cui saranno consigliabili forme di consorziarizzazione e di
organizzazione in forma di impresa, ad esempio cooperativa).
Si
può osservare che tale situazione comporterà un'agevolazione della
produzione locale rispetto a quella della globalizzazione (a meno che la
differenza di prezzo, a parità di qualità, sia eccessiva). La
produzione locale in genere, presenta una maggiore qualità in termini
di valore e di quantità di lavoro tradizionale incorporato; ma è
proprio ciò che regge la fattibilità
dell'iniziativa. Se non ci fosse una sostituzione dei beni e dei servizi
di importazione, l'iniziativa risulterebbe impraticabile. D'altra parte,
nel suo piccolo, la moneta complementare costituisce una forma di
"tecnologia sociale avanzata", volta a promuovere
l'occupazione e l'occupabilità attraverso l'incremento del reddito
interno (locale). Questo incremento sarà proporzionato alla
circolazione (locale) della nuova moneta.
Le amministrazioni locali, dal canto loro, dovranno accettare tale nuova
valuta
L'unico
problema che resterebbe aperto - a parte la necessità di un periodo di
prova o rodaggio, comunque utile per verificare la sostenibilità delle
nuove assunzioni e dell'esperimento nel suo complesso - appare quello
della convertibilità di tale valuta nel lungo termine. A breve e medio
termine, infatti, l'esperimento dovrebbe garantire buoni frutti, ma, nel
tempo, che ne sarebbe di tale moneta complementare?
Si possono ipotizzare due scenari non alternativi tra loro. Nel primo,
si attrezza una "Clearing House" (una stanza o
"casa" di compensazione e, di fatto, arbitraggio) che provvede
lo scambio nazionale e internazionale tra le varie valute complementari.
In questo modo, è
Con un'autorità di compensazione e arbitraggio, insomma, ciascuna
valuta avrebbe la possibilità di essere utilizzata anche all'esterno,
per comperare, ad esempio, servizi turistici e beni non producibili
all'interno (localmente).
Ciò farebbe assumere a tali valute il rango di monete dotate di
maggiore autonomia (di circolazione) e, quindi, finirebbe per prepararle
alla loro eventuale convertibilità in euro o altra valuta
"ufficiale".
Nel secondo scenario, una volta che le autorità decidessero di varare
un piano di sviluppo degno di questo nome, sarebbe agevole che gli Stati
o le Banche Centrali riassorbissero (ricomprassero) tale valuta
complementare pagandola "alla pari".