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Il boccone più
grosso.
Il ruolo delle imprese agroalimentari nell'agricoltura
Tratto da www.transnationale.org
Per vivere occorre
mangiare. Si tratta di una affermazione che può apparire banale, tanto
è ovvia. Ma è un punto di partenza fondamentale per ogni discorso
sull'agricoltura. Se ogni essere umano ha il diritto di vivere, dobbiamo difendere il diritto al cibo e per farlo dobbiamo dire che non è possibile implementare il libero mercato in agricoltura perché devono poter mangiare anche coloro che non avendo denaro, sono fuori dal mercato. Inoltre la produzione agricola non è così prevedibile come quella dei prodotti industriali. La situazione metereologica, le malattie che colpiscono le coltivazioni e gli allevamenti influiscono in maniera imprevedibile sulla produzione; non si può produrre all' ordine, o come si dice "just in time". I prezzi cambiano velocemente sul mercato, ma non si possono cambiare patate in pomodori ed il numero dei raccolti annuali non è modificabile a seconda della richiesta, anche se è il sogno di molti. Tutto questo chiarisce che la "mano invisibile" appare visibilmente inefficace per instaurare "un sistema di scambi agricoli equo", tanto per citare uno degli obiettivi dell' Accordo sull' agricoltura WTO. Nell' analisi di questo accordo si parla sempre di ati e di agricoltori. In questa breve analisi, svolta in occasione del Vertice FAO del giugno 2002, ci soffermiamo su un terzo protagonista, quasi sempre trascurato: le imprese agroalimentari Il commercio dei prodotti agricoli Il legame fra commercio e sicurezza alimentare è complesso. Banalmente il commercio dovrebbe servire ai paesi ad importare il cibo di cui non dispongono. Ma assume rilevanza perché il prezzo dei prodotti agricoli determinato dal mercato è quello che i coltivatori "subiscono" anche se non corrisponde ai loro costi produttivi e perché mentre i paesi del Nord sono paesi esportatori, quelli del Sud, sono i maggiori importatori, in particolare i Paesi meno sviluppati importano quasi il 30% del cibo che consumano. Inoltre l' accordo agricolo (in sede WTO) mira a garantire un maggiore accesso al mercato, stabilendo una percentuale minima di import per ogni prodotto agricolo, e ad agire sulle politiche nazionali di sostegno. Occorre considerare che da questo accordo ci si attendeva un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli di base, le cosiddette commodities, ed un riequilibrio del mercato. Ma ciò non è accaduto, i rapporti di forza sono rimasti inalterati ed i Paesi in via di sviluppo (PVS) non hanno visto aumentare la loro quota di esportazioni. Leggendo l' AoA si è sempre soliti parlare di esportazioni americane e di vendite sottocosto Europee. Ma gli Stati sono direttamente coinvolti sul fronte del commercio solo se possiedono società che hanno il monopolio del commercio di determinate derrate, le cosiddette state-trading enterprises. Sfugge al dibattito che a comprare dagli agricoltori e commerciare sono società come Nestlé, Cargill e Carrefour. Gli Stati non competono fra loro, al massimo competono per ricevere gli investimenti di queste società. I protagonisti del mercato I problemi di reddito degli agricoltori sono sempre stati visti come una conseguenza del cronico sbilanciamento fra domanda ed offerta, come se il nocciolo del problema fosse costituito dalle ridotte dimensioni della torta da spartire fra gli agricoltori. Le politiche hanno ipotizzato varie soluzioni per aumentare il loro reddito: hanno tentato di ingrandire la torta attraverso i sussidi, di ridurre i contadini seduti al tavolo o di far si che i contadini potessero mangiare sulle tavole di altri Paesi (sussidi all' esportazione). Ma la situazione reale è che al tavolo non siedono solo i contadini, ci sono almeno tre sedie, una per loro, una per chi fornisce loro fertilizzanti, sementi, antiparassitari, eccetera e una per chi compra i loro prodotti, li elabora e li fa arrivare sui banchi di vendita al dettaglio. Il problema è che le tre forchette per mangiare la torta non sono della stessa dimensione. Proviamo ad analizzare meglio questa affermazione. L' agricoltura non è solo campagne e fattorie dove gli agricoltori lavorano con i loro trattori. Essi comprano le sementi che piantano, talvolta lavorano terre in affitto, acquistano tutti i prodotti chimici necessari e tutte le apparecchiature per coltivare ed allevare bestiame. Vendono poi i loro raccolti e gli animali allevati a chi li commercia e li trasforma in cibo preconfezionato che noi consumatori acquistiamo nei negozi e nei supermercati. Come si vede, gli agricoltori sono un anello della catena, un anello debole, stretto fra chi fornisce loro mezzi e materiali per lavorare e chi acquista il frutto del loro lavoro. In queste condizioni, come possono aumentare il loro reddito? 1) aumentando la resa delle coltivazioni 2) aumentando l' estensione delle coltivazioni 3) riducendo i costi 4) ottenendo sussidi dallo Stato (la via più praticata). Ma queste soluzioni sono parziali, poiché non considerano globalmente il settore agroalimentare che vede l' industria di trasformazione e gli agricoltori accomunati dalla stessa ricerca di profitti, ma divisi nell' attuazione pratica di questo obiettivo. Agricoltori e società commerciali sono ad esempio sul fronte opposto relativamente a prodotti di base come il grano, il frumento e il cotone, prodotti per i quali non c' è una domanda al dettaglio essendo materia prima per l' industria di trasformazione. Sono loro a fare la domanda di mercato, i protagonisti che "stabiliscono" i prezzi; a loro va la fetta più grossa del prezzo finale di un prodotto alimentare. Nel 1995 l'USDA (il Dipartimento Americano dell' agricoltura), valutava che prendendo un cesto di prodotti agricoli, il 25% del prezzo è per i coltivatori, il resto è agribusiness. Per i prodotti da forno, questa percentuale è ridottissima, pari all' 8%. In un anno di raccolti eccezionali, sicuramente l' industria di trasformazione ottiene dei benefici perché l' offerta di materia prima è superiore alla richiesta, perciò maggiori profitti. Per l' agricoltore invece è un problema perché l' abbassamento dei prezzi riduce le entrate. Che fare? Di solito lo stato si muove per integrare il reddito dell' agricoltore cosicché possa pagare il suo "conto" ai suoi fornitori di sementi, fertilizzanti, diserbanti eccetera. I cittadini hanno così la sensazione di aver aiutato i poveri contadini, in realtà i contributi statali hanno sostenuto i loro fornitori e i maggiori guadagni dell' industria di trasformazione. Per questo il problema del reddito agricolo può essere meglio descritto come un problema di distribuzione del profitto all' interno del sistema. La globalizzazione in agricoltura: integrazione orizzontale e verticale delle multinazionale agroalimentari Così come in altri comparti, nel corso degli ultimi anni c' è stata una sequenza di acquisizioni che ha ridotto il numero delle compagnie sul mercato. Queste sono le maggiori compagnie che commerciavano cereali negli anni ' 80 e la concentrazione di mercato. Concentrazione di mercato: Frumento, mais e soia 6 società hanno l'85-90% Cargill, Continental, Louis Dreyfus, Bunge & Born, André, Toepfer Caffè 6 società hanno l'85-90% Rothfos, ACLI (dall'83 acuisita da Cargill), J.Aron, Volkart, Socomex, ED&F Man Zucchero 4 società hanno l'60-65% Sucden, Phibro, Tate & Lyle, ED&F Man Banane 3 società hanno l'80% United Brands, Castle&Cook, Del Monte Cacao 3 società hanno l'80% Gill&Duffus, Berisford, Sucden Tè 3 società hanno l'85% Unilever, Associated British Foods, Lyons-Tetley Cotone 8 società hanno l'80% Cargill, Volkart, Mcfadden/Valmac, Dunavant, Tokyo Menka Kaisha, Sumitomo, Bunge & Born, Allenberg Da allora la situazione è variata in direzione di una ulteriore concentrazione. Il 60% dei terminal per il trasporto di granaglie è di proprietà di quattro società: Cargill, Cenex Harvest satets, ADM e General Mills. L' 82% dei cereali esportati è diviso fra Cargill, ADM e Zen Noh. Anche il settore agrochimico presenta un' alta percentuale di concentrazione. Le prime due compagnie (Syngenta e Pharmacia), controllano il 34% del mercato; le prime quattro ben il 56%. Il settore "Food & beverage", dal giugno 200 al giugno 2001, ha visto acquisizioni ed accorpamenti per un valore di 69,2 miliardi di dollari, superiore al valore totale delle "unioni" dei cinque anni precedenti. Le prime cinque società del settore sono: Nestlé (Svizzera), Philip Morris (USA), ConAgra Inc. (USA), Unilever (Olanda/UK), Coca-Cola (USA). Sempre più spinta è la concentrazione anche nel settore delle vendite. Negli Stati Uniti il 52% delle vendite al dettaglio di prodotti alimentari è nelle mani di cinque catene: Wal-Mart, Kroger, Albertson' s, Safeway e Ahold USA, quando solo nel'97 la percentuale era del 24%. Anche in Europa sta accadendo tutto questo. La società più attiva è certamente la Carrefour, secondo venditore al dettaglio del mondo. A livello mondiale, gli analisti, prevedono 5/6 global competitors: Wal-Mart (USA), Tesco (UK), Ahold (Olanda), Carrefour (Francia) e Metro AG (Germania). Oltre alla cosiddetta concentrazione orizzontale, negli anni recenti si è avviata una integrazione verticale tendente a costruire compagnie in grado di presenziare le diverse fasi di un processo di produzione di un prodotto alimentare. Le compagnie che dominano il commercio dei cereali sono parte di conglomerati i cui interessi finanziari sono ampi e per essi il prezzo dei cereali è un costo di produzione per allevamenti di bestiame e cibi preconfezionati, i cui margini di profitto sono molto superiori a quelli limitati alla vendita esterna di cereali. La Cargill, per esempio, è anche una delle maggiori società (la settima) del settore food and beverage. Tramite la Excel, una delle sue compagnie, è fra i maggiori produttori di carne preconfezionata. L' abbassamento dei prezzi dei cereali degli ultimi anni è stato un beneficio per le industrie zootecniche, mentre i consumatori hanno continuato a pagare lo stesso prezzo. Quando i prezzi dei cerali scendono, non scendono quelli della carne di pollo: alla fine tale profitto va sempre alla Cargill. Il numero ridotto di grandi compagnie in grado di dominare ogni anello della catena di produzione agroalimentare significa che queste società possono esercitare una grossa pressione per sostenere i loro prezzi di vendita e di esercitare analoghe pressioni, ma in senso opposto, per mantenere bassi i prezzi dei prodotti agricoli che acquistano. La concentrazione del mercato, lo rende più simile a un regime di monopolio che a un mercato libero e competitivo. Permette alle società dominanti di mantenere profitti elevati. Gli agricoltori guardano con preoccupazione a questa situazione, soprattutto vedendo che mentre l' agricoltura è perennemente in condizioni difficili e le piccole aziende chiudono, le multinazionali continuano a crescere e ad aumentare i loro profitti. Oltretutto al potere economico corrisponde potere politico, cioè capacità nell' influenzare le politiche dei governi. L' ex vicepresidente della Cargill, Dam Amstutz, partecipò alla scrittura dell' AoA quando lavorava nel Trade Rapresentative Off e USA; spesso hanno più potere politico dei rappresentanti delle categorie agricole e per la loro natura globale applicano il loro potere nei paesi in cui operano simultaneamente. Quando si parla di problemi agricoli, invece si punta sempre l' indice verso i contributi governativi, in particolare verso quelli europei. Come scrivono gli agricoltori canadesi della National Farmers Union, la spiegazione consueta ai loro problemi è che la crisi è causata innanzitutto dai sussidi dell' Unione Europea che aumentano la produzione, creano eccedenze e dall' abbassamento dei prezzi deriva la loro crisi. Schematicamente: Sussidi UE >> Aumento produzione UE >> eccedenze >> Abbassamento prezzi di mercato >> Crisi economica agricoltori Ma l' analisi di quanto accaduto negli ultimi anni, mostra che è ingannevole pensare che questa equazione rappresenti la realtà del problema, analizzando la produzione agricola, ad esempio, si scopre che l' aumento di produzione è avvenuto indistintamente fra paesi con un altro livello di sussidi e paesi che non ne usano (l' Australia ha registrato un aumento percentualmente superiore ai Paesi UE nella produzione di frumento). E' dagli anni ' 70 che il mercato non riesce a fornire un ritorno adeguato agli agricoltori nonostante l' intero sistema agroalimentare sia fonte di profitti. Questo fallimento di mercato è il risultato dello squilibrio fra le multinazionali del settore e gli agricoltori che devono commerciare con esse. "Mentre la retorica parla di sostegno alle famiglie di agricoltori in difficoltà, la realtà è molto diversa. Il 10% degli agricoltori americani riceve due rzi dei contributi; l' 1% riceve mediamente più di 110.000 dollari all' anno. In Europa il 30% degli agricoltori riceve il 70% dei fondi, fra di essi il Principe Carlo d'Inghilterra." Michael W.G.Garrett Executive Vice president Nestlé. Il tema dei sussidi agricoli è stato ampiamente dibattuto negli ultimi anni. L' AoA ha certamente fallito nel tentativo di ridurli poiché i paesi che ne facevano ampio uso continuano a farlo (principalmente UE, USA e Giappone), semplicemente hanno modificato le modalità di erogazione. Meno chiaro, almeno per la gente comune, è che il sistema di erogazione di questi contributi è poco equo e che non finisce nelle tasche di chi ne avrebbe maggior necessità. Come faceva notare, il vice presidente esecutivo della Nestlé nella frase riportata sopra, la fetta più grossa dei sussidi finisce in poche mani e questo accade sia in Europa che negli USA. Gli Stati Uniti, in sede WTO, hanno sempre sostenuto una posizione liberista anche in agricoltura; nella pratica, però, la posizione statunitense è molto meno netta, anzi, i sostegni americani non sono da meno, si differenziano solo nella modalità con cui vengono elargiti. In attesa di trovare dati analoghi per l' Europa, ecco qualche interessante dato sui destinatari dei sussidi a farmers americani. Innanzitutto non tutte le diverse coltivazioni sono sostenute, anzi, il 90% dei contributi va ai produttori di mais, frumento, cotone, semi di soia e riso. Fatta questa premessa, il 60% degli agricoltori non riceve sussidi mentre il 10% dei beneficiari ne assorbe il 61%. Questo 10% ha ricevuto mediamente 32 mila dollari ogni anno, 27 volte la cifra mediamente ricevuta . L' 1% al top della lista dei destinatari dei sussidi, ne ha percepiti 83 mila dollari. Sono destinatari di sovvenzioni investitori e proprietari terrieri, non coinvolti direttamente nella produzione agricola. Fra i beneficiari dei contributi 10 troviamo addirittura società che fanno parte della lista "Fortune 500", la classifica delle 500 maggiori società USA, stilata dalla omonima rivista. Nel 2000, ad esempio figuravano: ¨ Archer Daniels Midland ($36,305) ¨ Boise Cascade Corporation ($11,024 ) ¨ Caterpillar ($17 698) ¨ Chevron ($260,223 ) ¨ Deere & Company ($12,875 ) ¨ DuPont ($188,732 ) ¨ Georgia Pacific ($37,156 ) ¨ International Paper ($375,393 ) ¨ John Hancock Mutual Life Insurance ($125,975 ) Hanno ricevuto contributi persino aziende come la Pfizer (meglio nota come produttrice del Viagra) e la RJ Reynolds Tobacco Co. Conclusione Gli accordi sul commercio agricolo in questi ultimi anni hanno fallito l' obiettivo di portare prosperità al mondo contadino. Questo è accaduto sia nel Nord del Mondo, sia nei Paesi del Sud, dove la situazione è drammaticamente più grave perché l' agricoltura è l' attività praticata dalla maggior parte della popolazione e perché vi sono situazioni di carenza alimentare. Per gli agricoltori questi accordi hanno avuto due conseguenze importanti. Rimuovendo sistemi tariffari e non, hanno condotto gli agricoltori ad un unico mercato iper competitivo. Spingendo per un minore intervento statale e la fine di ogni intervento diretto attraverso imprese che in alcuni Paesi provvedevano a controllare e stabilizzare i prezzi di alcune derrate, hanno favorito la crescita di gruppi imprenditoriali. In condizioni di alta competitività, i prezzi e i profitti dovrebbero scendere, non per nulla gli economisti sostengono che il libero mercato conviene ai consumatori (dimenticando che sono anche lavoratori), ma se la competizione è aumentata per i contadini, è diminuita per le multinazionali agroalimentari, sempre meno ma sempre più grandi. La situazione che si è venuta a creare è che il potere sul mercato fra i due è enormemente sproporzionato. In queste condizioni, una ulteriore riduzione dell' intervento governativo sul mercato agricolo, sarà a favore dell' Agribusiness, così come il regime di sussidi vigente non modifica le storture del mercato, ma semplicemente lo mantiene in vita. Perciò i negoziati sull' AoA, che si stanno svolgendo secondo i tre consueti pilastri: sussidi all' esportazione, sostegni interni e accesso al mercato vanno verso un ulteriore rafforzamento del potere delle compagnie agroalimentari e mancano l' obiettivo di migliorare il reddito degli agricoltori, indispensabile ad ogni tentativo di soddisfacimento dei bisogni alimentari del pianeta. Da 25 anni, politici e manager hanno avuto la meglio nel sabotare i tentativi degli agricoltori di comprendere il problema. E' fondamentale che il tema della concentrazione di potere e del fallimento del mercato entri nell' agenda dei negoziati. |