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Gli
aerei dei poveri
di Carlo Bertani – 3 ottobre 2006
Dopo
la recente guerra in Libano, molti analisti s’interrogano sulle reali
capacità belliche dell’Iran, soprattutto per quanto concerne
l’aspetto più importante della guerra moderna: la cosiddetta
“intelligence elettronica”, ovvero quei sistemi che non sono
direttamente collegati ad un’arma (sia essa aereo, nave, mezzo
corazzato, ecc), bensì l’elettronica e l’informatica che gestiscono
la raccolta d’informazioni, la loro analisi e le relative contromisure
da adottare.
Si
tratta di una materia dai confini assai labili, giacché parti dello
stesso sistema di guerra elettronica possono essere utilizzate in campi
diversi: possono entrare a far parte del sistema di guida di un missile
antinave, oppure di un radar aria-aria di un caccia, ecc.
Mentre la recente “brutta figura” di Tzahal
in Libano può essere spiegata da molti fattori – i nuovi lanciarazzi
controcarro russi di Hezbollah,
ma anche parecchi errori tattici compiuti dai generali israeliani –
l’aver attaccato con successo le navi israeliane al largo delle coste
libanesi con missili antinave denota un salto di qualità notevolissimo,
soprattutto per i risultati ottenuti, siano essi l’affondamento oppure
il semplice danneggiamento delle navi.
Una
nave – per difendersi dal lancio di missili antinave – dispone di
tre mezzi: le contromisure elettroniche, i sistemi di missili
anti-missile e l’artiglieria a tiro rapido, tutte presenti sulle navi
israeliane.
Trascurando l’artiglieria di bordo, bisogna concludere che i missili
lanciati da Hezbollah sono riusciti a confondere e ad eludere sia il
sistema di contromisure elettroniche (sofisticate emissioni che tendono
a “far credere” al missile attaccante che la nave non sia nel punto
dove si trova, bensì in un altro) sia i missili anti-missile (in questo
caso, il sistema Barak).
La reazione di molti analisti è stata di sorpresa, ma se qualcuno si
fosse preso la briga d’andare ad analizzare lo sviluppo
dell’industria aeronautica iraniana nell’ultimo decennio, i rapporti
fra Iran, Russia, Cina ed altri paesi del cosiddetto “Patto di Shangai”,
non ci sarebbe troppo da meravigliarsi.
Uno
dei paradossi della vicenda è che l’Iran – fino alla caduta dello
Scià nel 1979 – ottenne copiosi rifornimenti d’armi dagli USA, fra
i quali il famoso caccia F-14
Tomcat, unico stato al mondo a ricevere il potente intercettore.
Gli altri velivoli in servizio in Iran sono anch’essi prevalentemente
di fonte occidentale: Northrop F-5,
F-4 Phantom e Mirage F-1. Più recentemente sono arrivati in Iran anche Mig-29
russi e J-7 cinesi, ma la maggior parte dei velivoli è di provenienza
occidentale.
Con l’avvento della Repubblica Islamica (1979) cessarono gli invii di
rifornimenti all’Iran (a parte la fosca vicenda Iran-Contras) e le
forze aeree iraniane si trovarono a dover immobilizzare a terra gran
parte dei velivoli per mancanza di pezzi di ricambio.
La
guerra Iran-Iraq fu combattuta da un Saddam Hussein (oggi processato dai
vecchi amici!) copiosamente rifornito di armi dall’Occidente e
dall’URSS, che vedevano entrambe nell’Iran il pericolo di una
diffusione del pan-islamismo sia verso Occidente (Libano, Siria, ecc)
sia verso nord (le repubbliche oggi ex sovietiche).
Se Saddam avesse vinto quella guerra, probabilmente oggi non si
troverebbe prigioniero in un carcere: mai fidarsi dei “vecchi amici”
quando non porti a termine il “lavoro”!
Lasciamo Saddam al suo destino e cerchiamo di capire come l’Iran ha
cercato di superare l’isolamento internazionale di quegli anni.
Per
prima cosa, i grandi mutamenti nello scenario internazionale hanno
senz’altro aiutato Teheran: la caduta dell’URSS ha mandato in fumo
un potenziale nemico al Nord, e la nuova Russia di Putin ha compiuto nel
tempo una lunga marcia d’avvicinamento agli ayatollah. Perché?
Forse qualcuno ricorda il primo viaggio all’estero di Putin?
Appena eletto, il neo presidente fece un lungo viaggio nei paesi un
tempo “satelliti” dell’ex URSS, dalla Libia al Vietnam, dalla
Siria alla Corea del Nord: cosa assicurava Putin?
La principale rassicurazione riguardava proprio le forniture militari:
rimasti praticamente senza pezzi di ricambio per un decennio, Putin
assicurò a quei paesi che le forniture dalla Russia sarebbero riprese.
Bastava pagare: di quei soldi – quando ancora il prezzo di petrolio e
gas era basso – Mosca aveva un disperato bisogno per rimpinguare le
casse statali.
Il
passo successivo riguardò gli alleati “di riguardo”, ossia Cina ed
India, con le quali firmò importanti trattati di cooperazione che
riguardavano sia la vendita di materiale bellico, sia la cessione di
“pacchetti tecnologici” e l’avvio di produzioni su licenza,
particolarmente per due velivoli molto ambiti, il Mig-29
ed il Sukhoi-27.
Con quei primi contratti – e con le ricadute positive sull’industria
bellica russa – Putin riuscì già nel 2003 ad incrementare del 50%
gli investimenti nel campo della ricerca militare.
Nel frattempo, l’aumento del prezzo dell’energia consentì alla
Russia di pagare l’enorme debito ricevuto in eredità dall’URSS e di
poter pianificare la sua politica estera in modo indipendente ed
ambizioso: i risultati di questa politica sono la resa degli
indipendentisti ceceni e l’atteggiamento fermo di questi giorni nei
confronti della Georgia, laddove
Gli
accordi con l’Iran fanno parte di un altro capitolo della politica
estera russa: cooptare nella sua area quei paesi che si trovano ad
essere emarginati dalla politica imperiale USA: l’Iran, appunto, ma
anche il Venezuela.
L’alto costo dell’energia ha
spostato enormi ricchezze verso Oriente, mentre il decollo industriale
della Cina (e, in minor misura, dell’India) non solo aumentano il
flusso di dollari verso Oriente, bensì elevano ogni giorno che passa il
livello tecnologico dei paesi orientali.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una vera “esplosione”
dei contratti di costruzione su licenza nel settore armiero: i più
importanti sono senz’altro quelli cinesi ed indiani – che riguardano
il Mig-29 ed il Sukhoi-27 –
ma anche la cessione della licenza di produzione del missile coreano Nodong,
diventato lo Sharab III e IV in Iran, è un avvenimento degno di nota.
Paradossalmente,
la penuria di pezzi di ricambio per i velivoli iraniani di provenienza
occidentale ha condotto Teheran a stimolare la produzione interna delle
parti necessarie per riparare ed ammodernare i velivoli. Come si è
giunti al risultato?
Si tratta di una combinazione di fattori che comprende una necessità
primaria (fabbricare i pezzi di ricambio), il buon livello
dell’istruzione scientifica e tecnica nel paese, l’assistenza della
Russia (per motivazioni economiche, ma anche strategiche, ossia per
avere un alleato nel Golfo Persico) e della Cina (interessata al gas
iraniano).
Altri, importanti fattori li ha creati la stessa amministrazione Bush,
inserendo l’Iran e
I
risultati degli sforzi iraniani sono i missili Sharab, in grado di raggiungere il Mediterraneo, ma ciò che è poco
conosciuto è l’incremento dato alle costruzioni aeronautiche.
Dopo aver costruito pezzi di ricambio, il passo successivo è stato
quello di “ridisegnare” gli stessi aerei interpretandoli alla luce
delle mutate esigenze.
Per capire il processo, è necessario conoscere a grandi linee i
meccanismi d’ammodernamento dei velivoli militari: un settore molto
complesso, nel quale però si possono tracciare alcune linee essenziali.
Un velivolo “nasce” quando il programma di costruzione viene
“congelato”, ossia quando si può ragionevolmente ipotizzare che gli
obiettivi del progetto sono stati raggiunti e che non ci saranno,
nell’immediato futuro, novità tecnologiche tali da non far propendere
per un rallentamento del programma. Se ogni programma attendesse sempre
l’ultimo “ritrovato” tecnologico, non giungerebbe mai ad un
risultato concreto, ossia alla produzione del mezzo.
Come
si potrà facilmente capire, non esiste una “regola” valida per
tutte le situazioni: al “congelamento” del programma potrebbero
concorrere anche esigenze d’urgenza, per avere i velivoli pronti per
un determinato anno, pur sapendo che in un futuro prossimo la tecnologia
avrebbe certamente proposto nuove soluzioni.
In definitiva, il problema non è molto diverso da quello che ci
troviamo ad affrontare nel momento della sostituzione di
un’autovettura: spendere altri soldi per ripararla o cambiarla?
Nel caso dell’autovettura dovremo valutare l’affidabilità della
meccanica e della carrozzeria, mentre in quello del velivolo (che non
subisce una riparazione, bensì un aggiornamento) sarà valutata con
attenzione l’affidabilità della cellula, considerando anche di
cambiare il tipo di reattore, ma il “clou” dell’ammodernamento
riguarderà l’elettronica di bordo, il “cuore” del sistema di
combattimento.
Il
caccia italiano F-104 non meritava un ammodernamento (a parte la vetustà
dei velivoli) perché concettualmente superato: inutile spendere soldi
per sistemare una sofisticata elettronica su un velivolo che aveva
scarsissime doti di manovrabilità a bassa quota, giacché era nato per
“arrampicarsi” velocemente alle altissime quote.
Al contrario, il caccia F-4 Phantom ed il Mig-21 meritavano attenzione
perché la cellula rispondeva ancora alle mutate esigenze: dai vecchi
F-4 (che combatterono in Vietnam) gli israeliani trassero il Kurnass, un ottimo velivolo per il ruolo Wild
Weasel (Oca Selvaggia),
ossia per la soppressione dei sistemi contraerei avversari.
I cinesi, a loro volta, “interpretarono” il Mig-21 (anch’esso
“veterano” del Vietnam) e ne trassero il J-7, un velivolo
“rustico” (come quasi tutti gli aerei sovietici) ma veloce,
manovriero ed ancora affidabile, soprattutto se dotato di elettronica più
moderna per la gestione dell’armamento.
Rimanendo
“dalle parti” della Cina e di Israele dobbiamo menzionare che uno
dei maggiori trasferimenti di tecnologia dello scorso decennio riguardò
proprio Pechino e Tel Aviv.
A metà degli anni ’80, gli israeliani avevano progettato e costruito
i primi due prototipi del Lavi,
un caccia completamente nazionale, che avrebbe dovuto fornire a Tel Aviv
la superiorità nell’area per almeno due decenni.
Israele dipende però, per le sue costruzioni militari, in gran parte
dai finanziamenti USA, che lo scorso anno sono stati (almeno quelli
ufficiali) di circa 2 miliardi di dollari.
A quel tempo, negli USA qualcuno iniziò a storcere il naso al pensiero
che gli USA avrebbero finanziato la costruzione di un caccia il quale
sarebbe andato a fare concorrenza proprio al “made in USA”,
principalmente F-16 ed F-15, e posero
l’aut aut: o il Lavi, o i
finanziamenti USA.
Messa
alle strette, Tel Aviv dovette riconoscere che senza l’aiuto economico
statunitense non sarebbe mai riuscita a costruire l’ambito velivolo e
rinunciò: difatti, oggi la “spina dorsale” dell’aeronautica
israeliana è costituita da F-16
ed F-15.
Che fare del povero Lavi? Il
buon velivolo (del quale furono costruiti due prototipi) – e tutto il
programma tecnologico che lo aveva generato – fu venduto alla Cina,
che a quel tempo non sembrava ancora impensierire troppo: bastava, per
equilibrare la bilancia, vendere altrettanti aerei a Taiwan.
A margine, ricordiamo la vicenda dello sconfinamento del P-3 Orion statunitense che cozzò in volo contro un caccia cinese e
che fu costretto ad atterrare in Cina: i cinesi restituirono l’aereo
agli USA completamente smontato e dopo aver preteso anche il pagamento
del trasporto. Non si sa se, prima dell’atterraggio, il personale
americano riuscì a cancellare il software del sistema di rilevamento
dell’aereo-spia americano, ma anche essere entrati in possesso
dell’hardware non fu poca cosa per Pechino.
Altro
fatto che avvenne negli anni ‘80 fu il grave danneggiamento della
modernissima fregata statunitense Stark
– della classe Oliver H. Perry
– ad opera di un missile Silkworm
cinese, lanciato nelle acque del Golfo Persico da una motovedetta
iraniana.
Il Silkworm era un vecchio
missile antinave d’origine sovietica “re-interpretato” dai cinesi:
a quanto pare i cinesi furono bravi nella loro revisione, giacché il
missile ingannò il sistema di guerra elettronica della nave e si fece
beffa del cannone antimissile Vulcan
Phalanx, che spara più di 100 colpi al secondo.
Tutti questi piccoli segnali avrebbero dovuto far sorgere qualche dubbio
in Occidente, ossia che il gap tecnologico con i cosiddetti “paesi
emergenti” forse non era più così cospicuo. Si dovette giungere fino
al Libano, per accorgersi che Hezbollah
faceva il tiro al bersaglio sulle navi israeliane come se fossero papere
in uno stagno?
«I giapponesi hanno ottimi velivoli, ma non sanno volare» affermavano
con sufficienza gli ufficiali britannici ad Hong Kong nel 1941: poche
settimane dopo, gli stessi piloti cercavano scampo – dopo la caduta
della città in mani giapponesi – su imbarcazioni di fortuna,
bersagliati dai caccia pilotati dai giapponesi che “non sapevano
volare”.
Tre
secoli di dominio occidentale sul pianeta ci stanno oscurando la vista:
non riusciamo nemmeno più a credere all’evidenza, ossia che in
Oriente si sta costruendo tecnologia di pari livello alla nostra.
Un’altra novità poco conosciuta in Occidente è che
La
produzione su licenza del Su-27
iniziò in Cina, ma oggi i cinesi propongono sul mercato il J-11 –
praticamente un Su-27 rivisto
“alla cinese” – e parecchie aviazioni dell’area sono
interessate.
Le sorprese non finiscono qui, perché – nella prospettiva di una
guerra all’Iran – le attenzioni degli analisti sono tutte puntate
sulla guerra “non convenzionale” (ossia modello Iraq ed Afghanistan)
che le truppe americane si vedrebbero imporre dalle Guardie della
Rivoluzione iraniane (abituate da 10 anni di guerra contro l’Iraq!)
proprio negli stessi luoghi.
Tutto
ciò è assolutamente vero – e questa sarebbe la più pericolosa
risposta iraniana – ma non dobbiamo sottovalutare gli aspetti
tecnologici di una probabile guerra contro Teheran.
Dopo aver trasformato i missili coreani – migliorandoli – l’Iran
è passato alla costruzione di nuovi velivoli, “re-interpretando” il
caccia della Northrop F-5, dal
quale hanno tratto l’Azarakash.
Il
Northrop F-5 è ancora in
servizio in molte aviazioni del globo perché fu un aereo “nato
bene”, ossia leggero, maneggevole e veloce: l’unica sua pecca – se
così si può dire – fu quella d’avere come “nemici” Mc
Donnel Douglas e Grumman,
il “Gotha” dell’industria aeronautica americana, che riuscirono a
bloccare la costruzione del suo successore – il Northrop
F-20 Tigershark – a tutto vantaggio dell’F-16.
Ciò nonostante, proprio per la bontà dell’F-5,
l’aereo – adottato sì dall’USAF ma non con troppa convinzione –
fu venduto in moltissimi esemplari soprattutto in Oriente, anche in
Iran.
Oggi Teheran sta costruendo l’Azarakash,
ossia un F-5 sul quale viene
verosimilmente montato il sistema di combattimento del Mig-29 (probabilmente quello della versione M, in grado
d’utilizzare anche le ultime generazioni di missili “lancia e
dimentica”): con le prestazioni dell’F-5
e l’elettronica del Mig-29,
si tratta di un velivolo in grado di dare parecchio filo da torcere ai
migliori aerei in servizio.
Finito?
Manco per idea.
Se
non bastava l’Azarakash,
ecco lo Shefaq – un velivolo
più leggero, destinato all’addestramento ed
all’attacco/intercettazione – che parrebbe però costruito con
materiale radar assorbente! L’aereo sembra nato da una
“re-interpretazione” iraniana d’alcuni velivoli Yf-17
americani che l’amministrazione Reagan cedette all’Iran nel quadro
dell’affare “Iran-Contras”[3].
Altri, invece, ci vedono la “mano” della Sukhoi
russa, giacché assomiglia molto ad un velivolo di quella casa: comunque
osserviamo la cosa, un velivolo ad alte prestazioni vola ed è prodotto
in Iran.
Infine,
durante le recenti manovre chiamate “Blow of Zolfaqar'” – svoltesi
all’inizio di settembre del 2006 – il comandante in capo
dell’aeronautica iraniana – l’ayatollah Salesi – ha dichiarato
che il nuovo cacciabombardiere denominato Saeqeh
“ha effettuato una missione di bombardamento contro obiettivi nemici
simulati[4]”.
Altre fonti affermano che durante le stesse manovre sono state
sperimentate nuove bombe da
Dalle
immagini rilasciate, ciò che colpisce è la modernità dei piani di
coda dei velivoli, che denotano la propensione per alti angoli
d’attacco ed una notevole maneggevolezza a bassa quota. Di più –
vista la grande “riservatezza” iraniana – non si può dire.
Ovviamente
non si può fare completo affidamento su tutte queste notizie, ma un
dato è certo: l’Iran ha un’industria aeronautica nazionale che
produce ed ammoderna velivoli ad alte prestazioni, cosa che solo una
manciata di paesi, nel pianeta, sa fare. L’Italia, tanto per essere
chiari, non fa parte di quella “manciata”[5].
Questi aerei sono da poco entrati in produzione in Iran (sicuramente
l’Azarakash) e non potranno
ancora mostrare le loro potenzialità in una possibile guerra a breve
termine, però l’importanza di simili programmi deve far riflettere:
qual è, oggi, il livello tecnologico dell’Iran?
Sicuramente
l’assistenza russa e cinese è stata determinante per raggiungere
questi risultati, però il supporto non è sufficiente – per costruire
un’industria aeronautica nazionale – se il bagaglio tecnologico di
un paese non è adeguato[6].
La vendita dei modernissimi sistemi contraerei russi Tor-M1, dei radar S-300
(che “vedono” gli aerei stealth
americani) e dei missili antinave russi Mosquito
non serve a nulla se non c’è personale addestrato ad usare questi
sofisticatissimi sistemi d’arma.
Ne
sono la prova – in modo assolutamente opposto –
La prova? Tre o quattro modernissime navi israeliane sono state
danneggiate od affondate da missili iraniani lanciati da Hezbollah:
due più due fa soltanto quattro, e non tre o sei come vorrebbero farci
credere.
Proprio
in questi giorni, l’amministrazione Bush ha concesso ad Israele uno
stanziamento extra di 500 milioni di dollari per ammodernare le sue
forze armate. Non ci è dato sapere se Tel Aviv utilizzerà quei soldini
per rimettere a posto le ferite causate dalla sciagurata avventura
libanese, oppure per tentare di recuperare il gap tecnologico che l’ha
vista perdente nei confronti della tecnologia iraniana.
Allo stato dell’arte, quindi, è abbastanza improbabile che Tel Aviv
tenti il “colpo gobbo” nei confronti dei siti nucleari iraniani
(come in passato era stato senz’altro prospettato), perché le brutte
(per Israele) “novità” scoperte in Libano non consentono ai soli
israeliani un attacco all’Iran.
Diverso
è il caso degli USA – che potrebbero invece meditare un attacco a
sorpresa, proprio per evitare che nel volgere di pochi anni l’Iran
diventi non solo più forte militarmente, bensì che si proponga come
fornitore di tecnologia militare nell’area – e le notizie di una
Task Force in navigazione verso il Golfo Persico sono quindi coerenti.
Ciò non significa che l’attacco sia già stato deciso; all’interno
del Pentagono sta avvenendo una vera e propria “faida” fra i
generali (capeggiati da Abizaid) e Rumsfeld: la “madre di tutte le
faide”, per dirla con Saddam Hussein.
Per ora Bush – pur propendendo per “l’interventista” Rumsfeld
– non ha ancora probabilmente deciso nulla; troppe sono le voci
contrarie ad un attacco all’Iran: la stessa Rice è molto dubbiosa.
I
tempi però stringono: alle prossime elezioni di novembre – sempre che
le elezioni non siano la solita farsa gestita con le “macchinette”
della Diebold – Bush perderà
molto probabilmente la maggioranza al Congresso e numerosi esponenti
democratici stanno andando all’attacco della Casa Bianca, chiedendo
commissioni d’inchiesta sull’Iraq e sempre più frequenti audizioni
di militari.
Questo mese di ottobre sarà quindi decisivo per la vicenda iraniana
(laddove anche le marmotte hanno compreso che le centrali nucleari non
c’entrano niente): un Presidente sempre più solo, che deve fare i
conti con il fallimento acclarato della sua politica, come reagirà?
Accetterà d’andarsene in silenzio e di ricevere un giudizio storico
non certo esaltante, oppure adotterà anch’egli la massima “Dopo di
me, il diluvio”?
Speriamo vivamente che scelga la prima opzione, perché non sappiamo fin
dove le acque potrebbero arrivare.
Carlo
Bertani bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
[1]
“Ciò
significa che l’F-15 Eagle è complessivamente in svantaggio
rispetto al SU-27: per ottenere buone probabilità di successo, gli
Eagle devono poter contare sull’assistenza di aerei AWACS (per
intraprendere il combattimento da una posizione vantaggiosa), su un
superiore addestramento dei propri piloti e su contromisure
elettroniche efficaci. Tre fattori che non sempre sono scontati. E
difatti in alcune recenti esercitazioni con le forze aeree indiane
(equipaggiate di Flanker) gli F-15 dell’USAF, che nell’occasione
non potevano contare su velivoli AWACS né su sistemi ECM, hanno
perso il 90 % dei combattimenti aerei simulati oltre il raggio
visivo (BVR).” Fonte: http://www.aereimilitari.org/Aerei/Su-27.htm
[2]
Alcuni analisti sospettano che ai
comandi dei velivoli etiopi ci fossero piloti “etiopskji”.
[3]
La vicenda è piuttosto fosca:
sembra che a metà degli anni ’80, l’amministrazione americana
volesse rinforzare l’Iran per fare in modo che la guerra contro
l’Iraq diventasse una sorta di “confronto infinito”, tale da
assorbire le risorse d’entrambi i paesi ed impedire la loro
modernizzazione interna.
[4]
Fonte: agenzia IRNA, 6 settembre
2006.
[5]
Se qualcuno avesse dei dubbi al
riguardo, lo inviterei ad approfondire la vicenda dell’AMX –
velivolo italo-brasiliano per l’attacco al suolo – del quale
sono caduti in esercitazione 17 esemplari, a causa della scarsa
potenza del propulsore: una evidente carenza nella progettazione. La
vicenda è costata la morte di parecchi piloti ed addirittura il
sequestro degli stessi velivoli da parte della Magistratura (unico
caso al mondo).
[6]
Diedi
notizia dei nuovi programmi iraniani già nel 2002 nel libro che
scrissi sugli equilibri militari dell’area. C. Bertani – M.
Bottarelli – L’impero
colpisce ancora – Malatempora – Roma –
2002.