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Sete di profitto - Le banche mettono le mani
sull’acqua
di
Roberto
Cuda – tratto da “Valori”
- Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
Visto
su http://www.informasalus.it/it/articoli/sete-profitto-banche-mani-acqua.php
"Chiare,
fresche, dolci acque. E redditizie"
Il
mondo della finanza, istituti di credito in testa, non si lascerà
sfuggire l’occasione d’oro offerta dal governo, che ha dato vita ad
una privatizzazione forzata del comparto idrico. Che dovrà concludersi
entro il 2015.
Chiare, fresche, dolci acque. E redditizie. Senza fare troppo rumore, le
banche stanno mettendo le mani su una delle risorse vitali del Paese (e
del mondo intero). Dopo aver acquisito piccole quote nelle principali
società idriche del settore, ora si avvicina il momento di fare il
grande salto. Restano due ostacoli da superare: le tariffe (troppo
basse) e il referendum per l’acqua pubblica.
Poi
sul resto ci si può mettere d’accordo. La svolta è arrivata con
l’operazione San Giacomo, nuovo polo dell’acqua controllato da Iren
(frutto della fusione tra la ligure-piemontese Iride e l’emiliana Enìa)
in partnership con F2i, il fondo di private equity guidato da Vito
Gamberale e partecipato al 55% da Intesa SanPaolo, Unicredit, Merryl
Lynch e sette fondazioni bancarie. F2i nella nuova società – che ha
inglobato la genovese Mediterranea delle Acque – avrà una quota del
35%, con l’opzione di salire al 40%. Altro socio di rilievo con l’8%
è la Cassa Depositi e Prestiti, a sua volta partecipata al 30% dalle
stesse fondazioni.
Manovre
che segnalano gli appetiti del mondo creditizio verso un boccone troppo
ghiotto per farselo sfuggire, specie in periodi di vacche magre. E il
ministro per le Politiche europee, Andrea Ronchi, lo ha offerto su un
piatto d’argento con un decreto del 2009, poi convertito in legge,
avviando una vera e propria privatizzazione forzata del comparto.
Infatti entro il 2015 i comuni dovranno scendere al 30% nelle società
quotate in Borsa (al 40% entro giugno 2013), mentre nelle aziende a
totale capitale pubblico l’azionista privato dovrà salire al 40%
entro quest’anno. In caso contrario scatta l’obbligo di gara per
l’affidamento del servizio.
Una rivoluzione per il settore, che riverserà in Borsa partecipazioni
per oltre due miliardi di euro nei prossimi tre anni e mezzo, rimettendo
in gioco gli attuali assetti proprietari. Sempre che il referendum non
rovini la festa.
Il
cappio dei debiti
Intanto sui pacchetti in
vendita hanno messo gli occhi tutti: banche, gruppi industriali (in
primis Caltagirone, già azionista di rilievo di Acea), fondi di
investimento, fondi pensione, fondazioni bancarie, ma anche organismi
pubblici come Cassa depositi e prestiti e veicoli come F2i. I Comuni dal
canto loro potrebbero cogliere l’occasione per dare un po’ di
ossigeno alle casse, in sofferenza per il taglio ai trasferimenti,
cedendo quote anche superiori alla soglia imposta per legge.
Le
banche tuttavia sono avvantaggiate sui competitor grazie agli intrecci
finanziari già in essere, che legano a doppio filo le sorti del settore
agli interessi degli istituti. Le sole società quotate hanno debiti
bancari per 6 miliardi di euro, su 9 miliardi di capitalizzazione, che
fruttano ogni anno dai 240 ai 360 milioni di interessi (prelevati
direttamente dalle bollette dei cittadini). Una spada di Damocle che
peserà non poco nel processo di privatizzazione, quando cioè si
tratterà di collocare le partecipazioni sul mercato. In prima fila
svetta Intesa SanPaolo, seguita nell’ordine da Banco Popolare,
Unicredit, Dexia Crediop, Mps e Bnp (che controlla Bnl): sono loro che
tengono le briglie del debito nel comparto idrico, ben in grado di
influenzare le scelte strategiche delle aziende clienti. E saranno loro,
con tutta probabilità, a contendersi la torta.
«Sul piatto ci sono soprattutto le imprese del Nord, più ricche ed
efficienti», continua Lembo, segretario nazionale del Comitato
italiano per il Contratto mondiale dell’acqua.
Inoltre, continua Lembo, «mentre in regioni come la Toscana,
l’Umbria e l’Emilia le tariffe sono già aumentate, in Lombardia e
Veneto ci sono margini molto più ampi. Ma per ora le banche mantengono
uno stretto riserbo sull’argomento, visti i nostri tentativi (andati a
vuoto) di avere qualche chiarimento».
Del
resto i rischi sono bassi e il rendimento è garantito per legge. Già
nel 2006, infatti, la normativa stabilisce una remunerazione minima del
7% sul capitale investito, da incorporare nelle tariffe.
«Ma si tratta appunto di una soglia minima - continua Lembo - destinata
con tutta probabilità a salire, visto che in Italia la tariffa media è
circa la metà di quelle europee. La stessa remunerazione viene
garantita ai fondi pubblici, ad esempio quelli erogati da Cassa Depositi
e Prestiti, quando i tassi applicati da quest’ultima agli enti locali
si attestano oggi intorno al 3%. Una norma iniqua, di cui abbiamo
chiesto l’abrogazione per via referendaria». Nel 2009 F2i ha
assicurato agli investitori un rendimento medio del 15%, al di sotto del
quale difficilmente scenderà in futuro se vuole continuare a
rastrellare capitali.
A
pesare saranno anche gli interventi per chiudere le falle di una rete
non proprio in ottimo stato – si stimano non meno di 50 miliardi di
euro nei prossimi 15 anni – che aumenteranno i debiti delle
multiutility e faranno lievitare i prezzi. È questo un nodo cruciale
dei processi in atto, come spiega Andrea Gilardoni, docente di Economia
e gestione delle utilities all’università Bocconi di Milano: «Il
settore idrico è oggetto di grande attenzione, ma richiede grossi
investimenti, che la pubblica amministrazione non è più in grado di
sostenere. Il fabbisogno è di gran lunga superiore alle risorse
disponibili e non resta che il ricorso alla finanza privata per riparare
le reti e garantire una gestione efficiente delle varie fasi, dal
trasporto alla depurazione, dal riciclo al trattamento fognario. Le
nuove normative europee, d’altro canto, impongono parametri
qualitativi dai quali non possiamo prescindere».
Il
nodo tariffe
Le tariffe saranno,
dunque, il vero spartiacque di un ingresso in forze della finanza
privata. «Banche e fondi intervengono solo se hanno ritorni adeguati
- conferma Gilardoni - e dunque servono prima regole chiare e
trasparenti, come è già avvenuto nel settore elettrico, a partire
dalle tariffe. Le banche finora hanno mostrato prudenza, proprio a causa
dell’incertezza normativa e del malfunzionamento del sistema degli Ato.
Per contro la natura del servizio idrico potrebbe garantire rendimenti
costanti che, soprattutto in periodi di crisi, costituiscono un asset
importante. Si tratta insomma di investimenti con rischi contenuti, meno
sensibili ai cicli dei mercati finanziari».
È
d’accordo Giampaolo Attanasio, associate partner di Kpmg specializzato
nel settore energy e utility: «L’interesse degli investitori per
il comparto è legato al buon rapporto tra rischio e rendimento e a una
remunerazione comunque superiore a quella dei titoli pubblici. Tuttavia
la mancanza di chiarezza normativa e il basso livello delle tariffe
ostacolano l’afflusso di capitali privati. Molti preferiscono
aspettare, in attesa di una netta separazione tra patrimonio e gestione
del servizio e di un maggiore consenso sugli aumenti tariffari. In ogni
caso un eventuale ingresso delle banche non avverrà direttamente, ma
attraverso fondi infrastrutturali come F2i, che potrebbero attrarre gli
investimenti mettendo in gioco una reale competenza nel settore. Per il
resto molto dipenderà dall’esito della crisi, per nulla scontato.
Quando le quote dei Comuni verranno messe sul mercato potremmo trovarci
di fronte ad un’economia in ripresa oppure ad uno scenario giapponese,
di stasi: situazioni molto acquirenti».
Intesa
Sanpaolo sembra aver fiutato prima degli altri l'affare
Dai documenti contabili
risulta, infatti, la banca di gran lunga più esposta sul settore
idrico. Azionista al 10% di Acque Potabili (provincia di Palermo), al
3,6% di Acegas e al 3% di Iren, compare tra i grandi finanziatori di
tutte le multiutility quotate in Borsa.
Acegas,
Acque Potabili, Acsm Agam, Hera, Iride ed Enìa registrano debiti a
breve e medio-lungo termine intorno ai 420 milioni di euro verso Intesa,
oltre il doppio dei volumi di Unicredit. Acea e A2A non forniscono il
dettaglio dei creditori, ma sappiamo che la banca guidata da Corrado
Passera intrattiene rapporti privilegiati con entrambi. Nel marzo 2010
essa garantì il collocamento di un prestito obbligazionario Acea pari a
500 milioni di euro, insieme a Bnp, Mediobanca, Mps e Unicredit, mentre
nove mesi dopo compare tra i collocatori di obbligazioni A2A per 1
miliardo di euro, insieme a Bnp, Mediobanca, Banco Bilbao e Calyon. Nei
prospetti di entrambe le aziende, depositati alla Borsa del Lussemburgo
(paradiso fiscale nel quale è avvenuta l’emissione), si precisa che
gli istituti “e le rispettive affiliate sono impegnati, e potrebbero
esserlo in futuro, in attività di banca d’investimento, banca
commerciale (inclusa l’erogazione di prestiti agevolati) e altre
transazioni correlate con le imprese emettitrici e le proprie affiliate
e potrebbero prestare servizi per esse”.
Intesa
è anche uno dei grandi investitori di F2i, il fondo entrato
prepotentemente nel mercato idrico con l’operazione San
Giacomo-Mediterranea delle Acque, ma non disdegna interventi di minor
cabotaggio in diversi Ato. Nel 2009 ha partecipato alla concessione di
un prestito in pool alla società Multiservizi, che ha in appalto il
servizio idrico dell’Ato di Ancona per la realizzazione degli
investimenti previsti dal Piano d’Ambito, e ha acquisito un mandato
per un finanziamento all’Ato di Novara, in attesa del quale ha
concesso un prestito ponte in pool con altri istituti. Nel 2008 si
segnala la prosecuzione dell’attività di advisory verso la Gori Spa,
concessionaria per il servizio idrico dell’Ato Sarnese Vesuviano.
Nelle relazioni di bilancio dei due anni precedenti emergono rapporti
con l’allora Smat di Torino, a garanzia di finanziamenti della Banca
Europea per gli Investimenti, e con la Telete per progetti relativi al
ciclo idrico dell’Ato 1 Lazio Nord-Viterbo e dell’Ato 3 Umbria,
nonché un’operatività “di particolare rilievo” con le principali
aziende del nord Italia, quali Aem Milano, Hera, Asm Brescia e Iride