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L'acqua:
una sorgente d'affari
Di Alessandro Taballione -
Scuola di Giornalismo RadioTelevisivo Perugia
www.sgrtv.it
La
guerra è cominciata. nel nome della globalizzazione, in ogni angolo del mondo.
Le multinazionali hanno fiutato il business del nuovo secolo: le risorse idriche
del mondo scarseggiano e sono mal distribuite. Quindi l'acqua sta diventando un
bene prezioso.
Come il petrolio. E chi lo controllerà avrà potere e profitto. Parole d'oro
per le multinazionali. Che non hanno perso tempo. E hanno sferrato il loro
attacco. Scatenando una battaglia tra giganti, che calpestano, quasi fossero
fastidiosi moscerini, diritti ed esseri umani.
La
posta in gioco
Dal controllo sulle acque minerali alla battaglia per la gestione degli
acquedotti, dalla costruzioni di dighe alla privatizzazione dei bacini idrici.
Quella per l'acqua è una guerra discreta, che non si combatte con gli eserciti,
che non si alimenta del fragore delle bombe, ma si decide nelle stanze
silenziose di pochi grattacieli. Quelli del FMI (Fondo Monetario
Internazionale), del WTO (OMC: Organizzazione Mondiale del Commercio), della
Banca Mondiale e delle multinazionali.
La
dichiarazione di guerra
Lo scontro è aperto e la dichiarazione di guerra ha una data ed un luogo
precisi: 2000, l'Aja, 17-22 marzo, data del 2° Forum mondiale sull'acqua.
Voluto dal Consiglio mondiale sull'acqua, un organismo nato nel 1994 su
iniziativa della banca mondiale, il Forum ha affrontato il problema delle
risorse idriche, trovando una soluzione "globale". L'acqua cambia
status: da diritto umano (svincolato dalle leggi di mercato) diventa un bisogno
umano, che quindi può essere regolato dalle leggi della domanda e
dell'offerta. Dal mercato. Quindi la parola d'ordine è privatizzare.
La dichiarazione di guerra.
I giganti che si contendono di privatizzare il nascente mercato dell'acqua sono
soprattutto europei: le aziende francesi Vivendi e Suez-Lyonnais des Eux (ora
Ondeo), la tedesca RWE. E poi i colossi Nestlé e Danone, l'americana Coca Cola.
Ma anche l'italianissima ACEA concorre alla spartizione della torta: le bollette
che pagano i cittadini di Erevan, capitale dell'Armenia, finiscono nelle casse
del Comune di Roma, titolare del 51% delle azioni dell'ACEA, che gestisce
l'acquedotto locale.
Le
vittime senza colpe
Questa concorrenza spietata si sta sviluppando soprattutto nel sud del mondo,
nei paesi dell'America Latina e dell'Africa, ma non solo.
Giacarta, Manila, Casablanca, Dakar, Nairobi, La Paz, Città del Messico e
Buenos Aires, sono soltanto alcune delle città in cui l'acqua adesso è
privatizzata. Ma non c'è da stupirsi: in Inghilterra, la privatizzazione
dell'acqua è stata introdotta dal 1989 e le imprese Thames Water e Seven-Trent
che la gestiscono, operano a livello internazionale da molto tempo. In Francia,
dove la privatizzazione è vista come delega del servizio pubblico, si è avuto
un aumento medio del prezzo dell'acqua del 50%, a Parigi in particolare del 54%.
Con trovate anche bizzarre: l'estate scorsa nella capitale francese, la "cloud
water", l'acqua delle nuvole veniva venduta a 35 franchi alla bottiglia.
Nel frattempo la Danone ha acquistato la gestione di tre sorgenti: una in
Indonesia una in Cina e negli Stati Uniti. la Nestlè ha cominciato a
commercializzare un'acqua "purificata" in Pakistan.
Il
lato oscuro della globalizzazione
Questo tipo di sviluppo è sostenuto dagli organismi economici mondiali. In
alcuni casi il Fondo Monetario internazionale e la Banca Mondiale hanno
subordinato la concessione di prestiti a paesi poveri in cambio della gestione
dei servizi idrici a società private estere. Casi del genere si sono avuti in
Bolivia, a Cochabamba, a Manila nelle Filippine, in Cina. Sarebbe a dire:
"noi vi diamo i soldi, ed in cambio ci prendiamo solamente la gestione,
esclusiva, della risorsa più importante per vivere".
Qualcuno lo chiamerebbe ricatto. Ma è "solo" il lato più sporco
della globalizzazione.
Anzi, per la precisione, di questa globalizzazione.