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La
petrolizzazione dell'acqua
All'Aja
ha vinto la mercificazione della vita
di Riccardo Petrella dal sito www.cipsi.it
I
fautori della "petrolizzazione" dell'acqua hanno vinto al 2° Foro
Mondiale dell'Acqua tenutosi all'Aja dal 17 al 22 marzo scorso. Malgrado
l'opinione largamente diffusa fra i 4.600 partecipanti, favorevole al
riconoscimento dell'accesso all'acqua per tutti come un diritto umano e sociale
imprescrittibile, i rappresentanti governativi di più di 130 Stati hanno
adottato una Dichiarazione ministeriale nella quale non fanno alcun riferimento
al principio del "diritto umano" ma affermano che l'accesso all'acqua
per tutti deve essere solo considerato come un "bisogno vitale".
Inoltre, in coerenza con tale affermazione, hanno sostenuto che per assicurare
una gestione "efficace" dell'acqua in tutto il mondo questa deve
essere oramai considerata principalmente, come un "bene
economico" (e non solo come un "bene sociale"), il cui valore
deve essere determinato sulla base del "giusto prezzo", fissato del
mercato nell'ambito della libera concorrenza internazionale, secondo il
principio del recupero del costo totale
Mai,
prima dell'Aja, la mercificazione dell'acqua e la via libera alla sua
privatizzazione avevano fatto l'oggetto di una legittimazione politica cosi
esplicita, chiara e mondiale. Eppure, nel 1977, in occasione della prima grande
conferenza delle Nazioni Unite sull'Acqua (a Mar del Plata in Argentina), i
governi dell'epoca avevano affermato che "tutti gli esseri umani hanno il
diritto di accedere all'acqua potabile". Ciò fu ribadito dalle Nazioni
Uniti nel 1981 allorché lanciarono il "Decennio internazionale
dell'acqua". Addirittura, gli Stati membri dell'OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) si dettero nel 1984 come "obiettivo 20" di una
Politica per la Salute per tutti di fare in modo che "nell'anno 2000, tutte
le popolazioni dispongano di un approvvigionamento soddisfacente d'acqua
potabile"
La
realtà è, in effetti, che le scelte politiche di società dei nostri
dirigenti, soprattutto a partire della metà degli anni '80 – inizio anni '90,
non sono più quelle degli anni '60 e '70. Già alla conferenza internazionale
sull'acqua e l'ambiente di Dublino, nel 1992, la svolta politico-ideologica è
evidente : secondo i ministri dell'epoca il quarto principio fondamentale di una
politica mondiale dell'acqua è di considerare l'acqua come un bene economico; e
di precisare che il diritto ad un'acqua salubre ed ad una igiene adeguata
implica la fissazione di un prezzo "abbordabile".
All'Aja
ha vinto l'alleanza-collusione tra le tre componenti sociali della nuova
"classe dirigente mondiale", emerse nel corso degli ultimi trent'anni.
La prima componente è rappresentata dai dirigenti economici, finanziari e
tecnici delle 40.000 imprese multinazionali i cui interessi e le cui strategie
pesano enormemente sull'evoluzione del mondo. Questa componente era
massicciamente presente, ed influente, all'Aja attraverso la Suez-Lyonnaise des
Eaux, Vivendi, Biwater, Nestlé, Nuon, ecc. La seconda è rappresentata dai
dirigenti politici nazionali ed internazionali, la grande maggioranza dei quali
ha adottato non solo il linguaggio ma anche i valori di cui sono portatori i
paladini di una società capitalista di mercato mondializzata, liberalizzata,
deregolamentata, privatizzata, competitiva. I ministri firmatari della
Dichiarazione dell'Aja non hanno fatto eccezione alla regola. Hanno firmato
senza gran discussione tra loro. Ora, il testo della Dichiarazione e gli
importanti rapporti "ufficiali" distribuiti al Foro, sulla base
dei quali la Dichiarazione è stata elaborata, furono redatti dai rappresentanti
della terza componente, cioè dal gruppo di "tecnocrati mondiali"
(scienziati, esperti, alti funzionari d'organizzazioni internazionali, esponenti
del mondo dei media...) riuniti precisamente in "Comitati",
"Commissioni", "Panels", senza uno statuto
giuridico-politico chiaro, a cui però sono delegate, o che si arrogano, a
livello mondiale, "poteri" e funzioni d'associazione, d'animazione,
d'orientamento e di decisione "politica" determinanti. All'Aja è
stato il caso del "Consiglio Mondiale dell'Acqua", del "Global
Water Partnership", della "Commissione Mondiale dell'Acqua per il 21°
secolo", organismi notoriamente creati o sostenuti dalla Banca Mondiale.
Da
una decina d'anni, l'alleanza-collusione tra le tre componenti ha spinto le
nostre società a sacralizzare la logica del capitale merce e del capitale
finanziario. Tutto diventa mercato ed è ridotto ad una merce, compresa la vita
e compreso il diritto alla vita. Affermare che l'accesso all'acqua non è un
diritto umano e sociale ma piuttosto un bisogno vitale da soddisfare ad un
prezzo "abbordabile" sul mercato, significa negare il diritto alla
vita a più di 1,6 miliardi di persone che secondo l'OMS non hanno oggi accesso
all'acqua potabile sana e negarlo, altresì, ai più di tre miliardi che nel
2020 non avranno la possibilità di pagare nemmeno il prezzo
"abbordabile". Inoltre, lasciare al mercato ed al capitale privato la
responsabilità di gestire l'accesso al "bisogno vitale", rappresenta
da parte dei poteri pubblici un atto di abbandono del loro ruolo di promotori e
di garanti dei diritti umani e sociali. Significa anche dare via libera alle
"guerre di conquista dell'acqua del mondo"
La Dichiarazione dell'Aja costituisce un forte regresso sul piano dei diritti umani e sociali. Simbolicamente dà la misura di ciò che è capace di fare la nuova classe dirigente mondiale. E' tempo d'organizzare su scala mondiale la difesa, la riconquista e la promozione del diritto alla vita per tutti. Questo sarà l'obbiettivo della "Campagna Mondiale per il Diritto Umano all'Acqua" che sarà lanciata entro la fine dell'anno in Italia ed in altri paesi dei cinque continenti dal Comitato per il Contratto Mondiale dell'Acqua