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E se la SARS
fosse solo una strategia?
Di Gianluca
Ferretti - 1 luglio 2003 "Il Nuovo"
Era l'epidemia
mondiale che doveva segnare le nostre vite future. Ma ora è finita. Il
sospetto: che sia una costruzione mediatica per indebolire potenze emergenti.
Come la Cina, per esempio.
Dopo aver spalleggiato e poi superato i fasti
mediatici della guerra in Iraq, ora riempie lo spazio di scarni trafiletti che
ne annunciano la sparizione. Titoli sempre più piccoli e notizie sempre più
scarse. Prima che tutto venga dimenticato è bene porsi qualche domanda.
Storditi da previsioni catastrofiche e da cifre altalenanti di contagi e
decessi, abbiamo perso di vista l'ampiezza di tutta la storia. C'è stata
veramente un'epidemia? Il numero di morti era realmente così alto da far
tremare le strutture sanitarie mondiali, le borse economiche e far vacillare
intere compagnie aeree?
A partire dal 1 novembre 2002 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha
segnalato 8460 casi di Sars nel mondo, con 808 morti, con un tasso di mortalità
del 8,5%. Il Canada ha avuto 250 casi con 37 morti. La Cina, in base al tasso di
mortalità, era due volte più sicura del paese nordamericano. Ma tutti
scongiuravano di non andare a Pechino o a Hong Kong. Colpisce poi che, uno dei
sistemi di sanità migliori al mondo, sia stato così duramente colpito. Il
punto è che la realtà non è questa. Basta visitare il sito del Ministero
della Sanità canadese, Healt Canada, per scoprire che un rapporto del 2002 ha
calcolato che solo l'influenza stagionale può causare dalle 500 alle 1500
vittime all'anno. Poi in realtà, solo nel 1997, ultimo dato certo disponibile,
i decessi sono stati più di settemila. In Canada si devono temere molto
di più le valanghe. Per non parlare della Cina, dove nel 1996 hanno causato
3000 morti e cinque milioni di senza tetto. Tutte queste informazioni sono
assolutamente pubbliche, nonostante ciò George W. Bush ha aggiunto la Sars alla
lista delle malattie per le quali è necessaria la quarantena con l'ordine
esecutivo n.13295; è insolito per un paese che non ha contato nemmeno un
decesso tra i suoi abitanti.
Allarmismi del genere, in realtà, non sono nuovi. La mucca pazza ci ha fatto
impazzire per mesi. Il virus dell'AIDS ha un andamento ciclico, sempre più
diradato. Nasce il sospetto che qualcosa non quadri. Il dottor Leonard Horowitz,
autore del libro, Virus emergenti: AIDS & Ebola, incidenti o intenzionali? e
Morte nell'aria: Globalizzazione, terrorismo e guerra tossica , ritiene che
questo attacco virale senza precedenti è, alternativamente, o un ingegnoso
esperimento del bioterrorismo istituzionalizzato o una mossa per il controllo
psicosociale diffuso. Al di là dei facili complottismi, crediamo piuttosto che
il problema sia diverso. Non pensiamo che qualcuno abbia creato la Sars, per
materializzare un demonio globale. Ma che la Sars possa funzionare, una volta in
essere, come strategico meccanismo, è più plausibile. Essa è utile per
rafforzare l'idea del male che perseguita il mondo (terrorismo, guerre,
distruzione), è utile per indebolire delle potenze emergenti (la Cina, in
primis), è utile per un controllo delle coscienze. Ma non vediamo nessun
burattinaio che muove i fili, oramai i burattini si muovono da soli.
Un ruolo fondamentale si deve riconoscere ai mass media. Il dibattito in
proposito è vasto e le voci discordi. Partiamo dagli ortodossi. Il filosofo e
sociologo Jean Baudrillard sostenne durante il primo conflitto del Golfo che la
guerra non c'era mai stata. I fatti erano stati distrutti dalla non realtà
della televisione. Si sente l'eco delle "teorie critiche di scuola
francofortese" sulla qualità mistificatoria e ingannatrice dei mass media
che, secondo il sociologo dei media Alberto Abruzzese, "hanno funzionato da
straordinario dispositivo di controllo politico e istituzionale sui mutamenti
sociali, assicurando ai linguaggi tradizionali la possibilità di esercitare la
propria autorità sui linguaggi innovativi, il diritto di interpretarne il
significato, il destino, il valore". I grandi protagonisti della questione
sono la realtà e l'apparenza, il vero e la sua mistificazione. Ma nei termini
degli studiosi la grande opera ingannatrice pare essere "il velare la verità",
il falsificare i fatti. Pare invece che la questione, nel nostro caso, sia
quella di creare il fatto.
La falsificazione della realtà, non è una novità dei giorni nostri. Questo
processo basato sul potere della tecnologia della comunicazione è diventato
necessario con i processi di massificazione e di socializzazione della civiltà
industriale e metropolitana: telefono, fotografia, radio e televisione. Quando
il cinema documentarista inglese, nei primi anni trenta del '900, volle
restituire la realtà, così com'era, dovette inventarsi un linguaggio per farlo
e agì sulla realtà, perché non bastava puntare la macchina da presa e
girare. Le forme di rappresentazione e comunicazione del linguaggio, sia questo
parlato, scritto, figurativo o audiovisivo, "sono falsificazioni
socialmente significative, cioè frutto di conflitti e negoziazioni tra diversi
soggetti e poteri". Si tratta di comprendere la natura che certe strategie
espressive hanno assunto nei loro contesti sociali ricorrendo a innovazioni
tecnologiche adeguate ai loro scopi. Dopo la mondializzazione operata dal
Cristianesimo, dopo la mondializzazione operata dalle Merci, siamo totalmente
dentro la mondializzazione operata dai Media.
È così che la società di massa si è servita e ancora si serve - questo è il
ruolo della tv generalista - di simulacri collettivi, elaborati per far vivere
grandi narrazioni comuni, per creare legami e memorie, mercati e relazioni.
Queste sono le "finzioni" di cui necessita un sistema comunicativo
predisposto per sempre più estesi flussi sociali. Quei poteri che un tempo
erano di una classe dominante che sentiva di condividere gli stessi valori
politici, estetici ed etici, tra di loro fortemente connessi, in grado cioè di
funzionare l'uno attraverso l'altro da modello di riferimento, da autorità
interiorizzata, da regole di comportamento, sono ora in mano al sistema dei
media.
Così, quando in Tv uomini con la mascherina sul viso, dicono che un'epidemia
mortale si sta diffondendo, generano dei modelli di riferimento e comportamento.
Chi ha interesse ad agire su questi modelli sa come sfruttarli, dove far pesare
l'ago della bilancia. Ma è il sistema che lo rifornisce. Quello che dà, poi
toglie. E siamo così reattivi nel cambiare il nostro punto di attenzione, che
presto possiamo essere catturati da un altro evento. Del primo, alla fine, non
ci resta che uno sbiadito ricordo.
(1 luglio 2003, ore 18,27)