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United S.A.R.S. of Amerika
I padroni della S.A.R.S. - La vera storia del virus
per gentile concessione della rivista mensile "La Voce della Campania"
Di Rita Pennarola
CHE LA TERZA GUERRA
mondiale sarebbe cominciata "con uno starnuto" l'aveva già
detto qualche anno fa un Bill Clinton in apparente vena di humour nero,
ma in realtà con una lungimiranza che oggi fa ghiacciare il sangue.
Perché la tremenda epidemia di SARS, la sindrome respiratoria acuta,
definita anche polmonite atipica, potrebbe essere niente altro che un
nuovo, premeditato e "preventivo" atto di quel conflitto
planetario destinato a liberare il campo da ogni possibile antagonista o
competitore dell'unica, invincibile superpotenza mondiale.
Mentre infatti la stampa ufficiale, controllata dai forti interessi
economici transnazionali, si affretta a caricare di drammatici
significati la «maledizione biblica» che ha colpito il popolo cinese,
sul web si rincorrono articoli gravidi di indizi sul colossale «atto di
guerra contro la Cina e i Paesi asiatici» lanciato dagli Stati Uniti a
inizio del 2003, quasi in contemporanea con gli ultimatum che hanno
preceduto per settimane l’aggressione all’Iraq.
Nonostante la fitta cortina di coperture giornalistiche, qualcosa
comunque riesce a filtrare anche sulla stampa occidentale. Ha
l’effetto dirompente di una bomba giornalistica, ad esempio,
l’articolo che esce il 15 settembre dello scorso anno sul settimanale
scozzese «Sunday Herald» a firma di Neil Mackay. Alla vigilia della
grande offensiva lanciata contro Saddam Hussein, il giornalista porta
per la prima volta alla luce su un mezzo di larga diffusione un
documento che doveva rimanere segreto: il «Progetto per un nuovo Secolo
americano» (finalizzato al dominio globale statunitense), messo a punto
dallo staff di George W. Bush ancor prima che il boss texano diventasse
presidente degli Stati Uniti, con l’’appoggio dei colossi
petrolchimici americani. A redigere quel documento nel settembre 2000
(un anno esatto prima dell’attacco alle Torri Gemelle) furono, fra gli
altri, l’attuale numero due di Bush Dick Cheney, il sottosegretario
alla Difesa Donald Rumsfeld, il fratello del presidente Jeb Bush e Lewis
Libby, un uomo ombra di Cheney, Sede del Progetto, definito in sigla
PNAC, quella di un giornale di proprietà di Rupert Murdoch, l’uomo
che di fatto concentra nelle sue mani il sistema dei media in America ed
oltre, con propaggini spinte in Italia, grazie all’alleanza stretta
con Silvio Berlusconi.
Ignorato dalla stampa nel nostro Paese, nonostante la pubblicazione sul
popolare settimanale scozzese, quel documento al calor bianco è stato
diffuso in italiano sul web dall’editrice di Bologna «Nuovi Mondi
Media», collegata al sito militante «Information Guerrilla», diretto
da Roberto Vignoli. Un’azione coraggiosa, che ha consentito ad alcuni
segmenti maggiormente impegnati della società italiana di conoscere e
far circolare quelle notizie. E’ il caso dello storico Franco Cardini,
che proprio al delirante piano di Bush & C. per il controllo globale
ha fatto un riferimento durante la puntata di «Porta a Porta» del 22
marzo scorso.
Morte alla Cina
Riletto oggi, a distanza di
oltre sei mesi dalla prima pubblicazione sul «Sunday Herald», quel
Progetto mostra in maniera netta quanto il controllo della Cina fosse
per gli USA di Bush un obiettivo non più rinviabile, soprattutto dopo
l’annessione delle risorse petrolifere del Golfo. E quali metodi già
a settembre 2000 si stessero mettendo a punto per realizzarlo.
«In quel documento – scrive Mackay – si legge che “anche se
Saddam dovesse uscire di scena, le basi nell’Arabia Saudita e nel
Kuwait dovranno restare in maniera permanente – nonostante
l’opposizione locale tra i regimi nei paesi del Golfo alla presenza di
soldati americani – perché anche l’Iran potrà dimostrarsi una
minaccia pari all’Iraq agli interessi statunitensi». Passando in
Estremo Oriente, il Progetto «mette la Cina sotto i riflettori –
continua il giornalista scozzese – per un “cambio di regime”,
aggiungendo che “è arrivata l’ora di aumentare la presenza delle
forze armate americane nell’Asia sudorientale”. Ciò potrebbe
portare a una situazione in cui le forze americane e alleate forniscano
la spinta al processo di democratizzazione in Cina».
Come realizzare questa “democratizzazione” della Cina, in crescita
esponenziale sui mercati (+23 per cento l’anno) ed assai poco incline
a lasciarsi colonizzare dai texani? E in che modo farlo senza aprire
nuovi, palesi conflitti sotto gli occhi dell’opinione pubblica
mondiale sconvolta dai massacri di civili inermi in Iraq? Lo spiega
ancora il «Sunday», citando alcuni brani successivi di quel documento:
«Gli USA – si legge nell’articolo – potrebbero prendere in seria
considerazione, nei prossimi decenni, lo sviluppo di armi biologiche,
che pure sono state messe al bando. Il testo dice: “nuovi metodi di
attacco – elettronici, non letali, biologici – diventeranno sempre
più possibili. Il combattimento si svolgerà in nuove dimensioni, nello
spazio, nel ciberspazio, forse nel mondo dei microbi”». Più in
dettaglio, sono previste «forme avanzate di guerra biologica in grado
di prendere di mira genotipi specifici» e che «potranno trasformare la
guerra biologica dal mondo del terrorismo in un’arma politicamente
utile».
Quell’arma letale oggi si chiama SARS.
E proviene da un ceppo sconosciuto di coronavirus, frutto di un’abile
clonazione tra l’agente patogeno del morbillo e quello della parotite
epidemica. Un «mostro» d’ingegneria genetica, in grado di selezione
esattamente il tipo di DNA da colpire (quello della razza
asiatico-cinese), creato in laboratorio da esperti ai massimi livelli
scientifici. Un esercito, insomma, di soldati invisibili, capaci di
provocare lutti e devastazioni, ma anche crolli dell’economia nei
Paesi in cui sono stati mandati a colpire.
Sergei Koleshnikov, dell’Accademia russa delle scienze mediche, nella
prima settimana di aprile ha espresso analoghe convinzioni durante una
conferenza tenuta ad Jrkutsk, in Siberia. «Un virus composto come
quello responsabile della SARS – afferma l’accademico – non può
formarsi spontaneamente in natura. Può essere creato solo in
laboratorio». «E quando si creano armi batteriologiche – precisa
inoltre – in genere allo stesso tempo si lavora sul vaccino».
L’antidoto, dunque, sarebbe già bello e pronto. Ma verrà reso
disponibile solo al momento “opportuno”.
Con AVI (BioPharma)
si vola
25 aprile 2003. Secondo il
piano di comunicazione messo a punto dalle multinazionali farmaceutiche
che sostengono il governo Bush, scatta l’ora X. La macchina
dell’informazione a stelle e strisce detta alla stampa internazionale
le prime notizie sulla “scoperta” di un farmaco decisivo per
combattere la polmonite atipica.
«USA: farmaco contro la SARS entro
pochi mesi», titola a tutta pagina «Il Corriere della Sera».
Riportando notizie diffuse dal «Times» di Londra, il quotidiano di via
Solforino fa sapere che «i primi esperimenti effettuati dall’Istituto
nazionale di Sanità statunitense su un vaccino realizzato dalla società
americana AVI BioPharma dell’Oregon avrebbero confermato la capacità
del preparato nell’uccidere il virus responsabile della polmonite
atipica, tanto da spingere a realizzarlo entro le prossime due settimane».
Passaggi lampo, dunque, ben diversi da quelli cui è abituata
l’opinione pubblica dopo una scoperta scientifica.
Qualcuno, insomma quell’antidoto doveva averlo già pronto nel
cassetto da tempo. Del resto, risulta proprio una “specialità”
dell’AVI BioPharma quella di selezionare catene di acido nucleico
complementari rispetto a quelle del virus e in grado, quindi, di
bloccarne la riproduzione. Il sistema «antisense», come viene chiamata
questa tecnica, è presente nel materiale illustrativo della potente
multinazionale già da numerosi anni.
Con sede a Portland, nell’Oregon, ed una produzione farmacologia
basata sull’azione di contrasto a virus come quello dell’epatite C o
la famiglia del mutante SARS, AVI già prima che l’epidemia da
polmonite atipica fosse resa nota alla popolazione mondiale presentava
per il 2003 un business plan da capogiro, con fatturati da oltre 1
miliardo di dollari per le sole attività connesse con alla cura dei
coronavirus. Grasso che cola, quindi, l’esplosione della malattia. Al
punto che il 25 aprile scorso «The Business Journal» di Portland
riporta notizie sulla straordinaria performance del titolo AVI BioPharma
(+37 per cento), dovuto all’efficacia delle terapie anti-SARS
prodotte, precisando che anche la compravendita delle azioni si sta
impennando, facendo segnare un +6,6 nell’arco di appena 24 ore.
Amministrata da Denis R. Burger ed Alan P. Timmins, presidente, la
corazzata opera in partnership con investitors del calibro di Exelisis,
DepoMed, XTL Biopharmaceuticals, Medtronic e SuperGen, tutte preveggenti
sigle che negli ultimi anni hanno immesso nelle casse della società
miliardi di dollari in danaro fresco. Nel 2001, nonostante sia stato
l’anno “terribilis” delle Torri gemelle – si legge nella lettera
rivolta agli azionisti – la sola Medtronics ha effettuato investimenti
in AVI pari a ben 10 milioni di dollari, con opzioni per arrivare fino a
100.
Rath in campo
Componente di punta del
Cartello petrolchimico statunitense, AVI fa la sua comparsa sulla stampa
mondiale a fine aprile, come previsto dal «piano terroristico-mediatico»
messo a punto dagli strateghi del governo americano con largo anticipo.
A rivelarne i contorni è un medico tedesco, Matthias Rath, che pubblica
un’intera pagina a pagamento riguardante i «Piani di guerra del
Farmacartello» il 20 marzo scorso, sull’«Herald Tribune» e, due
giorni dopo, sul «Corriere della Sera».
Attraverso il lungo comunicato, ma soprattutto scandagliando fra le
pagine web della Dr. Rath Health Foundation, scopriamo che un libro
uscito nel 1979, «Rockefeller Medicine Men: Medicine and Capitalism in
America», del ricercatore Richard Brown, rivelava fin da allora le
connection fra i trust farmaceutici ed il Rockefeller Group, colosso
delle mediazioni finanziarie transplanetarie.
Intanto anche le notizie sui rapporti tra il Rockefeller Group e la
famiglia Bush, oggi accuratamente coperte dai media, venivano
apertamente riportate in un altro articolo di Sam Howe Verhovek apparso
sul «New York Times» del 13 marzo 1998, alla vigilia della campagna
presidenziale, e ripubblicato sul sito del dottor Rath. Una lunga
inchiesta, dalla quale emerge, fra l’altro, il ruolo chiave svolto dal
gruppo intitolato al magnate americano nella Commissione Trilaterale,
vale a dire la supercupola statunitense composta dai vertici delle Forze
Armate, magistratura, membri del governo in carica ed esponenti della
CIA.
Per chiudere il cerchio, Rath indica che lo stesso Rockefeller Group non
è solo la cassaforte finanziaria del monolite petrolchimico, ma anche
il colosso che regge le sorti economiche dell’informazione, a
cominciare dalla CNN. «E’ così – conclude il medico – che senza
scrupoli hanno imposto la logica del «business with disease»,
disseminando il pianeta di guerre ed epidemie mortali».
MAI
DIRE BLAIR
Le logiche del sistema petrolchimico spiegano
anche, tra l'altro, i motivi reali dell'alleanza di ferro tra Bush ed il
premier britannico Tony Blair, a capo di un Paese che é, dopo gli Usa,
il secondo produttore mondiale di farmaci & affini. La circostanza,
peraltro, veniva già chiaramente indicata dall'infausto Progetto per un
nuovo secolo americano. Nel documento top secret il Regno Unito veniva
infatti descritto come "il mezzo più efficace per esercitare
un'egemonia globale americana", mentre si precisava che le missioni
militari per realizzare tale scopo "richiedono un'egemonia politica
americana e non quella delle Nazioni Unite". Un colpo
"preventivo", quindi, al cuore dell'ONU come organismo di
pace. Nello stesso anno, il 1998, due fra i redattori del Progetto,
Ramsfeld ed il teorico della destra spinta Paul Wolfowitz, scrissero a
Bill Clinton esortandolo alla guerra contro l'Iraq e alla rimozione di
Saddam Hussein, perché "rappresenta un pericolo per una
significativa porzione dei rifornimenti mondiali di petrolio".
Miguel Martinez, il giornalista che ha ripreso e
diffuso il primo articolo del Sunday Herald, aggiunge che "già
alla fine degli anni Cinquanta un vecchio conservatore, il presidente
Eisenhower, metteva in guardia contro la struttura mostruosa che
cominciava a dominare il suo Paese: una coalizione sempre più stretta
fra immense imprese legate alle commesse militari, uno Stato che aveva
come funzione principale la conduzione della guerra ed una sterminata
catena di laboratori dove scienziati, sociologi, tecnici di ogni sorta
lavoravano anno dopo anno per affinare gli strumenti del dominio".
EMBARGO "TURISTICO"
Dopo le rivelazioni del periodico scozzese,
una serie di interrogativi a cascata hanno affollato la mente dei pochi
che, attraverso il web, si sono messi a lavorare per scambiarsi
informazioni o interpretazioni capaci di completare il mostruoso puzzle
di cui, purtroppo, tutte le principali tessere stanno trovando la loro
"giusta" collocazione. Ci si chiede, ad esempio, se le
propaggini canadesi dell'infezione rientrassero nel piano prestabilito,
o se al contrario rappresentino un "incidente di percorso".
Mancano, al momento, risposte attribuibili a
fonti autorevoli. Ma le ipotesi lanciate sulla rete appaiono
notevolmente verosimili. Ecco, ad esempio, alcune considerazioni
pubblicate dal principale sito mondiale della galassia No Global,
Indymedia: "Gli Usa e Israele - si legge in un circostanziato
contributo diffuso lo scorso primo marzo - sono le uniche nazioni
"occidentali" che non hanno attivato realmente quelle
contromisure che sono state realizzate in tutto il mondo e persino in
Italia a difesa di eventuali diffusioni del virus".
A conferma di questa ipotesi si pone la notizia
diffusa lo stesso giorno dalle agenzie internazionali e riportata in
Italia da Repubblica: proprio nelle ore calde precedenti l'attacco in
Iraq, e con la Sars alle porte, "l'amministrazione americana ha
deciso di licenziare circa seimila addetti alla sicurezza negli
aeroporti, pari all'11 per cento circa del totale, anche perché la
minaccia terroristica sembra ora meno presente".
Quanto al Canada, dove comunque esiste una
vastissima comunità cinese, "é evidente - si legge ancora su
Indymedia - che é stato punito per non aver partecipato ai crimini di
guerra in Iraq, ma anche per essere una nazione che ha sempre dichiarato
di fornire aiuti a Cuba". Oggi risulterebbe vittima di quel
fenomeno che in tanti ormai chiamano "embargo turistico", con
la cancellazione ufficiale, dopo le prescrizioni dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità, dalla lista dei Paesi in cui si può viaggiare
senza rischi. E conseguente crollo dei fatturati connessi al gigantesco
indotto turistico, così come sta accadendo alla Cina, a Taywan e alle
Filippine.
Caduto sul fronte del conflitto batteriologico,
l'epidemiologo marchigiano Carlo Urbani sarebbe la prima vittima
illustre della guerra invisibile dichiarata dagli Stati Uniti contro la
Cina e i Paesi non allineati. Molti dubbi circondano ancora alcuni
aspetti della sua infezione e morte, a cominciare dal fatto che
difficilmente un ricercatore del suo calibro avrebbe omesso le
precauzioni rivelatesi in grado, oggi, di preservare le migliaia di
medici ed infermieri impegnati nella cura degli ammalati Sars. Senza
contare il fatto che, pur essendo Urbani uno scienziato di riferimento
dell'OMS, solo dopo la sua morte é scattato ufficialmente l'allarme sul
nuovo flagello. Quasi che si attendesse quel "la" per generare
l'ondata di panico nella popolazione mondiale. E' per questo, per tutto
questo, che oggi il virus sta subendo una nuova "mutazione",
questa volta solo di carattere terminologico. Da Severe Acute
Respiratory Syndrome a Sistema Amerikano Ridimensionamento
Supereconomie. Prima tappa: la Cina.
Tratto da www.lavocedellacampania.it