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Pagina sport
Cucù la GEA
non c’è più
di Marco Liguori –
La Voce
della Campania ottobre 2006
http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta2&id=55
Messo in liquidazione il giocattolo milionario creato negli
anni di vacche grasse da Alessandro Moggi e da una sfilza di figli
eccellenti. Cerchiamo di vederci chiaro fra cifre e conti, con un
collegio sindacale che punta i piedi e mette a verbale.
La Gea World
si è liquidata volontariamente lo scorso 1 agosto. Nel
verbale d’assemblea del 18 luglio, che ha sancito l’ultimo atto
della società dei "figli di papà" (presenti in qualità di
soci, amministratori o procuratori) e ha approvato il bilancio al 31
dicembre 2005 (conclusosi con un utile di oltre 433mila euro), il
presidente Alessandro Moggi spiegò che «pur essendo la società
assolutamente sana, avendo svolto la propria attività nel pieno ed
assoluto rispetto di ogni normativa civilistica, fiscale e regolamentare
che la disciplina, per vicende esterne alla diretta attività della
società, fortemente enfatizzate da tutti i media nazionali e locali, si
è venuta a trovare inopinatamente in un’oggettiva difficoltà, se non
impossibilità, di continuare a svolgere la propria attività».
Il figlio di “Lucianone” puntò l’indice contro i
mezzi d’informazione, sottolineando che «pur essendo tutte queste
circostanze non imputabili, neppure in minima parte, a responsabilità
della società, ma avendo le stesse creato un clima ambientale di
accuse, denigrazioni e sospetti» era arrivato ormai il momento «di
deliberare lo scioglimento della società, riservandosi, tuttavia, la
stessa, ogni azione nei confronti di coloro che dovessero risultare
responsabili di quanto prima enunciato». Dunque, secondo “Moggino”
la colpa sarebbe tutta dei giornalisti “brutti e cattivi”. Ma una
cospicua serie di rilievi del collegio sindacale ha evidenziato diversi
problemi nella gestione della società romana.
La prima tirata d’orecchi dei tre sindaci, Ermanno
Zigiotti, Giuseppe Marsoner e Giacomo Vizzani, agli amministratori di
Gea World concerne l’organizzazione societaria. «A tale riguardo si
comunica che nella riunione del Consiglio di amministrazione del 12
novembre 2004 - viene precisato nella relazione del collegio sindacale
allegata al bilancio a tutto il 31 dicembre 2005 - il Collegio sindacale
aveva richiesto agli amministratori, che ne avevano assunto formale
impegno, di pervenire quanto prima ad una più efficace ed efficiente
struttura organizzativa e dell’assetto amministrativo-contabile della
società». Ma i sindaci hanno notato che ciò non è stato compiuto. «Ad
oggi deve constatarsi che - proseguono i tre professionisti - nonostante
lo sforzo profuso dalla direzione aziendale e volto al miglioramento
dell’operatività, le procedure interne dell’area amministrativa non
si mostrano del tutto adeguate alle esigenze poste dall’accresciuta
attività aziendale e necessitano pertanto di ulteriori miglioramenti».
Inoltre, il collegio rileva che
la Gea
«nell’ultimo quadrimestre dell’esercizio 2005 e nei primi mesi
dell’esercizio
2006 ha
effettuato pagamenti a titolo di compensi agli amministratori ed a parti
correlate». Per queste ultime i versamenti riguardano «spettanze
maturate per prestazioni relative al “ramo procure” e riferite ad
esercizi anteriori al 2005». I pagamenti erano dovuti da tempo dalla
Gea e «sono stati oggetto di richiami d’informativa - si legge sempre
nella relazione - indirizzati dal Collegio sindacale agli
amministratori, esortandoli a procedere nel rispetto dell’equilibrio
finanziario complessivo della società e del principio di parità di
trattamento dei creditori».
ALLARME ROSSO
Nella loro relazione i sindaci lanciano un “allarme
rosso” riguardante i cospicui «crediti nei confronti di calciatori e
società calcistiche» vantati dalla Gea. Alla fine dello scorso anno
questa voce (registrata come crediti verso clienti) ammontava a 3,87
milioni di euro, tutti esigibili entro l’esercizio successivo, in
crescita del 21,6 per cento rispetto ai 3,17 del 2004 e pari a poco meno
della metà dei ricavi della società nel 2005 (6,6 milioni). I crediti
verso clienti erano esplosi già a cavallo tra il primo e il secondo
anno di attività della società: nel 2001 ammontavano a 699 euro, nel
2002 avevano raggiunto la ragguardevole cifra di 1,93 milioni. Nel 2003
la voce si era assottigliata di circa 116mila euro, attestandosi a 1,8
milioni. Nel 2004 avvenne il secondo boom dei crediti esigibili nei
confronti di giocatori e società di calcio: il totale raggiunse appunto
i 3,17 milioni con un incremento del 75,3 per cento rispetto all’anno
precedente. Riguardo alla sostanziosa somma da riscuotere al 31 dicembre
scorso, il collegio sindacale sottolinea che si doveva considerare «la
difficile situazione economico-finanziaria che caratterizza l’intero
settore del calcio professionistico ed il significativo rallentamento
dell’attività aziendale a seguito delle note vicende giudiziarie».
Ma i tre “controllori” lanciarono anche un monito: «Ove
la società nel breve termine - si legge ancora nella relazione del
collegio - non riuscisse ad incassare una congrua parte dei crediti
verso clienti non sarà in grado di fronteggiare con fondi propri le
uscite programmate». I sindaci sottolinearono anche che nel caso in cui
non fossero stati recuperati i crediti «per garantire la continuità
aziendale, dovrà farsi ricorso all’indebitamento bancario e/o
all’apporto degli azionisti, poiché il problematico incasso dei
crediti potrebbe generare difficoltà nel puntuale adempimento dei
debiti verso fornitori e tributari». Chi siano i debitori della Gea non
è dato saperlo: in tutti i bilanci dal 2001 sino al 2005 non sono
menzionati nomi di calciatori e di società. Di sicuro
la Juventus
, dove fino allo scorso maggio era direttore generale Luciano Moggi, non
è presente nella “lista nera” di chi deve danari alla società di
procuratori: infatti, stando ai bilanci 2002/03, 2003/2004 e 2004/2005
del club bianconero, la “galassia Gea” (ossia
la Gea World
e la sua controllante Football Management) ha introitato una cifra
superiore ai 2,8 milioni. Sul fronte dei debiti, Gea ne aveva 2,7
milioni il 31 dicembre scorso, contro i 2,6 dell’anno precedente. Di
questi, 1,95 milioni erano somme dovute ai fornitori (1,84 milioni nel
2004), mentre 552 mila dovevano essere versati al fisco (47mila euro nel
2004).
PARMALAT CONNECTION
Nel documento contabile si scopre anche che
la Gea
è stata vittima del crack Parmalat. Nella nota integrativa redatta dal
consiglio di amministrazione, alla voce “altre partecipazioni”
(inserite nelle attività che non costituiscono immobilizzazioni) si
nota una somma pari a 6252 euro. «Trattasi della partecipazione e
warrant della Parmalat spa - si legge nel documento del cda - assegnati
alla Gea World per conversione dei crediti da essa vantati, già
svalutati in precedenti esercizi». Molto probabilmente, la società
romana aveva investito in obbligazioni Parmalat: in seguito ha aderito
al piano predisposto dal commissario straordinario della società
emiliana, Enrico Bondi, che ha convertito le cifre investite nelle
obbligazioni in propri warrant e nuove azioni.
Alla Gea è quindi andata bene: se l’investimento fosse
stato effettuato in azioni della Parmalat caduta in dissesto
finanziario, sarebbe finito inesorabilmente in fumo. E a proposito dei
crediti da vantati e svalutati in precedenti esercizi, in questi ultimi
non c’è traccia delle somme impiegate in obbligazioni Parmalat: non
sono state specificate neppure di quali tipo di emissione si tratta. Per
capire la motivazione del coinvolgimento della Gea in Parmalat bisogna
fare un passo indietro. Più precisamente, dobbiamo ritornare a fine
2003, prima del mutamento nella composizione dell’azionariato Gea: per
una curiosa coincidenza, il dissesto Parmalat fu scoperto in seguito,
nel dicembre di quell’anno. La società romana era posseduta al 45%
dalla General Athletic e al 45% dalla Football Management; il 10% era di
Riccardo Calleri. Nella prima controllante erano azionisti, ciascuno al
20%, Andrea Cragnotti (figlio di Sergio, ex patron Cirio, anch’essa
colpita da un crack finanziario alla fine del 2002), Chiara Geronzi
(figlia di Cesare, presidente di Capitalia) e, soprattutto, Francesca
Tanzi (figlia di Calisto, ex patron Parmalat). Il 40% era in mano a
Romafides, la fiduciaria appartenente proprio al gruppo Capitalia. In
un’interpellanza parlamentare di due senatori della Lega Nord,
Piergiorgio Stiffoni e Francesco Tirelli, si avanzava il dubbio che
dietro lo schermo della fiduciaria ci fosse Luigi Carraro, figlio di
Franco Carraro, ex presidente della Federcalcio. Proprio alla fine del
2003 Romafides scomparve assieme a Francesca Tanzi e Andrea Cragnotti:
subentrarono Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco, “notabile” della
Margherita, e Oreste Luciani, all’epoca in affari con la famiglia
Tanzi.
Per li rami della Lazio
Lo scorso venerdì 29 settembre, primo giorno di sciopero
dei giornalisti,
la Lazio
ha compiuto la sua ennesima “magia”. In quella data la società
romana, quotata a Piazza Affari, ha riportato in un comunicato che «ha
conferito alla SS Lazio Marketing & Communication spa, interamente
partecipata, il ramo di azienda commerciale». La nota prosegue
spiegando che «il valore del conferimento è stato determinato in euro
95,36 milioni dall’esperto appositamente nominato dal Tribunale».
Secondo il club biancoceleste «l’iniziativa è stata determinata
dall’esigenza di realizzare una gestione dedicata e non condizionata
dalle attività sportive, onde consentire con la compartecipazione di
partners altamente specializzati, una maggiore efficienza ed efficacia
nella crescita e lo sviluppo di nuove aree di business collegate al
“brand Lazio”». Tradotto dal linguaggio delle comunicazioni al
mercato, significa che l’operazione ufficialmente ha motivazioni
commerciali. Tuttavia guardando il bilancio della società di Claudio
Lotito al 30 giugno scorso (approvato il 28 settembre) si nota che sono
presenti le perdite derivanti dall’azzeramento degli «oneri
pluriennali ex D. L. 282/2002», ossia quelli derivati dalla
cancellazione, decretata dall’Ue, del decreto cosiddetto “Salva
calcio”. Ciò comporta una passività di ben 127,7 milioni che la
società dovrà azzerare entro il 30 giugno 2007. I 95,36 milioni
derivanti dalla cessione del ramo di azienda commerciale servono ad
attenuare questo “buco”: restano ancora 32,3 milioni da recuperare.
Ma sull’operazione pende un dubbio giuridico.
«La Lazio
ha ceduto a una società – spiega l’avvocato Domenico Latino – da
essa controllata al 100%. Ciò può configurare il meccanismo della
stipula del contratto con se stesso, che è praticamente nullo». Dunque
la validità giuridica dell’operazione sarebbe tutta da verificare. Un
qualcosa di analogo ha fatto il Milan che ha conferito un suo ramo
d’azienda alla sua controllata al 100% Milan Entertainment con una
pluvalenza di oltre 181,3 milioni. Anche il Milan aveva bisogno di
ripianare il passivo derivante dal “Salva calcio”. Sulla cessione
effettuata dalla Lazio pende anche un altro dubbio. Stando sempre al
bilancio al 30 giugno,
la SS Lazio
Marketing & Communication aveva un patrimonio pari ad appena 120mila
euro, il minimo legale. Nel comunicato ufficiale non è stato spiegato
come abbia potuto sostenere il notevole esborso di oltre 95 milioni.
La Voce
della Campania ha contattato il membro del consiglio di gestione, Marco
Moschini, ma è stato riferito che «non rilascia interviste, né
dichiarazioni». Invece, sul fronte dell’indebitamento pregresso, al
31 agosto scorso
la Lazio
ha fatto registrare un rosso di 157,23 milioni, in aumento dai
precedenti 143,15 del 31 luglio. Infine, a pagina 21 del bilancio
firmato dal presidente del consiglio di gestione, Claudio Lotito, si
nota una piccola “perla” grammaticale. Si legge infatti che «il
progetto di bilancio al 30 giugno 2006 chiude con un’utile di euro
2.078.705». Insomma, il termine “utile” da maschile è diventato
femminile: ma, come evidenziato dal testo, il bilancio è solo allo
stadio di progetto. E i progetti, si sa, si possono correggere. (Ma. Lig.)
Juve, il trucco dello
stadio
La Juventus
ha detto addio ai suoi progetti immobiliari. Sarà infatti
ceduta
la Campi
di Vinovo spa, proprietaria dei terreni dove sorgerà il centro
commerciale Mondo Juve, e sarà rivisto il progetto per il Delle Alpi.
Proprio a proposito dello stadio, alla fine dello scorso settembre il
neoamministratore delegato Jean Claude Blanc ha affermato che «il Delle
Alpi rimarrà così come è nelle sue linee architettoniche attuali e la
capienza scenderà dagli attuali 66-67 mila posti a 50 mila per
adeguarlo alle nuove norme di sicurezza del decreto Pisanu e dell’Uefa»,
ovvero in tempo per gli europei del 2012. Il manager ha spiegato che la
bocciatura del progetto dell’ex amministratore delegato Antonio
Giraudo (riduzione dello stadio Delle Alpi a 35mila posti e apertura di
un centro commerciale, un cinema multisala, un museo e la sede della
società bianconera) è stata motivata dagli alti costi pari a 100-150
milioni di euro. Il nuovo progetto ne costerà invece 18. Circa i motivi
dell’addio al vecchio progetto, Blanc ha spiegato: «abbiamo messo
mano ai conti e ci siamo accorti che erano insostenibili, proibitivi, a
maggior ragione ora con la squadra in B». Insomma, solo dopo le
dimissioni di Giraudo la dirigenza juventina e l’azionista di
riferimento Ifil si sono accorti che il progetto Delle Alpi non era
finanziariamente attuabile. E adesso chi lo dice ai risparmiatori, i
quali aderirono al collocamento in Piazza Affari, che alla fine dello
scorso settembre stanno perdendo oltre il 51 per cento dal valore pagato
allora di 3,70 euro?
Eppure nel prospetto informativo per la quotazione si
evidenziava che i progetti Delle Alpi e Mondo Juve erano strategici e
rappresentavano il motivo per cui venivano chiesti soldi al mercato.
Infatti, al paragrafo «strategie e programmi futuri» del documento si
legge che «la società mira a incrementare e diversificare i propri
ricavi e ad ulteriormente accrescere la propria redditività rendendola
nel contempo meno sensibile all’andamento dei risultati sportivi». In
quello, poi, sulla «diversificazione dei ricavi» sono spiegati agli
investitori i due programmi per la ristrutturazione del Delle Alpi e
l’iter amministrativo per l’edificazione di Mondo Juve. Il comune di
Torino firmò con
la Juve
nel luglio 2003 la convenzione con cui lo stadio era concesso in diritto
di superficie al club bianconero per 99 anni. Il prezzo convenuto fu un
regalo: 25 milioni di euro complessivi su 54mila metri quadri di
superficie edificabile, pari a 252.525 euro annui, cioè 4,68 euro al
metro quadrato. Non male se si pensa che tre anni fa a Torino occupare
il suolo pubblico con un banco per la vendita di fiori costava
annualmente in media 76,65 euro al metro quadrato. Ma adesso
la Juve
ha abbandonato il vecchio progetto: si è accontentata di dividere
l’Olimpico (nuovo nome del vecchio Comunale) con il Torino, pagando un
affitto al Comune di 200mila euro più Iva per le stagioni 2006-2007 e
2007-2008. Considerato che i lavori al Delle Alpi inizieranno nel giugno
2007 e termineranno nel 2010, Blanc spiega che in caso di ritardi si
studierà con il Comune la possibilità di riutilizzare l’Olimpico.
Ovviamente, la società bianconera continua a pagare le rate per il
Delle Alpi: ma gestisce assieme a quella granata la ricca torta della
pubblicità dell’impianto di Corso Sebastopoli. La ciliegina sulla
torta riguarda il controvalore azionario per
la Campi
di Vinovo. Stando alla trimestrale al 30 giugno scorso della Juve, il
70% circa della società sarà ceduto alla Costruzioni Generali Gilardi
per 37,6 milioni in due tranche. Nel giugno 2003 per il 27,2% della
Campi fu stabilito che
la CGG
pagasse un prezzo analogo (37,3 milioni). Insomma, la società si è
svalutata di circa il 57% in tre anni. Piccolo particolare: stando alle
visure della camera di commercio, Giraudo è presidente e resterà in
carica «fino all’approvazione del bilancio al 30/6/2006».
Probabilmente - trapela in ambienti pallonari torinesi -
la Juve
ha abbandonato i due progetti immobiliari non solo per i costi elevati
di realizzazione, entrambi stimati in oltre 250 milioni di euro, ma
anche perché la loro manutenzione avrebbe comportato spese molto
cospicue. E pazienza se i risparmiatori hanno investito su progetti dai
costi esorbitanti: in Borsa, si sa, il rischio è sovrano.
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