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Si muore di cancro o di
chemio?
Marcello Pamio,
tratto dal nuovo libro “Cancro SPA”, 2016
www.macrolibrarsi.it/libri/__cancro_spa.php
Ogni
anno in Italia 363.300 persone ricevono una diagnosi di cancro, sono esclusi i
carcinomi della pelle.
Ogni anno in Italia oltre 170.000 persone soccombono alla malattia.
Questi numeri però non devono essere interpretati e tradotti come la percentuale
di mortalità del cancro, perché si verrebbe fuorviati. Se 360.000 persone
scoprono il tumore e 170.000 muoiono non significa che il cancro ha una
mortalità all’incirca del 50% (170.000 su 360.000 = 47%), perché non è così: la
mortalità è molto più alta!
Va infatti precisato che la stragrande maggioranza di quei 360.000 tumori che
ogni anno vengono scoperti non sono cancri fulminanti ma sono sovradiagnosi,
cioè tumori innocui, incistati (in situ) che non creano nessun problema e nessun
rischio per la vita della persona. Ma una volta scoperti - grazie agli screening
- vengono catalogati come tumori e spesso curati come tali, facendo lievitare le
statistiche di incidenza da una parte, i danni e le morti dall’altra.
La
statistica è impietosa: nel corso di una vita media, ci dicono, circa 1 uomo su
2 e 1 donna su 3 sarà toccata dal cancro.
Ovviamente queste sono stime e sappiamo bene che con i numeri l’oncologia può
affermare tutto e il contrario di tutto. Non si sta dicendo che il cancro non
sia un problema serio che interessa sempre più persone, e non servono certo i
matematici e/o gli oncologi a dircelo perché è la Vita stessa che parla da sola,
ma va tenuto in seria considerazione il fatto che la maggior parte dei tumori è
sovradiagnosi.
Sovradiagnosi
Si tratta del
pericolo più serio della diagnosi precoce, gli screening.
Consiste nel mettere in evidenza lesioni o tumori in situ che non sarebbero MAI
evoluti nel corso della vita, ma sui quali, una volta individuati, ci si sentirà
obbligati ad intervenire, questo soprattutto da parte del medico che vive e
trasuda medicina difensiva.
L’Industria farmaceutica ha gentilmente sviluppato tecnologie - con il plauso
del mondo intero - in grado di identificare le più piccole anomalie, ha poi
modificato le soglie che definiscono la normalità e creato nuove malattie.
La grande maggioranza di queste anomalie scoperte in persone soggettivamente
sanissime risulta inconsistente, cioè non darà MAI sintomi o problemi nel corso
della vita, ma una volta individuate queste difformità? Cosa si fa?
La PAURA in questo frangente è deleteria, perché non lascia il tempo di pensare
e riflettere...
Grazie alle nuove tecnologie diagnostiche (TAC, risonanze, ecc.) e alla
risoluzione sempre più alta si creano molte potenziali sovradiagnosi e quindi
molti interventi inutili, ma assai dannosi.
Fa molto riflettere la dichiarazione di un radiologo americano che dopo aver
analizzato più di 10.000 pazienti arriva a dire che “in realtà, con questo
livello di dettaglio, non ho ancora esaminato un paziente normale”…
Qualsiasi radiologo onesto intellettualmente e moralmente libero può solo
confermare questo dato di fatto.
Qualche esempio concreto di sovradiagnosi?
Il British Medical Journal il 9 luglio 2009 ha pubblicato una ricerca dal
titolo: “Stimare la sovradiagnosi di tumori al seno negli screening”. Lo studio
ha revisionato i dati di paesi come Inghilterra, Canada, Australia, Svezia e
Norvegia e il risultato è un preoccupante 52%.
Questo vuol dire che 1 mammografia su 2 è sovradiagnosi! Un tumore su due NON
andrebbe toccato in quanto innocuo e non pericoloso.
Il
New England Journal of Medicine il 18 agosto 2016 pubblica uno studio sulla
tiroide e in questo caso i dati sono ancora più incredibili: dal 50 al 90% dei
tumori alla tiroide sono sovradiagnosi.
La quasi totalità dei tumori alla piccola ghiandola alla base del collo NON
andrebbero curati.
Il
tumore alla prostata è senza dubbio il più sovradiagnosticato e il trattamento
ufficiale sta portando all’invalidità (impotenza e incontinenza) decine di
milioni di uomini sanissimi.
La stragrande maggioranza dei tumori alla prostata scoperti con il PSA, il test
più fallimentare che la medicina conosca, infatti, non causerebbe alcun tipo di
problema se non venisse individuata.
La maggior parte degli uomini trattati starebbe benissimo se non sapesse di quel
cancro. Ad affermarlo è nientepopodimenoché il prof. Richard Ablin, il medico
scopritore nel 1970 del PSA stesso. E se lo dice lui qualche pensiero sarebbe
bene farselo…
Ogni
anno in America a 240.000 uomini (35.000 in Italia) viene diagnosticato il
cancro alla prostata.
Gli uomini hanno un rischio del 3% nella loro vita di morire di cancro alla
prostata, il che significa che il 97% degli uomini avrà il test del PSA che
probabilmente causerà maggiori danni che benefici, assieme alle immancabili
terapie successive alla diagnosi.
La lettura di questi dati è inquietante: la sovradiagnosi nel cancro alla
prostata mediante PSA è del 97%.
Alcuni
uomini muoiono di cancro della prostata,
ma quasi tutti muoiono con il cancro alla prostata!
Dopo
quello che è stato appena detto sorgono delle domande: le persone stanno morendo
a causa del cancro o a causa delle cure? Le persone che hanno il cancro e
seguono i protocolli guariscono o no? Cosa accade a tutte le persone
sovradiagnosticate?
Per rispondere a queste delicate domande è importante conoscere l’origine
storica della chemioterapia…
Origine
storica della chemioterapia
Innanzitutto è
necessario occuparsi di guerra chimica, la cui paternità va attribuita al
chimico tedesco Fritz Haber.
Allo scoppio della Grande Guerra il dott. Haber dirige il prestigioso Kaiser
Wilhelm Institute a Berlino e il suo laboratorio chimico ha un ruolo centrale
nello sforzo bellico: sviluppa gas irritanti utili per stanare dalle trincee i
soldati nemici.
Tra tutti i gas studiati uno solo emerge per caratteristiche utili allo scopo:
il cloro.
Questo gas dal colore gialloverde è estremamente tossico ed è caratterizzato da
un odore soffocante che penetra violentemente nelle vie respiratorie.
Il 22
aprile 1915 l’esercito tedesco scarica oltre 146 tonnellate di gas di cloro
(detto dicloro o diossido di cloro) a Ypres in Belgio: le truppe francesi,
britanniche e canadesi prese alla sprovvista cadono come mosche cercando di
proteggersi le vie aeree con banali fazzoletti.
Fu
una vittoria straordinaria per i tedeschi, ma Fritz Haber pagherà molto caro
questo attacco perché, qualche giorno dopo aver usato il gas, sua moglie Clara
Immerwahr, chimico pure lei, si suicida con un colpo di pistola direttamente al
cuore usando l’arma di servizio del marito che per questi servizi era stato
promosso al grado di capitano…
Gli
Alleati nel frattempo si sono dotati di maschere antigas per cui il cloro non è
più un problema. Fatta la legge e trovato l’inganno. Haber per ovviare il
problema maschera mette a punto il fosgene, costituto da una miscela di dicloro
e monossido di carbonio. Meno irritante per naso e gola del cloro stesso ma
rappresenta la più letale arma chimica preparata a Berlino, poiché attacca
violentemente i polmoni riempiendoli di acido cloridrico.
Verso la fine della Guerra quando le vittime dei gas si contano a decine di
migliaia Haber lancia il suo ultimo ritrovato: il gas mostarda, detto anche
iprite. Il nome deriva dalla località in cui è stato sperimentato: le trincee di
Ypres in Belgio.
Gli
effetti del gas mostarda sono terribili: provoca vastissime vesciche sulla
pelle, brucia la cornea causando cecità permanente e attacca il midollo osseo
distruggendolo e inducendo la leucemia.
Proprio da questa leucopenia (diminuzione dei linfociti nel sangue) nasce il
concetto medico di chemioterapia.
Ma andiamo per ordine.
La
sera del 2 dicembre 1943 il porto di Bari era gremito da quasi una quarantina di
navi cariche di preziosi rifornimenti, tra queste la nave americana John Harvey
partita dal porto di Baltimora. La Harvey, a differenza delle altre navi, aveva
le stive piene di bombe all’iprite. Oltre 100 tonnellate di iprite (gas tossico
e vescicante) sotto forma di bombe lunghe 120 centimetri e del diametro di 20.
La nave sarebbe stata scaricata il giorno seguente.
Alle 19,30 uno stormo di aerei della tedesca Luftwaffe arrivarò nel porto di
Bari bombardando le navi.
La John Harvey colpita prese fuoco e l’iprite mescolata alla nafta delle
petroliere affondate formò un velo mortale su tutta la superficie del porto,
mentre i suoi deleteri vapori si sparsero ovunque intossicando i polmoni dei
sopravvissuti .
Il numero esatto di morti non si saprà mai, ufficialmente si parla di circa 1000
cittadini baresi uccisi.
Nel
rapporto che seguì l’incidente vennero evidenziati dei fatti interessanti: le
persone colpite da iprite svilupparono una grave aplasia del tessuto linfoide e
del midollo osseo. Il colonnello statunitense Steward Alexander nella sua
relazione finale notò che dalle autopsie dei morti per iprite si notava una
notevole soppressione dei linfomi e dei mielomi.
Questo rinforzò l’ipotesi che solo un anno prima Goodman e collaboratori avevano
fatto sull’impiego di derivati dell’iprite.
I dottori Goodman, Gilman e Dougherty somministrarono mostarda azotata (derivata
dell’iprite) in sei pazienti affetti da linfoma maligno registrando un
miglioramento iniziale delle condizioni cliniche e una riduzione delle lesioni
neoplastiche. Poco importava se tale terapia era risultata devastante sotto
altri punti di vista: questo era quanto bastava perché venisse pubblicato nel
settembre del 1946 uno studio di portata epocale sull’effetto dell’iprite nei
linfomi. Tale studio venne pubblicato sulla rivista Science con il titolo:
“Azioni biologiche e indicazioni terapeutiche delle beta-cloroetilamine e dei
sulfidi”.
Tutto
ciò diede inizio - purtroppo per noi – all’utilizzo della chemioterapia che
giunge fino ai nostri giorni.
Negli attuali bugiardini dei chemioterapici alla voce Categoria terapeutica
viene riportato: “Analoghi della mostarda azotata”.
“Le mostarde azotate - ce lo dice il Ministero della Salute alla voce
Emergenze sanitarie - furono prodotte per la prima volta negli anni Venti
come potenziali armi chimiche. Si tratta di agenti vescicatori simili alle
mostarde solforate. Sono in grado di penetrare le cellule in modo rapido e
causare danni al sistema immunitario e al midollo osseo”.
Quindi la chemioterapia è nata grazie ad un incidente di guerra ed è una vera e
propria arma chimica!
Lo scrivono nei bugiardini le stesse case farmaceutiche che li producono e lo
conferma il Ministero della Salute.
L’utilizzo in guerra di tali armi chimiche è vietato da numerose convenzioni:
Dichiarazione dell’Aja del 1899, Convenzione dell’Aja del 1907, Protocollo di
Ginevra del 1925 e Convenzione di Parigi del 1993, ma nella guerra al cancro non
solo sono legittime ma sono anche le uniche riconosciute.
Oggi ad un qualsiasi malato di cancro viene iniettato un mix di sostanze
chimiche vietate in guerra per la loro pericolosità dalla Convenzione di
Ginevra.
Sopravvivenza al cancro e alla chemio
Una persona col
tumore a cui vengono iniettati nel sangue farmaci derivati dall’iprite e dalle
mostarde azotate (vescicanti e distruttori midollari) guarisce o no?
La risposta è che nonostante questi trattamenti alcune persone sopravvivono (non
tanto al cancro ma alle cure ufficiali) e le testimonianze ovviamente non
mancano. Ma tali persone avevano un cancro fulminante? Rientravano invece nella
diffusissima sovradiagnosi? E tutto questo a che costo?
Come sempre i pro e i contro vanno soppesati e valutati entrambi.
Al Sistema interessa solo screditare mediaticamente tutte le persone che
decidono di non fare i protocolli, ma evitano accuratamente di parlare di tutte
le centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni anno facendo le cure
ufficiali. Come mai?
Forse i morti non sono tutti uguali: ci sono quelli di seria A e quelli di serie
B?
Sui
pericoli e sull’inutilità della chemioterapia citotossica nella sopravvivenza vi
sono alcuni studi magistrali.
Il 5 agosto del 2012 la rivista Nature ha pubblicato uno studio nel quale si
evidenzia come la chemioterapia usata per il cancro alla prostata in realtà può
stimolare, nelle cellule sane circostanti, la secrezione di una proteina che
sostiene la crescita tumorale stessa rendendo immune il tumore a ulteriori
trattamenti.
I ricercatori dello studio hanno spiegato che i risultati “indicano che il
danno nelle cellule benigne può direttamente contribuire a rafforzare la
crescita cinetica del cancro”, e questo ha trovato conferma, oltre al tumore
alla prostata, anche in quello al seno e alle ovaie.
Del
dicembre 2004 è la faraonica ricerca scientifica a firma di Grame Morgan
(professore associato di radiologia al Royal North Shore Hospital di Sidney),
Robyn Ward (professore oncologo all’University of New South Wales), Michael
Barton (radiologo e membro del Collaboration for Cancer Outcome Research and
Evaluation del Liverpool Health Service di Sidney).
Lo studio intitolato: “Il contributo della chemioterapia citotossica alla
sopravvivenza a 5 anni dei tumori in adulti” viene pubblicato su una delle più
prestigiose riviste di oncologia del mondo, Clinical Oncology.
La meticolosa ricerca si è basata sulle analisi di tutti gli studi clinici
randomizzati condotti in Australia e Stati Uniti nel periodo compreso tra
gennaio 1990 e gennaio 2004.
L’analisi ha interessato 225.000 persone malate nei 22 tipi di tumori più
diffusi e curate SOLO con chemioterapia.
Quando i dati erano incerti gli autori hanno deliberatamente stimato in eccesso
i benefici della chemioterapia.
Nonostante queste accortezze la conclusione non lascia spazio a tante interpretazioni:
Sopravvivenza Australia > 2,3%
Sopravvivenza Stati Uniti > 2,1%
“Molti
medici continuano a pensare ottimisticamente che la chemioterapia citotossica
possa aumentare significativamente la sopravvivenza dal cancro”, scrivono
nell’introduzione gli autori.
“In realtà - continua il professor Grame Morgan - malgrado l’uso di
nuove e costosissime combinazioni di cocktails chimici… non c’è stato alcun
beneficio nell’uso di nuovi protocolli”.
Se la chemio citotossica contribuisce alla sopravvivenza a 5 anni per un
miserrimo 2% cosa è accaduto al rimanente 98% dei pazienti? E dopo 10 anni, ci
sono dati?
Domande prive di risposta….
Un’altra ricerca interessante è quella del dottor Ulrich Abel, epidemiologo
tedesco della Heidelberg/Mannheim Tumor Clinic. Abel chiese a circa 350 centri
medici sparsi nel mondo l’invio di tutti gli studi ed esperimenti clinici sulla
chemioterapia.
L’analisi durò parecchi anni e alla fine quello che risultò è la non
disponibilità di riscontri scientifici in grado di dimostrare che la pratica
della chemioterapia prolunghi la vita in modo apprezzabile.
Quindi da oltre sessant’anni stiamo usando farmaci citotossici che non solo non
funzionano, ma che inducono più problemi e danni della malattia stessa.
Cancro:
il business intoccabile
Non serve andare
oltre per comprendere che la chemioterapia da oltre 70 anni sta facendo molto
male alle persone, ma molto bene alle casse delle industrie che li producono.
Ecco qualche esempio di chemioterapico con tanto di prezzo in euro (Farmadati,
2013):
…
Ibritumomab (Schering), 1 fiala: 14.894 euro
Sunitinib (Pzifer), 30 compresse: 8.714 euro
Sorafenib (Bayer), 112 compresse: 5.305 euro
Erlotinib (Roche), 30 compresse: 3.239 euro
Pemetrexed (Eli Lilli), 1 fiala ev.: 2.265 euro
Topotecan (Glaxo), 5 fiale: 1.752 euro.
…
Questi veleni oltre ad essere i farmaci più tossici sono anche quelli più
costosi nella storia della medicina e non si usano quasi mai singolarmente,
perché gli oncologi preferiscono mescolarli e potenziarli nei loro cocktails,
per cui il costo e i danni lievitano esponenzialmente.
Questo è uno dei motivi per il quale i protocolli NON si devono toccare: sono il
business per eccellenza.
Tutto il resto è secondario, anche la morte…
Conclusione
Iniettare una
sostanza citotossica, cioè velenosa e mortale per le cellule malate e sane, per
il sistema immunitario, per il sangue, per la linfa, per il midollo osseo, per
il cervello e quindi per la Vita stessa non può essere considerato un
trattamento terapeutico, ma una vera e propria aggressione e guerra chimica.
Se fosse vivo oggi il chimico Fritz Haber molto probabilmente farebbe la stessa
fine della moglie: si sparerebbe un colpo in testa nel vedere le armi chimiche
mortali, scoperte da lui in periodo di guerra, usate nei protocolli oncologici
nella Grande Guerra al Cancro….
Tratto
dal nuovo libro di Marcello Pamio: “Cancro SPA”, rEvoluzione edizioni, 2016
www.macrolibrarsi.it/libri/__cancro_spa.php